Nel Libano in fiamme una testimonianza collettiva di carità

I cristiani in Libano accolgono migliaia di persone in fuga dai bombardamenti

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CREDIT: UFFICIO IMAGOECONOMICA

In Libano la presenza cristiana è cospicua. Tre milioni di libanesi sono espatriati, due terzi dei quali sono cristiani. La composizione religiosa è eterogenea: musulmani 55% (di cui 34% sciiti e 21% sunniti), cristiani 37 % (di cui 20 % maroniti), drusi 7%. Una escalation “inaccettabile”, per Papa Francesco, quella che si registra in Libano, dove ondate di raid israeliani contro Hezbollah hanno provocato finora centinaia di morti tra civili e bambini.  “Sono addolorato dalle notizie che giungono dal Libano dove intensi bombardamenti provocano molte vittime e distruzioni”, ha detto Jorge Mario Bergoglio. Ribadendo la vicinanza ad una popolazione già piagata da anni da una crisi politica, economica e sociale che sembra senza soluzione e dalle conseguenze della drammatica esplosione del porto di Beirut nel 2020. Il Pontefice esprime la sua vicinanza al popolo libanese che “già troppo ha sofferto”: Una testimonianza collettiva di misericordia cristiana arriva proprio dal Libano. “Ognuna delle famiglie cristiane dei villaggi intorno a Deir El-Ahmar ha accolto tre o quattro famiglie, cioè tra 30 e 60 persone”, spiega alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) monsignor Hanna Rahmé, arcivescovo maronita di Baalbek-Deir El-Ahmar a Beqaa, nell’est del Libano. I bombardamenti israeliani stanno colpendo le zone strategiche presenti nel territorio della sua arcidiocesi, in particolare la regione intorno a Baalbek, dove si ritiene ci siano basi di Hezbollah. E allo stesso tempo i villaggi dove vivono sia cristiani sia musulmani.

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Foto di Charbel Karam su Unsplash

Libano sotto le bombe

L’arcidiocesi di monsignor Rahmé copre circa il 27% della superficie del Paese e si trova in una regione che conta circa 450.000 musulmani sciiti. Il prelato racconta che anche nell’area intorno alla città di Deir El-Ahmar i bombardamenti avvengono quotidianamente, prendendo di mira i siti militari ed economici di Hezbollah che distano solo tra i cinque e i venti chilometri dal centro. “Siamo soffocati dal numero di sfollati, ma non possiamo abbandonarli al loro destino- dichiara monsignor Rahmé-. Ho parlato alla televisione locale e mi sono rivolto alle persone nelle zone sotto bombardamento. Dicendo loro che le nostre case erano pronte ad accoglierli”. E, aggiunge, “i musulmani sono enormemente toccati da questa solidarietà cristiana“. Secondo monsignor Rahmé, circa 13.000 persone sono fuggite nelle zone dell’arcidiocesi dove la popolazione è prevalentemente cattolica. A Deir El-Ahmar, dove si trova la sede episcopale, e nei villaggi circostanti, circa 2.300 persone sono state accolte da istituti scolastici. Mentre altre 5.000 sono state ospitate in case private e 1.500 in chiese e conventi. Secondo l’arcivescovo, però, molti degli sfollati devono dormire per le strade cittadine e ancora di più sono quelli partiti per il Nord o per la Siria. I dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), tra il 21 settembre e il 3 ottobre, attestano che circa 235.000 persone hanno raggiunto la Siria via terra. Tra cui 82.000 libanesi e 152.000 siriani.

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Foto di Nabih El Boustani su Unsplash

Aiuti agli sfollati

La preoccupazione maggiore di monsignor Rahmé è quella di far arrivare aiuti agli sfollati e alle famiglie ospitanti. Queste ultime sono allo stremo perché già impoverite dalla crisi economica. “Le Ong sul posto stanno aiutando gli sfollati nelle scuole, ma non quelli accolti dalle famiglie o le famiglie stesse”, lamenta l’arcivescovo. Aggiungendo: “Questo è il motivo per cui l’arcidiocesi si sta prendendo cura di loro. Tuttavia, la situazione è molto critica. Abbiamo urgente bisogno di aiuti alimentari, materassi e coperte. E siamo molto grati ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che ci ha offerto immediatamente un aiuto vitale. Vi preghiamo di rimanere al nostro fianco“. Riferisce la Caritas: “Il problema palestinese, ha provocato molti problemi anche fra gli stessi arabi e il riconoscimento dell’esistenza di Israele senza confini che ledano i diritti palestinesi sono le due facce di una medaglia insanguinata. Entrambe le facce sono difese da interessi stranieri che si stanno pericolosamente ammantando di tinte religiose e di scontro di civiltà”. Il Libano, infatti, “si trova a fare da cuscinetto e la popolazione da capro espiatorio. L’azione della solidarietà è un elemento essenziale, ma fino a quando la comunità internazionale non risolverà i due problemi più importanti, la formazione dello stato palestinese e la sicurezza di Israele, il futuro sarà pieno di dolore“.

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Foto di Christelle Hayek su Unsplash

Sos Libano

 “Potete salvare il Libano prima che cada nell’abisso di una lunga guerra che porterà distruzione e sofferenza, come vediamo a Gaza”, dice il premier Netanyahu in un messaggio ai libanesi. Confermando che è stato eliminato il successore di Nasrallah alla guida di Hezbollah. Israele ha allargato l’operazione di terra nel sud del Paese fino alla zona dove si trovano i soldati italiani di Unifil in massima allerta. L’Idf ordina l’evacuazione dell’ospedale di Gaza nord mentre una serie di raid si sono abbattuti sulla periferia sud di Beirut. Il Pentagono annuncia che è stata “rinviata la visita del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant”. E il presidente Usa Joe Biden, preoccupato, teme una guerra su vasta scala. “La crescente digitalizzazione delle nostre vite fornisce agli attacchi cyber la base per causare, fuori dai campi di battaglia, effetti analoghi a quelli un tempo realizzati solo attraverso azioni militari estremamente costose”, ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Alfredo Mantovano, intervenuto questa al Cybertech Europe 2024 presso La Nuvola dell’Eur a Roma.

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Foto © Palazzo Chigi

Pericolo-hacker

Prosegue Alfredo Mantovano: “Vi è un crescente numero di hacker che presentano legami diretti o indiretti con governi di altri nazioni o comunque con gruppi che si muovono nell’agone geopolitico. Pensiamo, con tutti i distinguo del caso, alle esplosioni delle migliaia di cercapersone in Libano di qualche settimana fa. Pensiamo a quanto riferito dal Wall Street Journal, di hacker cinesi che sarebbero riusciti a penetrare nella rete di provider di banda larga negli Stati Uniti. La crescente instabilità geopolitica globale ha quindi trasformato la cyber sicurezza da una questione di resilienza, a una questione di sicurezza”. E “questo salto di qualità della minaccia richiede una strategia di contrasto particolare. Una strategia che sia capace non soltanto di prevenire i singoli incidenti, ma anche di ridurre al minimo le vulnerabilità di caos del sistema. L’approccio del governo italiano ruota attorno a tre priorità. Migliorare la resilienza delle infrastrutture digitali. Sostenere una maggiore autonomia strategica. Accrescere negli operatori, sia pubblici che privati, la consapevolezza delle misure di controllo“.