Rapporto Gimbe: “4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure”

La Fondazione GIMBE avverte della crisi del Servizio Sanitario Nazionale e della grave carenza di personale, in particolare infermieri. Nel 2023, la spesa privata per la salute in Italia è aumentata del 10,3%, mentre 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a cure per motivi economici

CREDIT: CARLO CARINO BY AI MID

La Fondazione GIMBE ha riportato un aumento del 10,3% nella spesa privata per la salute nel 2023, con quasi 4,5 milioni di italiani che hanno rinunciato a cure, principalmente per motivi economici. Questo scenario, insieme a disuguaglianze regionali e problemi di accesso alle cure, evidenzia una crisi del Servizio Sanitario Nazionale vicino al punto di non ritorno. Inoltre, la spesa per la prevenzione è calata del 18,6%. GIMBE avverte che il definanziamento della sanità pubblica, in atto da oltre 15 anni, non mostra segni di miglioramento e che la crisi del personale sanitario sta peggiorando, con una carenza di infermieri ben al di sotto della media OCSE.

Gimbe: “La spesa privata per curarsi impenna del 10% in un anno”

La spesa per la salute pagata di tasca propria dalle famiglie italiane vede una impennata del 10,3% nel solo 2023 e sono quasi 4,5 milioni le persone che, nello stesso anno, hanno rinunciato alle cure. Questi numeri, uniti alle diseguaglianze regionali e territoriali, alla migrazione sanitaria e ai disagi per i tempi di attesa e i pronto soccorso affollati “dimostrano che la tenuta del Servizio sanitario nazionale è prossima al punto di non ritorno”. La fotografia è scattata dal settimo rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario nazionale, presentato oggi a Roma. Rispetto al 2022, nel 2023 i dati Istat documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+4.286 milioni di euro) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica.

Cartabellotta: “4,5 milioni di italiani rinunciano alle cure”

“Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie. Una situazione in continuo peggioramento”. La spesa ‘out-of-pocket’, ovvero quella pagata direttamente dai cittadini, che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6% (+5.326 di euro in 10 anni), nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% (+3.806 milioni) in un solo anno. A questo si aggiunge il fatto che, secondo l’Istat, nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici per diversi motivi di cui 2,5 milioni per motivi economici, quasi 600.000 in più dell’anno precedente. Crolla poi la spesa per la prevenzione: rispetto al 2022, nel 2023 si riduce di ben 1.933 milioni (-18,6%), anche se tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire. Numeri che mostrano, spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, “come princìpi fondanti di universalismo, equità e uguaglianza sono stati ormai traditi e che si sta lentamente sgretolando il diritto costituzionale alla tutela della salute, in particolare per le fasce socio-economiche più deboli”.

“Nel Piano di Bilancio nessun rilancio per sanità pubblica”

“La grave crisi di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale è frutto del definanziamento attuato negli ultimi 15 anni da tutti i Governi”. E “le previsioni per il prossimo futuro non lasciano intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico per la sanità”. E’ la riflessione contenuta nel settimo rapporto sul Servizio sanitario nazionale, presentato oggi dalla Fondazione Gimbe a Roma. Gimbe rileva che secondo il Piano Strutturale di Bilancio (Psb), il rapporto spesa sanitaria/pil si riduce dal 6,3% nel 2024-2025 al 6,2% nel 2026-2027. E, a fronte di una crescita media annua del pil nominale del 2,8%, nel triennio 2025-2027 il Psb stima una crescita media della spesa sanitaria del 2,3% annuo. Il Fabbisogno (o Fondo) sanitario nazionale dal 2010 al 2024 è aumentato di 28,4 miliardi di euro, in media 2 miliardi per anno, ma con trend diversi.

Il periodo pre pandemico e il Covid

Nel periodo pre-pandemico (2010-2019) alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi tra tagli e minori risorse assegnate rispetto ai livelli programmati. Quindi nel 2020-2022 il fabbisogno sanitario è aumentato di 11,6 miliardi, una cifra tuttavia assorbita dai costi della pandemia Covid-19. Per gli anni 2023-2024 è aumentato di 8.653 milioni di euro ma, nel 2023 ben 1.400 milioni sono stati assorbiti dalla copertura dei maggiori costi energetici e dal 2024 oltre 2.400 milioni sono destinati ai rinnovi contrattuali del personale. “Questi dati – spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – confermano che il definanziamento prosegue”. Questo va di pari passo a una “crisi del personale sanitario senza precedenti”, afferma Cartabellotta. Turni massacranti, burnout e basse retribuzioni stanno portando a un progressivo abbandono: secondo la Fondazione Onaosi tra il 2019 e il 2022 la sanità pubblica ha perso oltre 11.000 medici per licenziamenti o conclusione di contratti e Anaao-Assomed stima ulteriori 2.564 abbandoni nel primo semestre 2023. Ma la vera crisi riguarda il personale infermieristico. Con 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, l’Italia è ben al di sotto della media Ocse (9,8).

Fonte: Ansa