Tumore al seno metastatico: il progetto “Ancora” dell’Istituto tumori di Milano

Ottobre Rosa è il mese dedicato alla prevenzione, sensibilizzazione e mobilitazione contro il tumore al seno. Interris.it ha intervistato la dottoressa Laura Lozza, Direttore Ss Radioterapia dei Tumori della Mammella, SC Radioterapia - Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

Foto di Waldryano da Pixabay

Ottobre è il mese in cui tutto il mondo si mobilita contro il cancro al seno. Nel corso degli anni, è diventato il simbolo di questa lotta il nastro rosa che viene indossato per sensibilizzare su un tema che ancora oggi sembra essere un tabù, spignere sulla prevenzione e stimolare la ricerca.

Il tumore al seno

Dai dati del report “I numeri del cancro in Italia 2023” emerge che il carcinoma mammario è il tumore femminile più frequente e rappresenta il 30% di tutti i tumori nelle donne. Secondo quanto riportato dal sito del Ministero della Salute, si stima che, nei prossimi anni, “il numero assoluto annuo di nuove diagnosi oncologiche in Itaia aumenterà , in media, dell’1,3% per anno negli uomini e dello 0,6% per anno nelle donne. Per il tumore della mammella l’aumento è stimato in +0,2% per anno”.

Il progetto “Ancora”

In Italia sono circa 37 mila le donne con tumore al seno metastatico che hanno avuto una ripresa della malattia a distanza di anni dai trattamenti per una forma iniziale di tumore al seno. Per offrire a queste donne un percorso dedicato che metta al centro la donna, e non solo la malattia, i suoi dubbi, le paure, ma anche la voglia di vivere, nasce il progetto “Ancora”, un ambulatorio multidisciplinare all’interno della Breast Unit dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano per la cura del tumore della mammella in fase metastatica. Interris.it ha intervistato la dottoressa Laura Lozza, Direttore Ss Radioterapia dei Tumori della Mammella, SC Radioterapia – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

L’intervista

Dottoressa Lozza, cos’è il tumore al seno metastatico?

“La malattia si definisce metastatica quando non è più confinata alla mammella, ma viene rilevata in altre sedi corporee. Cellule neoplastiche, infatti, anche dopo molto tempo dalla prima diagnosi, attraverso i vasi linfatici e sanguigni possono essere migrate nei polmoni, nel fegato, nelle ossa, nei linfonodi o, più raramente, nel cervello. Accurati esami diagnostici e, talora, nuove biopsie consentono la miglior definizione dell’estensione della malattia e la sua profilazione biologica e molecolare”.

E’ una malattia guaribile o si può solamente curare? 

“Vorrei poter rispondere ‘guaribile’, ma ‘curabile’, e per lungo tempo, è la riposta più reale. Esistono sottogruppi differenti di neoplasie mammarie per i quali sono indicati trattamenti sempre più personalizzati che prevedono, in funzione della situazione specifica, l’integrazione di farmaci, radioterapia e talvolta anche di approcci chirurgici. E’ sempre maggiore la disponibilità di nuove molecole e di tecniche sofisticate di radioterapia che inducono pochi effetti collaterali e, oltre a far regredire la malattia e la sua sintomatologia, consentono di mantenere una buona qualità di vita”.

Presso l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è attivo il progetto “Ancora”, un ambulatorio multidisciplinare della malattia mammaria metastatica. Di cosa si tratta? 

“’Ancora’ è l’ambulatorio dedicato alle pazienti con diagnosi di un secondarismo: nato nel 2019, è il luogo dell’incontro con i diversi specialisti che si prenderanno cura della loro malattia e dei bisogni che ne derivano. E’ un percorso per la migliore definizione diagnostica e per l’impostazione delle cure più appropriate e del supporto necessario in situazioni cliniche e personali molto eterogenee. Vi è una chiara domanda delle pazienti perché venga reso più fluido e coordinato il tempo per le visite, per gli esami e per le terapie e sia ridotto quel tempo sospeso dell’attesa, quando il tempo è sempre più prezioso. Molta attenzione è dedicata anche ai famigliari e ai caregiver presenti, ad attenuare disagi logistici ed economici perché possano meglio affiancare le pazienti”.

