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La metafora che il Natale e il Presepe contengono

Il Natale è la festa del figlio che viene sulla terra. Per questo, non “accoglierlo” nel Presepe vuol dire rinunciare a festeggiare la condizione più importante e significativa della storia di ogni essere umano. Infatti, si parla di genitori e figli ma sempre per celebrare e/o per criticare il ruolo dei genitori che crescono la prole. Si parla di festeggiare i padri, le madri, i nonni. Ma nessuno ha mai pensato ad una festa per i figli e che la festa per eccellenza del “Figlio” è proprio il Natale. Di ogni figlio che è venuto, viene e continuerà a venire al mondo. Di ogni figlio sulla terra per il quale si spera in un’accoglienza migliore di quella di nascere tra mille difficoltà e, poi, crescere per essere “sacrificato”. Poiché questa è, in vero, la storia del Bambino del Presepe. Del bambino che nasce dopo che a sua madre, che sta per partorire, vengono negate accoglienza e cure. Del bambino che viene al mondo in una grotta, scaldato dagli animali, festeggiato dalla natura: dalla flora e dalla fauna. E dagli umili che accorrono guidati dalla luce delle stelle. Così, accorrono contadini e pastori. Così arrivano anche i Magi, uomini potenti e ricchi che vengono da lontano perché sapienti di quel sapere che rende esperti gli uomini del fatto che ogni figlio che nasce è un “Messia e un Messaggero. E’ un Re”. Ma non di questa terra. O non soltanto.

Dunque, la festa natalizia del Figlio che nasce è un grande messaggio che il Presepe e il Natale contengono quale metafora della vita e della pacificazione che ogni figlio, nascendo, avrebbe la funzione e la speranza di rappresentare e di portare nel mondo. E, infine, del ricongiungimento tra “cielo e terra”, del perdono, della fine del dolore, del lutto, del male che la nascita di ogni bambino sulla terra dovrebbe rappresentare. Chi, dunque, negando l’edificazione del Presepe a scuola, a casa e nelle piazze; chi spegnendo il rito, individuale, familiare, scolastico, collettivo, di rappresentarlo, non comprende di contribuire a sottrarre all’intera comunità umana e ad ogni persona la comune, eppure individualissima, base identificatoria dell’essere “figli”, dell’essere attesi, riconosciuti, festeggiati, rispettati in quanto tali, compie un grave errore. Un pericoloso errore che, in verità, non favorisce nessuno e nega tutti. Tutti in quanto “figli”. E in quanto figli, capaci di aggregare, intorno alla propria nascita, il nucleo primo di ogni società: la famiglia.

Poiché il Natale celebra la coppia dei genitori, il parto, la nascita, il figlio e il ruolo che lui, e soprattutto lui, è chiamato a svolgere nel mondo; un ruolo d’amore, di pace, di unione, di perdono. Non credo che un mondo come il nostro, un’umanità nelle condizioni nelle quali versano ovunque le società umane, anche quando si dicono civili, possano permettersi di abbattere anche un rito come questo. Ben al di là della religione che lo contiene. Poiché un rito che racconta ciò che dà “radici ed ali” ad ogni società umana, non può essere rimosso, svuotato, stupidamente trasformato, dimenticato, negato. Se Gesù, ogni anno, nella tradizione cristiana, nasce per dare la speranza agli esseri umani che il mondo possa diventare “un mondo a misura di bambini”, bisognerà, io credo, individuare e adottare tutti gli strumenti umanistici e scientifici, capaci, oggi, alla soglia del 2025, di mettere in atto quel cambiamento.

A tutela di un futuro che sia “sostenibile” non solo per gli attuali abitanti del pianeta ma anche per quelli che, ogni giorno, vengono al mondo, per popolarlo con l’oro e il petrolio che ogni bambino rappresenta. Perchè “i bambini sono l’oro e il petrolio del mondo” e perché la vera ricchezza del mondo sono proprio i bambini. Ciascuno di noi lo è stato prima di crescere e diventare un adulto. E, ancora, perché ciascuno di noi porta, chiuso nel profondo di sé, il “bambino interiore” di quel che è stato e che l’infanzia gli ha dato e/o donato e/o sottratto.

Quel “bambino interiore”, se è stato amato, riconosciuto, curato, guidato da adulti realmente amorosi ed autorevoli e accompagnato nel crescere, diventerà creativo, propositivo, ottimista, capace di gareggiare con le sorti della vita senza avere, sempre e comunque, la pretesa di vincere. Se, invece, si sarà sentito indesiderato, negato, non ascoltato, deluso, solo, crescerà cercando, anzitutto e soprattutto, di ottenere dalla vita, dai genitori, dai parenti, dagli educatori, dal sociale, un “risarcimento”, lecito o illecito, che possa colmare, con “il potere distruttivo”, il vuoto, il dolore, la rabbia, l’impotenza che gli offuscano la mente, il corpo, l’immaginario. Il cuore. E, allora, un suggerimento potrebbe essere quello di mettere, sotto l’albero di Natale, oltre ai doni e ai panettoni, la “Convenzione Onu dei diritti dei Bambini”, siglata a New York il 20 novembre del 1989.

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