L’ateismo di Nietzsche

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La principale conseguenza della rivoluzione kantiana, che aveva posto l’uomo al centro dell’universo, è stata la nascita degli ideali che hanno caratterizzato il romanticismo, con l’individuazione dell’eroe, intriso di sentimenti a cui improntava la visione del mondo, e dell’idealismo in filosofia, che antepone il pensiero all’essere: una cosa esiste in quanto è pensata ed è la ragione a stabilire la realtà, che viene così ridotta alla sola apparenza soggettiva, epurata dalla sua esistenza in sé, che Kant aveva individuato nel noumeno.

È il fenomeno che invece distingue le cose, che sono recepite così come appaiono a ciascuno. Ancorché coevi, romanticismo letterario e idealismo filosofico non rispondono agli stessi schemi in quanto nel primo la ragione viene retrocessa a limite dell’espressione di sé mentre nel secondo è proprio l’attività della ragione a distinguere l’esistente. Se Goethe, Byron e Manzoni interpretarono gli ideali dell’uomo romantico, cavalcandone le passioni, i sogni e le aspirazioni, Hegel distingue il reale dall’esistente ed attribuisce l’individuo a quest’ultimo, mentre riconosce solo allo spirito, che definisce assoluto, la sintesi dialettica tra particolare ed universale che si manifesta nel divenire.

Ma sono proprio le conseguenze sulla perfettibilità derivante da questa aspirazione universale a razionalizzare la realtà e che troveranno un infelice sbocco nel materialismo storico, a cui si è ispirata la sinistra intellettuale con la morte dell’uomo nel predominio delle istituzioni programmate al suo bene, ad avere generato la prorompente reazione del bisogno di sé sfociato nell’oltreuomo di Nietzsche, che demolisce i pregiudizi, le convenzioni e le regole santificanti, ricercando solo dentro di sé la volontà di potenza per affermarsi nella vita. Da qui il passo alla lotta alla religione in generale ed al cristianesimo in particolare è stato brevissimo: anzi, è proprio in tale ostilità al creatore ed alla sua incarnazione, ritenuti infarciti di idoli asfissianti, che trova la propria esternazione superando la dialettica esistenziale tra il bene ed il male e ponendosi oltre, per la nascita dell’uomo nuovo. Il suo eponimo fu Napoleone, la cui breve ed infelice parabola ne mostra tutti i limiti.

Il pensiero occidentale è in imbarazzo nei confronti del grande filosofo rivoluzionario, oscillando tra l’ammirazione per la forza dirompente nei confronti degli schemi oramai desueti ed incancreniti e la commiserazione per la malattia mentale da cui era affetto, che impedisce la teorizzazione sistematica del suo pensiero. Egli ruppe con il cristianesimo, con gli ideali romantici, con la metafisica, con la morale comune: si pose oltre, al di là del bene e del male, assunse la tragedia a ideale di vita, esaltò l’inconscio, proruppe con violenza nel mondo accademico lasciando sconcertati non solo i suoi contemporanei. Gli sfuggì che l’uomo è anche quotidianità, con il bisogno, direi fisico, di tranquillità e di serenità, a cui la mente non deve appiattirsi rinunciando alle sue forze ma deve considerare i limiti concreti del corpo: l’oltreuomo appartiene alla mente ma non al corpo che rimane umano, anche se troppo umano, ed ogni tentativo di ingigantirlo è destinato a perire sia in sé che intorno a sé.

Eppure Nietzsche ha aperto la strada al nichilismo, frutto dell’esistenzialismo conseguente alla supervalutazione di sé, squarciando il velo di Maya dell’apparenza per vedere che non esistono valori, non esistono ragioni né scopi, non esistono risposte, tutto è come è in un fluire continuo che rende finanche impossibile l’osservazione. La percezione nietzschiana anticipa le scoperte scientifiche che seguiranno alla crisi dell’osservabile ma sposta nell’intelletto le leggi della fisica restituendo in sostanza priorità alla natura, annullando nuovamente l’uomo, ridotto a mero accidente di essa. Ma nonostante il fascino delle sue veementi contestazioni e l’abbaglio delle sue nuove verità, le sue idee hanno degenerato verso la decostruzione delle civiltà innescando un processo demolitorio e distruttivo fine a se stesso, senza spazio per nulla poiché tutto può essere annientato, anzi deve esserlo, senza spazio né salvezza, defluendo nel nulla.