Da quali figure è composto il team di specialisti?

“E’ un team di medici esperti che operano in modalità sincronica: sono sempre presenti l’Oncologo Medico, il Radioterapista Oncologo, lo Psicologo e lo specialista di Terapia del dolore. E’ prevista la partecipazione, secondo bisogni specifici, del Fisiatra, del Nutrizionista, del Geriatra, del Chirurgo ortopedico o del Neurologo. Se richiesto dalle pazienti e dai loro accompagnatori, il nostro Sacerdote è disponibile ad incontrarli”.

Quali sono i benefici di un approccio multidisciplinare alla malattia? 

“Sono molti gli aspetti positivi dell’attenzione clinica integrata e sinergica in questa fase della malattia: la presenza di più specialisti favorisce una più serena condivisione delle scelte terapeutiche e una immediata risposta ai diversi quesiti delle Pazienti. Vi è, generalmente, chiarezza, coerenza ed esaustività delle informazioni e i colloqui più impegnativi sono facilitati dalla presenza dello Psicologo. La promozione di team multidisciplinari è oggi una priorità etica, è garanzia di appropriatezza delle decisioni cliniche, favorisce il cambiamento organizzativo necessario perché le procedure mediche siano focalizzate sulla persona”.

Approccio multidisciplinare o tradizionale: quali sono le differenze?

“L’approccio tradizionale ‘one to one’ agevola rapporti fiduciali tra singolo clinico e paziente, il medico ha più autonomia decisionale, ma la qualità complessiva dell’approccio multidisciplinare è percepita superiore sia dai pazienti sia dai pedici. L’organizzazione sui bisogni di assistenza delle pazienti è meno frammentata, sempre condivisa e integrata in un clima di attiva collaborazione”.

Qual è il primo aspetto che viene affrontato quando una donna sceglie di attivare questo percorso?

“Accogliere. La diagnosi di malattia metastatica passa attraverso un vocabolario che tenta di edulcorare la realtà: ‘ricaduta’, ‘secondarismo’, ‘lesioni a distanza’. Con le pazienti si incontra la loro incredulità, la rabbia, la paura, il dolore, il senso di tradimento: ‘dopo tutte le cure che ho fatto… perchè?’ Credo sia importante non arretrare e accogliere tutto, non ultime le preoccupazioni per la famiglia, per il lavoro, per il futuro che cambierà. Si deve ricostruire fiducia, spiegare la nuova realtà con delicata trasparenza, alimentare la speranza nelle terapie efficaci e durature che abbiamo oggi a disposizione”.

Oltre alla cura delle pazienti, il progetto prevede anche la formazione di giovani medici? 

“Ritengo questa esperienza una grande opportunità per i giovani: usciti dall’Università, i Medici sono “programmati” per fare diagnosi corrette e guarire i malati. Nella fase metastatica il Medico affronta, come il Paziente, il limite, la frustrazione di fronte ad una malattia che non si è ‘vinta’. In questo particolare setting è molto importante la qualità della comunicazione, per la quale non vi è formazione universitaria: i giovani imparano ascoltando i colleghi più ‘esperti’ che ogni parola detta ha un peso che può ferire o cambiare la vita. Senza dubbio l’esperienza multidisciplinare, la contaminazione tra specialità differenti, la discussione tra colleghi, è un grande ricchezza, dona valore alla cultura medica.

Dottoressa Lozza, vuole fare una sua conclusione? 

“Lo scorso 13 ottobre, si è svolta la terza giornata di sensibilizzazione sul tumore al seno metastatico. Ringrazio per l’opportunità di dare rilievo a questa data importante. Si deve superare un tabu ancora troppo diffuso: di malattia metastatica si sussurra troppo, non si parla abbastanza. Le Associazioni pazienti hanno ben espresso necessità e aspettative: tocca a noi Oncologi agire, zittire chi bisbiglia di ‘ultime spiagge’. Nella malattia metastatica ancora tanto si può attivare per alimentare la vita e i percorsi dedicati con gli specialisti impegnati rappresentano l’ancora che cercherà di stabilizzare quel tempo difficile e prezioso”.