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Una vedova in cattedra

Il Vangelo di questa domenica si colloca nello stesso contesto della domenica scorsa. Siamo a Gerusalemme, nel Tempio, dove Gesù insegna a una “folla numerosa che lo ascoltava volentieri” (Mc 12,37), suscitando l’ira delle autorità religiose, che avevano già deciso di ucciderlo. Siamo ancora al terzo giorno del suo arrivo a Gerusalemme, una delle giornate più lunghe, intense e decisive del ministero di Gesù, secondo il Vangelo di Marco. Questa è l’ultima volta in cui Gesù visita il Tempio e si rivolge alla folla; tre giorni dopo, verrà ucciso.

Il contesto di questo insegnamento, dunque, è molto particolare e conferisce un peso eccezionale alle parole di Gesù. Ciò che Lui dice e fa in questo momento ha il sapore di un testamento spirituale.

Il brano si divide in due parti. Nella prima, Gesù si rivolge alla folla, mettendola in guardia contro il comportamento degli scribi (versetti 38-40). Nella seconda, si rivolge ai discepoli per attirare la loro attenzione su una povera vedova che dona al tesoro del Tempio tutto ciò che possiede (versetti 41-44). Da un lato, Gesù ci dice “Guardatevi da…”; dall’altro, ci invita a “Guardare a…”.

“Guardatevi da…”

Guardatevi dagli scribi!” Gli scribi erano gli esperti della Torà, i maestri della Legge, i teologi e i giuristi dell’epoca. Ma cosa rimprovera loro Gesù? “Amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i posti d’onore nei banchetti.” È una critica molto forte rivolta a una categoria di persone generalmente rispettata.

Gesù denuncia il tipo di persone che vivono solo di apparenze: esteriormente sembrano perfette, ma interiormente possono essere anche false. Se questo atteggiamento è da condannare nella società, lo è ancora di più nella Chiesa. Anziché servire Dio, costoro si servono di Dio: “pregano a lungo per farsi vedere”; e anziché servire il prossimo, lo sfruttano, arrivando persino a “divorare le case delle vedove”. È l’opposto esatto di ciò che Gesù ci ha insegnato la domenica scorsa: amare Dio e amare il prossimo.

Non pensiamo, tuttavia, agli scribi di un tempo, ma a quelli di oggi. Non guardiamo agli scribi esterni, ma a quelli dentro di noi. Perché ciò che amavano gli scribi, lo amiamo anche noi: apparire, dare una bella immagine di noi stessi, occupare i primi posti, essere rispettati e onorati, essere in qualche modo sotto i riflettori. Di questi scribi, maestri o modelli, ce ne sono in abbondanza, sia nella società, diffusi dai media, sia nella Chiesa. La strada dell’apparenza è scivolosa e può facilmente portare dalla finzione alla falsità e dalla falsità alla corruzione. “Peccatori sì, corrotti mai”, direbbe Papa Francesco.

“Guardate a…”

Nella seconda parte del testo, lo scenario cambia. “[Gesù], seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Molti ricchi ne gettavano in gran quantità.” Nel Tempio c’erano tredici cassette predisposte per raccogliere le offerte, ciascuna destinata ad uno scopo specifico, eccetto l’ultima, la tredicesima. Davanti a ogni cassetta, un inserviente controllava e annunciava ad alta voce l’importo donato. Con l’avvicinarsi della Pasqua, il numero dei pellegrini cresceva, e un fiume di monete d’oro e d’argento, tintinnando, scorreva verso le casse del Tempio, la più grande banca del Medio Oriente!

“Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo”. La vedova era una delle categorie di persone vulnerabili da proteggere, secondo le Sacre Scritture: l’orfano, la vedova e lo straniero. Questa donna, vedova e povera, getta nella tredicesima cassa tutto ciò che possiede: due centesimi. È quasi nulla, ma è tutto per lei. Era poco, ma rappresentava tutto ciò che aveva per vivere.

“Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: ‘In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.‘” Il Maestro “chiama a sé” i suoi discepoli per l’ultima volta e mette quella vedova in cattedra per il suo ultimo insegnamento: – Guardate a lei! Ecco cosa intendevo quando dicevo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.”

Un’altra vedova, protagonista della prima lettura, è la povera vedova di Sarepta, una donna pagana, che offre allo straniero, il profeta Elia, l’ultimo pugno di farina che aveva tenuto per sé e per suo figlio prima di morire. Ecco cosa significa “Amerai il tuo prossimo come te stesso.”

Spunti di riflessione

La vedova del Vangelo anticipa profeticamente ciò che farà Gesù tre giorni dopo, consegnando la sua vita al Padre per noi. Egli da ricco che era si è fatto povero per arricchire noi (2Corinzi 8,9) e spogliò se stesso fino a morire come uno schiavo sulla croce (Filippesi 2,7-8).

La generosità di questa vedova rappresenta anche quella della Vergine Maria che, ai piedi della croce, offrirà il suo unico figlio. Inoltre, annuncia la condizione presente della Chiesa, a cui è stato tolto lo Sposo (Marco 2,18-19).

La vedova povera, infine, ci ricorda la nostra radicale povertà. Vedova/o etimologica­mente significa essere privo, mancante, sprovvisto. In questo senso tutti viviamo in una condizione di “vedovanza”. Oltre la soddisfazione dei bisogni quotidiani, sperimentiamo spesso che ci manca qualcosa di essenziale per rendere pienamente realizzata la nostra esistenza. È importante prendere coscienza di questa mancanza profonda. Sant’Agostino lo esprime con la sua famosa preghiera: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”. Paradossalmente, per riempire questo vuoto, Gesù e il suo Vangelo ci propongono offrire in dono la nostra vita: “Chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Marco 8,35).

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