Misure alternative e riorganizzazione: i punti principali per la riforma del carcere

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Come ha spiegato papa Francesco all’Angelus del 23 settembre 2024 “Dobbiamo lavorare perché i detenuti siano in condizioni di dignità. Ognuno può sbagliare. Essere detenuto è per riprendere una vita onesta dopo”. L’istituto penitenziario è un’istituzione che, nella sua totalità, è impossibile da conoscere per la maggior parte delle persone ed è pressoché impenetrabile a chi non ha motivi professionali per entrarvi. Il carcere è una realtà estrema, particolare e difficile da descrivere, eppure la gente e i mass-media ne parlano come se la conoscessero ma, invece, affrontano l’argomento in modo settoriale e quasi sempre in occasione di eventi estremi come i suicidi e le rivolte.

La misura detentiva è, innanzitutto, privativa della libertà; oltre alla privazione della libertà di uscire, ciò che viene quasi totalmente a mancare è la libertà di gestione di molti aspetti della propria vita. Con l’ingresso in carcere, ogni concessione al detenuto avviene mediante canalizzazioni precise o a seguito di specifici permessi accordati previa presentazione di un’apposita “domandina”, ossia un modulo prestampato attraverso il quale il ristretto rivolge le sue richieste particolari e parla al Direttore. Alla compilazione seguono poi i tempi di risposta e, infine, l’esito della richiesta.

Le giornate si susseguono secondo il regolamento interno del penitenziario: sveglia, ora d’aria, pranzo, cena, con una ripetitività inesorabile. Esistono le attività trattamentali che includono le attività lavorative, spesso occasionali e, purtroppo, per mancanza di fondi, non riguardano tutti i detenuti.

Il carcere è una realtà dura, e problemi come il sovraffollamento, la carenza di strutture e di risorse, gli episodi di violenza, vi generano tanta sofferenza”. Lo ha ricordato il Pontefice nella sua visita ad aprile alle detenute della Giudecca a Venezia invitando a “non togliere la dignità a nessuno”. Il carcere “può anche diventare un luogo di rinascita, morale e materiale, in cui la dignità di donne e uomini non è “messa in isolamento”, ma promossa attraverso il rispetto reciproco e la cura di talenti e capacità”.

La capacità ricettiva delle carceri italiane ha reso il sovraffollamento “strutturale e sistemico”, come, appunto, definito dalla Corte per i diritti umani del Consiglio d’Europa nella famosa sentenza “Torreggiani” del 2014.

Tuttavia, è bene precisare che l’Italia, in base ad una consolidata prassi amministrativa, calcola la capacità ricettiva del proprio sistema penitenziario facendo riferimento ad un parametro più elevato rispetto a quelli impiegati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e da numerosi altri Stati membri del Consiglio d’Europa.

Invero, non esistendo nessuna fonte normativa che dica quanto spazio ciascun detenuto debba avere all’interno della camera detentiva, l’Amministrazione penitenziaria ha ritenuto di individuare come criterio idoneo per definire la capienza ottimale delle camere di pernottamento quello previsto dal Ministero della sanità con d.m. 5 luglio 1975 il quale individua in nove metri quadri la superficie minima delle camere da letto delle civili abitazioni.

Tale dato numerico, indicato per le camere da letto delle civili abitazioni, è stato adottato dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per determinare la superficie regolamentare degli ambienti detentivi, e calcolando così la capienza regolamentare degli istituti sulla base della disponibilità di nove metri quadrati per una persona, ai quali vanno aggiunti ulteriori 5 metri quadri per ciascun detenuto nelle camere detentive multiple.

Sulla base di tali criteri viene elaborato il dato della capienza complessiva del sistema penitenziario italiano, periodicamente pubblicato dal Ministero della giustizia che al 30 giugno 2024 – come rappresentato, anche graficamente, dal Sole 24 ore – registrava un indice di sovraffollamento di circa il 120%, essendo presenti nei penitenziari italiani diecimila reclusi in più rispetto al massimo consentito.

A ciò, occorre aggiungere che il patrimonio edilizio destinato alla detenzione, attualmente, è costituito da oltre duecento complessi demaniali edificati in epoche diverse e per destinazioni, in alcuni casi, non afferenti alla specifica funzione carceraria, alla quale sono stati adattati solo successivamente (ad esempio i modelli monastici degli edifici a corte).

Vi sono poi modelli architettonici che, seppure realizzati per uso detentivo, risalgono al periodo antecedente all’abolizione della pena di morte ed alla prima legge relativa all’edilizia penitenziaria (legge 14 luglio 1889, n.6165), quali ad esempio le case circondariali e di San Vittore (Milano) e di Regina Coeli (Roma).

Solo con la riforma penitenziaria si inizia a porre il problema della disponibilità delle strutture e solo nell’epoca giolittiana viene soppresso l’uso della catena al piede per i condannati ai lavori forzati e l’eliminazione delle disumane punizioni della camicia di forza, dei ferri e della cella oscura.

Detti sistemi, anche sotto l’aspetto strutturale, rilevano l’inadeguatezza a contenere spazi destinati alle attività di lavoro, di studio e formazione per i detenuti aventi la stessa dimensione dell’area utilizzata per le attività detentive.

Del pari, l’inadeguatezza riguarda anche l’adeguamento di questi istituti ai più moderni standard edilizi della sicurezza e della salubrità dei luoghi di lavoro anche delle strutture per il personale dell’amministrazione penitenziaria.

Appare ormai improcrastinabile la tanto attesa rivoluzione copernicana del pianeta carcere tra misure alternative e riorganizzazione degli istituti penitenziari. Per provvedere alla realizzazione delle opere necessarie per far fronte alla grave situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari, il Governo ha recentemente nominato il nuovo Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, dott. Marco Doglio, il cui recente decreto d’incarico è stato firmato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, su proposta del Ministro della giustizia Carlo Nordio, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini.

Affinché il sistema carcerario possa finalmente offrire ai detenuti e alle detenute “strumenti e spazi di crescita umana, spirituale, culturale e professionale, creando le premesse per un loro sano reinserimento” – come ci chiede a gran voce Papa Francesco – occorrono, quindi, interventi organici e sistematici che non possono prescindere dalla complessità del carcere, dalla territorialità della detenzione nel senso di detenzione e residenza del detenuto, ma anche di vicinanza a nodi stradali importanti per consentire ai familiari di preservare l’affettività con il ristretto e garantirgli una migliore condizione di vita.

Una significativa inversione di tendenza dell’attuale gestione in materia di edilizia penitenziaria richiede, perciò, interventi infrastrutturali e piani strategici di riorganizzazione degli istituti nonché di realizzazione di nuovi istituti penitenziari e di alloggi di servizio per la polizia penitenziaria, unitamente alla promozione di percorsi di esecuzione della pena differenziati e trattamenti individualizzati finalizzati alla rieducazione ed al reinserimento dei detenuti

Solo così potrà essere accolto il monito di papa Francesco “non isolare la dignità, ma dare nuove possibilità!”.