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L’arte fa la storia: ecco come Todi guarda al futuro

La città umbra tra le cinque finaliste per il titolo di Capitale italiana dell'Arte contemporanea. Il direttore artistico Marco Tonelli: "Una grande occasione"

Un finanziamento da un milione di euro da investire nella cultura. E, chiaramente, nella prospettiva dell’indotto che ne deriverebbe. La combinazione tra spesa oculata e promozione della propria vocazione artistica potrebbe risultare realmente vincente per la città che, tra le cinque finaliste, si aggiudicherà il titolo di Capitale Italiana dell’Arte Contemporanea. Tutt’altro che una nomina effimera. In ballo, per il ristretto range di candidate, c’è la possibilità di accedere a un sostegno economico diretto, in parte già anticipato dai contributi garantiti dalla candidatura stessa, volto alla riqualificazione di spazi in disuso per ridestinarli ad attività culturali di rilievo. Con l’arte contemporanea a fare da filo conduttore tra vecchie e nuove generazioni, unite in un progetto che, a tutti gli effetti, è “Ponte contemporaneo”. Interris.it ne ha parlato con Marco Tonelli, direttore artistico della candidatura presentata dalla città di Todi (finalista assieme a Pescara, Gallarate, Gibellina e Carrara).

Todi piazza Beverly Pepper
Foto © Todi Ponte contemporaneo

Direttore, da dove parte e quali sono gli obiettivi del progetto.

“In molti sostengono che Todi sia già una capitale dell’arte contemporanea. È vero ma il fatto che sia stato pubblicato un bando ministeriale, con specifici requisiti relativi a piccole città che valorizzano territorio aprendosi a realtà internazionali, ci ha fatto intravedere la possibilità di mostrare al meglio le nostre caratteristiche. Ci siamo detti che questa occasione non andava a interferire con le consuetudinarie attività annuali di Todi. Anzi, mantenendo queste iniziative si poteva arricchire l’offerta artistica spalmandola su tutto l’anno. Grazie al finanziamento di un milione di euro e, per la città vincitrice, di avere accesso ad altri finanziamenti pubblici e privati, abbiamo visto l’occasione per Todi di irrobustire in modo deciso la propria offerta artistica. E, al contempo, recuperare spazi ed edifici in disuso per attivare delle attività che potessero continuare anche in futuro”.

Gli spazi recuperati resteranno quindi attivi anche una volta esauriti i progetti di destinazione?

“Un conto è recuperare degli spazi senza la giusta attenzione e programmazione. Un conto è farlo con l’ottenimento di un bando, che darebbe visibilità importante anche a livello nazionale. In piccole città come Todi, per quanto attive, spesso manca questo salto, ossia permettersi di comunicare il valore delle iniziative anche a livello nazionale. L’attenzione mediatica, così come quella da parte del Ministero, delle istituzioni e del mondo della comunicazione in generale, sarebbe importante. In futuro significherebbe continuare ad attrarre attenzione sulla città”.

In sostanza, l’auspicato indotto culturale per l’Italia sarebbe fattibile…

“Esattamente, soprattutto in tempi più concentrati di quanto servirebbe se si agisse con i soliti metodi. In un anno, si concentrerebbero fondi e attenzioni”.

Anche nelle grandi città si è tentata la via del recupero di spazi culturali in abbandono. Una strategia che, spesso, ha presentato delle difficoltà. A Todi che strada è stata seguita?

“Si tratta perlopiù di spazi collocati nel centro storico. Edifici antichi, architetture di interesse. L’ultimo recuperato è la Torre dei Priori come prossimo museo d’arte contemporanea. Le attività verranno lanciate con il bando ma il recupero è di fatto già avvenuto. Abbiamo altri spazi molto centrali, chiusi e in attesa di recuperi e ristrutturazioni. Ma anche spazi periferici a un passo dalla città, che saranno destinati ai giovani, ai laboratori, agli incontri. Parliamo sia edifici di architettura modernista che di percorsi naturali, sentieri immersi nel verde che diventeranno poli di arte e di comunicazione. Ad esempio, il Parco Bailey diventerà luogo di esposizione. I progetti che abbiamo presentato nel dossier, sono mirati per il recupero di spazi che avranno finalmente la loro funzione, nel 2026 e negli anni futuri. Il tutto nello spirito di un ponte contemporaneo tra Todi e l’Umbria”.

A proposito dell’Umbria: Todi Capitale dell’Arte contemporanea significherebbe ampliare il titolo in una rete che coinvolga anche il resto della regione?

“In questo vorremmo essere pionieri. Di uno degli spazi recuperati e collocato in pieno centro, vorremmo farne uno spazio di raccolta dati di tutta l’arte contemporanea realizzata nell’Umbria. Proporre quindi un modello che la regione o altre città, con le quali abbiamo stretto accordi, possano utilizzare per la creazione di una rete culturale. In Umbria l’arte contemporanea c’è ma è sfilacciata. Eppure, la nostra regione ha una rete di collegamento tale che un progetto di questo tipo sarebbe facilmente attivabile e percorribile. La Regione ci sostiene e noi vorremmo essere d’esempio per le realtà istituzionali”.

Pnrr, grandi enti… Quanto contributo è arrivato dalle realtà locali, più o meno giovani? Per loro è un’occasione…

“Il coinvolgimento parte dai massimi sistemi. Quindi dal Teatro stabile dell’Umbria alle Università, fino alla Regione. Tuttavia, un grande spazio è stato riservato a realtà quali associazioni, gallerie d’arte, fondazioni attente all’arte contemporanea, piccoli enti che fanno da residenza di artisti… Abbiamo capillarizzato la nostra rete per far sì che il coinvolgimento, pur partendo dai sostegni pubblici, raggiunga realtà più minute. La nostra idea è che tutti siano coinvolti e che, nel caso in cui si ottenesse la nomina, tutti coloro che a Todi realizzeranno i loro progetti, anche se piccoli, possano avere la giusta risonanza. In pratica, il loro evento sarà, in città, uno di quelli che si verranno a vedere. Un modo di agire che mette in circolo importanti scambi e relazioni di tipo culturale”.

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