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“Il mare a scuola”: la biodiversità si difende in classe

La necessità cruciale di promuovere la blue education, mobilitando politica, istituzioni, enti scientifici, dirigenti scolastici in tutta Italia

La biodiversità come tappa finale del viaggio della campagna “Il Mare a scuola“. L’obiettivo è richiamare l’urgenza di inserire lo studio del mare e degli oceani fra le materie scolastiche nei programma di tutte le scuole di ogni ordine. L’iniziativa è approdata a Genova per lanciare l’ultimo appello. Più di mille studenti, decine di rappresentanti delle istituzioni nazionali e locali e del mondo politico si sono dati appuntamento a bordo della motonave Patrizia, partita da Napoli, e arrivata a Genova dopo aver toccato Palermo e Livorno. La campagna di sensibilizzazione punta a ribadire l’intento comune di concretizzare l’impegno. Rosalba Giugni è la fondatrice e la presidente di Marevivo. “Il mare produce più del 50% dell’ossigeno che respiriamo- afferma-. Cioè un respiro su due lo dobbiamo al mare. Assorbe un terzo dell’anidride carbonica. Ed è il grande regolatore del clima”. Prosegue Giugni: “Abbiamo la legge Salvamare: l’articolo 9 prevede che in tutte le scuole si insegni la biodiversità marina. E abbiamo anche linee guida messe a punto dal ministro Valditara che le ha inserite nell’Educazione civica. Non manca niente. Dobbiamo soltanto operare e portare il mare in tutte le scuole. Ci piacerebbe non fosse intesa come l’ora del mare, ma che fosse invece una full immersion”.

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Foto di Pierre Leverrier su Unsplash

Sos biodiversità

Promossa da Marevivo in collaborazione con Msc Foundation e la fondazione Dohrn, la campagna ha viaggiato con la motonave dove i giovani oltre a seguire laboratori e seminari hanno potuto ascoltare anche le voci del mare in una sala immersiva di bioacustica. “Negli ultimi 10 giorni questa campagna ha messo in luce la necessità cruciale della blue education, mobilitando politica, istituzioni, enti scientifici, dirigenti scolastici in tutta Italia” ricorda Daniela Picco, direttrice esecutiva di Msc Foundation. E il vicepresidente del Senato Gianmarco Centinaio evidenzia: “E’ importante che i ragazzi acquisiscano consapevolezza sui temi del mare in ottica ambientale, perché il mare è una risorsa, un ecosistema importantissimo del nostro pianeta che deve essere tutelato, salvaguardato e protetto. E il lavoro deve partire dalle scuole. La questione mare è prevista nella Costituzione. E per la prima volta abbiamo un ministro con la delega al mare. A livello legislativo continuo a pensare che si debba fare sempre di più, ed è il motivo per cui collaboro con Marevivo, per avere spunti di riflessione da mettere sul tavolo della politica”. Megan Randles, policy advisor di Greenpeace Uk, ha preso parte alla Cop16 sulla biodiversità. Sostiene Randles: “Con le politiche attuali dei governi, l’obiettivo di proteggere almeno il 30% degli oceani con aree marine protette entro il 2030 (il cosiddetto ‘obiettivo 30×30’), concordato da tutti i governi dell’Onu alla Cop15 di Kunming-Montreal del 2022, non sarà raggiunto prima del 2107″.

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Dover, canale della Manica. Foto di Niklas Weiss su Unsplash

