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Decimo anniversario al Quirinale: i tempi affrontati da Sergio Mattarella

Sono dieci anni da che Sergio Mattarella è stato innalzato alla più alta e nobile magistratura repubblicana. Ricordiamo ancora che il suo nome era considerato, più o meno, al livello dell’outsider. Mai dire mai, in politica. Lo hanno dovuto votare una volta e poi un’altra ancora, a dimostrazione che cento calcoli machiavellici non valgono un granello di polvere, di fronte agli impulsi dei tempi.

Tempi burrascosi, quelli che Mattarella ha affrontato in questi dieci anni. Destra o sinistra, i partiti della cosiddetta seconda repubblica hanno prima mostrato la corda, poi si sono del tutto sfilacciati. Adesso non sono altro che parodie di agglomerati politici, buoni a dar voce alla rabbia crescente nella società, e alla disillusione. Il populismo è malattia comune a tutti, non ne usciremo tanto facilmente. Uomo della Repubblica, prima o seconda che sia non importa, Mattarella ha guidato il Paese attraverso acque perigliose, che sembravano fatte apposta per portare al naufragio. Alludiamo qui alle sciagurate istanze euroscettiche o no euro, antiatlantiche o no vax che siano. I pentimenti di Londra sulla Brexit, l’invasione dell’Ucraina e il covid stanno lì a dimostrare chi avesse ragione e chi torto.

Non ha interpretato, il Presidente, il suo ruolo con piglio interventista. Al contrario, la voce non l’ha alzata mai nemmeno quando si è fatto sentire. In epoche di urla scomposte, lo ringraziamo e non solo per una questione di timpani offesi. Dignità sempre, sguaiatezza mai: non è meramente questione di stile, anche se la forma è sostanza. È che, se bisogna uscire insieme dai problemi, la cosa più stupida è imporre la volontà del 51 percento. Non è vero che comandare è meglio di qualsiasi altra cosa. Accompagnare, indirizzare, spiegare è, alla lunga, di maggior soddisfazione. Infatti il mondo è pieno di ex premier insoddisfatti, da che si credevano immortali. Anche in tempi di populismo esiste una saggezza delle nazioni cui neppur l’Italia contemporanea riesce a fuggire.

Ecco allora che Mattarella gode da dieci anni di una popolarità estesa e radicata. La folla sarà pure bestia pazza e senza testa, come diceva Guicciardini, ma il popolo la testa ce l’ha, eccome, e ha imparato a distinguere i miti dotati di tenacia dai guappi di cartone. La linea tenuta da Mattarella è, in fondo, quella degasperiana. Non parliamo solo di Ue e Atlantico, o di libertà. Alludiamo al rispetto della divisione dei poteri e delle norme costituzionali. La prima e le seconde si compenetrano a creare quel calabrone che è la democrazia: vola alla faccia delle leggi della natura. Padre dell’unica legge elettorale che ha funzionato da quando ci siamo impelagati a cambiarne una all’anno, per lui il Parlamento è centro pulsante dell’ordine democratico, e l’ordine democratico è l’unico regime politico possibile. Al di fuori di esso esiste la legge dell’homo homini lupus: meglio starne lontani.

Tre anni fa aveva finito il compito e si era già trovato casa, vicino ai nipoti. Poi il Parlamento e i Grandi Elettori, a certificazione della crisi profonda dell’attuale sistema politico, si sono trovati costretti a richiamarlo in servizio. Siamo contenti per lui, rassicurati per quel che ci riguarda. Ma un’amara riflessione tocca farla. Questa: la sua rielezione dimostrò che uomini adatti al Quirinale non ne sono stati prodotti, nella seconda Repubblica, proprio per via del fatto che essa ha esaltato lo scontro e la divisione, laddove al Quirinale ci vuole qualcuno che sappia essere sintesi e comprensione. Certe riserve repubblicane non sono infinite. Il futuro non è allegro. Speriamo bene.

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