“Brat”, una storia di solidarietà e accoglienza sulla rotta balcanica

L'opera di accoglienza dei migranti minorenni non accompagnati sulla rotta balcanica raccontata a Interris.it da Silvia Maraone, coordinatrice dei progetti di Ipsia a tutela dei rifugiati e richiedenti asilo in Bosnia Erzegovina e Serbia

L’inaugurazione della “Safe House” a Bihac (@ Ipsia - ph. Matteo Placucci)

Il termine “rotta balcanica” si riferisce comunemente al percorso compiuto da migranti provenienti soprattutto dal Medio Oriente e dall’Asia per raggiungere il Nord Europa passando attraverso la Grecia, la Macedonia del Nord, la Bulgaria, la Serbia, la Croazia, la Slovenia e la Bosnia Erzegovina. In particolare, su tale percorso, il 13% di coloro che vi transitano, è rappresentato da minorenni non accompagnati i quali, dopo aver vissuto gravi privazioni e sofferenze, hanno bisogno di essere presi in carico a 360 gradi.

L’esperienza di Ipsia

In Bosnia Erzegovina, dal 1997, con lo scopo di incentivare la solidarietà tra i popoli, la cultura della pace e della prossimità verso i migranti, Ipsia, con il supporto di altri partner come Caritas e Croce Rossa, sta mettendo in campo diverse progetti di inclusione. Uno di questi è “Brat” il quale, nei giorni scorsi, ha visto l’inaugurazione di una “Safe House” destinata all’accoglienza dei giovani in transito sulla rotta balcanica. Interris.it, in merito a questa esperienza di prossimità e accoglienza, ha intervistato Silvia Maraone, coordinatrice dei progetti a tutela dei rifugiati e richiedenti asilo in Bosnia Erzegovina e Serbia.

(@ Ipsia – ph. Matteo Placucci)

L’intervista

Maraone, come nasce e che obiettivi ha la “Safe House” recentemente inaugurata a Bihac?

“La ‘Safe House’, inaugurata lo scorso 25 settembre a Bihac, è nata all’interno di un progetto triennale, finanziato dall’agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo. Il suo nome è ‘Brat’, termine che, in lingua bosniaca, significa ‘fratello’ ed è l’acronimo di ‘Balcan Route Accoglienza in Transito’. Gli obiettivi che si intendono raggiungere sono diversi: quello di carattere generale è l’aiuto alla Bosnia Erzegovina nella gestione dell’immigrazione, fornendo l’expertise che, organizzazioni come la nostra, la Caritas e la Croce Rossa hanno, grazie all’esperienza acquisita in precedenza.”

In quali zone del Paese operate? In che modo si svolge la vostra azione di prossimità?

“Operiamo in tre diverse realtà geografiche della Bosnia Erzegovina, ovvero Tusla, Sarajevo e Bihac. In questi luoghi abbiamo sviluppato diversi servizi, uno di questi è la gestione di diverse strutture, come ad esempio la ‘Safe House’, all’interno della quale saranno destinati prioritariamente i minori non accompagnati. Essi rappresentano il 13% dei migranti in transito sulla rotta balcanica, i quali viaggiano senza famiglia e, di conseguenza, non sono ben allocati all’interno dei centri di accoglienza. Ipsia e Caritas, all’interno di questi ultimi, attuano altri progetti, come ad esempio ‘Social Corner’ che, sotto l’usbergo di ‘Brat’, sviluppa diverse attività di carattere psicosociale. Inoltre, la Croce Rossa, mette in campo diverse attività a sostegno delle persone fuori dai campi le quali, in alcuni casi, provano ad attraversare i confini, vengono respinte e, pertanto, le unità mobili della Croce Rossa, intervengono. La ‘Safe House’ quindi, rientra tra le tipologie di supporto che, ormai da due anni, stiamo cercando di dare alla Bosnia – Erzegovina.”

Foto di Moshe Harosh da Pixabay

In che modo, attraverso le attività di questa struttura, aiuterete i giovani minorenni in transito sulla rotta balcanica?

“Ogni ragazzo che entrerà nella ‘Safe House’, in base al caso individuale, vedrà molta attenzione verso i propri bisogni. Molto spesso invece, nelle realtà di accoglienza dei campi, le persone sono dei numeri. Qui invece, verranno riconosciute in base alla propria individualità, caratteristiche e ispirazioni. Quindi, dopo un primo momento di analisi da parte di psicologi e educatori, verranno realizzate attività su misura per il singolo giovane. Inoltre, verranno date informazioni in merito al loro status e ai loro diritti in Bosnia Erzegovina, ovvero cosa prevedono le leggi e la protezione internazionale di cui usufruiscono in quanto minorenni. In seguito, verranno sviluppate le loro singole attitudini e talenti, supportandole nella loro quotidianità e facendogli riacquistare i ritmi del vivere in comunità.”

Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione a Bihac?

“In questo momento ci troviamo in una fase delicata. Stiamo avviando le attività attraverso una fase di selezione e formazione degli educatori che lavoreranno nel centro e, dall’altra, si sta svolgendo un’opera di ricostruzione delle relazioni con i tanti attori presenti sul posto, ovvero le istituzioni, le organizzazioni internazionali e i ministeri che si occuperanno della gestione dei ragazzi nella ‘Safe House’. Lo sviluppo della stessa ha come obiettivo il portare questo modello di struttura nell’ambito dell’aggiornamento delle leggi vigenti in materia di flussi migratori in Bosnia – Erzegovina. La migrazione non deve essere pensata come un’emergenza e gestita in grandi centri di transito, ma occorre costruire molti piccoli centri di accoglienza destinati alle singole categorie, con l’obiettivo di facilitare la permanenza della persona e la sua inclusione nel contesto. La finalità, quindi, è quella di portare ad una riforma del sistema di accoglienza. Chi lo desidera, può sostenerci in diversi modi, sia dal punto finanziario che svolgendo volontariato sul campo in diverse modalità e attraverso diverse azioni. Al fine di individuare le diverse finalità è possibile visitare il nostro sito e contattare le nostre sedi.”