Obiettivo 2030

Sos di Greenpeace International attraverso il rapporto pubblicato all’apertura della Cop16 sulla biodiversità di Calì, in Colombia. “Mancano sei anni al 2030 e ancora non è stato fatto quasi nessun progresso verso la protezione del 30% degli oceani del mondo. Al ritmo attuale, non raggiungeremo il 30% di protezione in mare prima del prossimo secolo”, avverte la ong. Nei trentadue anni trascorsi dal Vertice della Terra di Rio del 1992, in cui è stata istituita la Convenzione per la diversità biologica, solo l’8,4% dell’oceano globale è stato protetto. Di questo, soltanto il 2,7% risulta altamente protetto e sottoposto a rigide misure di conservazione, e la percentuale si riduce allo 0,9% per le aree d’alto mare, che sono al di fuori della giurisdizione nazionale. Per raggiungere il 30% nei prossimi sei anni, dovranno essere istituite ogni anno da qui alla fine del 2030 circa 23,5 aree marine protette delle dimensioni della Francia. La situazione non cambia in Italia. Dove meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci. Un’indagine di Greenpeace Italia rileva che solo le Amp e i Parchi Nazionali hanno regolamenti efficaci in grado di tutelare la biodiversità marina. Altre aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità, come ad esempio il Santuario Pelagos e i Sic (Siti di Interesse Comunitario), invece, rappresentano solo “parchi di carta“, aree in cui non vi è nessuna azione di mitigazione degli impatti antropici.

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Foto di Geoffroy Hauwen su Unsplash

Biodiversità in crisi

La biodiversità che abita l’oceano è in crisi. A confermarlo è “Navigating the Future VI”, il rapporto scritto a più mani da esperti dell’European Marine Board. L’organismo consultivo non governativo indipendente rappresenta oltre 10.000 scienziati marini in tutta Europa. Carlos Pereira Dopazo, dell’Università di Santiago de Compostela, in Spagna, è l’autore principale del capitolo su Oceano e biodiversità. Dal rapporto emerge che le specie oceaniche, sia di grandi dimensioni che piccole, sono molto meno descritte delle loro controparti terrestri. Ciò rende più difficile misurarne il declino. La pubblicazione, NFVI, si concentra sul ruolo critico che l’oceano svolge nel più ampio sistema terrestre. Il gruppo di lavoro è stato operativo da ottobre 2022 a ottobre 2024. Comprende 33 esperti provenienti da 16 paesi europei. L’obiettivo è fornire ai governi, decisori politici e finanziatori una consulenza scientifica solida e indipendente sul futuro dei mari e sulla ricerca oceanica. Con la COP16 sulla biodiversità organizzata a Cali, Colombia, è giunto, secondo i ricercatori, il momento di riflettere ulteriormente sulla necessità di comprendere meglio la biodiversità oceanica. “Il cambiamento climatico sta causando il riscaldamento dell’oceano. E ciò costringe le specie a spostarsi per trovare condizioni a cui sono adattate”, spiega Pereira Dopazo. E aggiunge: “Ma, non comprendiamo appieno le implicazioni di questi spostamenti. Quando le specie si spostano in nuovi habitat, potrebbero diffondere microrganismi che potrebbero causare un’epidemia tra le specie autoctone o, al contrario, i nuovi arrivati potrebbero essere suscettibili nel soffrire di un’epidemia a loro volta”. Inoltre “per evitare tali eventi epidemici, che potrebbero portare a estinzioni locali, dobbiamo capire molto di più sui microrganismi patogeni e dove vivono”, precisa Pereira Dopazo. 

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Foto di frank mckenna su Unsplash

Costo sociale

Il capitolo NFVI Ocean and Biodiversity presenta le domande di ricerca in corso sulla biodiversità oceanica e la sua evoluzione man mano che la Terra cambia. Le raccomandazioni presenti nello scritto sono quelle di concentrarsi. E affrontare domande come, quali combinazioni di metodi tassonomici tradizionali e nuovi metodi genomici si possono utilizzare per accelerare l’identificazione delle specie e rendere più completo il monitoraggio della biodiversità. Dove si trovano i microrganismi marini patogeni e se potrebbero rappresentare un rischio epidemico futuro per le specie marine. Dove si sposteranno le specie marine, come i pesci di importanza commerciale, man mano che il clima cambia e l’oceano si riscalda. E come evitare conflitti umani quando le specie si spostano in nuove aree. Quali nuove attività umane influenzeranno la biodiversità marina in futuro e come mitigare questi rischi. In che modo le specie invasive influenzeranno gli ecosistemi marini autoctoni. Infine, partendo dalla constatazione che la conservazione e il ripristino delle specie oceaniche e degli ecosistemi sono costosi, indagare su quale sia il costo economico e sociale finale dell’inazione.

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