“È un’ennesima calamità a fronte alla quale siamo disarmati,
non essendo disponibili strumenti e tecniche di contrasto alle aggressioni“, spiega all’
Ansa Terriaca. Secondo il quale è indispensabile che il mondo della ricerca impegni risorse umane e finanziare per studiare il problema con un approccio pragmatico per dare delle risposte
. Nel definire la “vespa orientalis” una sorta di “specie aliena in patria”, gli esperti ammettono che al momento c’è poco da fare. “Non abbiamo strumenti e tecniche di contrasto specifiche. Contrariamente alla Vespa velutina su cui c’è una direttiva Europea e un progetto dedicato del Crea- afferma
Laura Bortolotti, ricercatrice del
Crea AA, Agricoltura Ambiente -. Il problema è che
essendo una specie autoctona fino ad ora non è stato possibile inserirla in una black list. Proprio per questo siamo in contatto con l’Ispra per mettere a punto una strategia per combatterla”. Gli apicoltori possono difendersi solo con protezioni da mettere sull’entrata degli alveari.
Si va da delle trappole ad esca alle arpe elettriche. Dispositivi costituiti da un telaio che tiene tesi dei fili elettrici scoperti, su cui passa corrente a bassa tensione che stordisce l’insetto. Vengono posizionati con una distanza tale che
lasciano indenni le api. “Abbiamo però scoperto – precisa la ricercatrice – che la ‘vespa orientalis’ è intelligente. Dotata di una certa memoria in grado di scoprire questi trucchi e quindi di evitarli”.
L’insetto ha un ciclo di vita che va dalla primavera all’autunno sempre più inoltrato proprio per le temperature miti. Ed è in grado di cibarsi perfino delle api in volo, oltre a fare razzia all’interno degli alveari, distruggendoli. Danni che si manifestano con elevata mortalità delle api. Ma anche
attraverso un diffuso indebolimento degli alveari e dunque una riduzione della produzione di miele. Con maggiori costi da sostenere per curare gli alveari indeboliti, mediante le cosiddette
nutrizioni di soccorso.