L’importanza di essere liberi dal peccato

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Fin dai primi secoli dello sviluppo della spiritualità cristiana, è stato chiaro che le passioni siano il più grande nemico della crescita spirituale. Alcuni autori, come Evagrio Pontico, hanno persino cercato di classificarle; ad esempio Evagrio enuclea le seguenti: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia. In pratica, ogni passione è legata ad un peccato. Gregorio Magno propone una divisione, che poi ritroviamo anche nel catechismo: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia.

Le differenze in questo elenco sono interessanti e meritano un’analisi più approfondita, per la quale non c’è spazio in questa sede. Ma soffermiamoci sulla passione (cioè sul peccato a cui conduce) dell’invidia, di cui parliamo all’inizio del Vangelo di oggi. Ecco i discepoli vedono che qualcun altro agisce come loro nel nome di Gesù. Si sentono minacciati nel loro monopolio, che conferiva loro posizione e potere. Allora cosa pensano di fare? Vogliono escludere questo qualcun altro. Un meccanismo tipico, che si verifica spesso. Quanto ci è familiare, per le nostre esperienze con noi stessi e con gli altri. La società di oggi è costellata di continui sguardi verso l’alto, paragoni, superamenti, sorpassi. Quando questi non ci portano beneficio, ci sentiamo male, tristi e frustrati. Di conseguenza, decidiamo di fare cose cattive contro coloro che invidiamo. La letteratura e la storia sono piene di esempi di questo tipo, con il caso di Gesù di Nazareth in primo piano. Egli fu condannato a morte a causa dell’invidia nutrita nei suoi confronti dai leader spirituali dell’epoca in Israele.

Essere liberi dalle passioni è fondamentale. O almeno cercare di esserlo. Come hanno notato i maestri della vita spirituale, una passione ne porta altre. Pertanto, sono necessari attenzione e duro lavoro. Oggi abbiamo così tante cose importanti da fare che ci dimentichiamo della nostra spiritualità. E da qui nascono tanti problemi tra di noi.

Non c’è da stupirsi, quindi, che Gesù dimostri quasi ossessivamente la necessità di combattere le passioni: è una lotta per la salvezza. In essa bisogna fare attenzione a sradicare le passioni dalle loro radici. E queste giungono dall’esterno, attraverso i sensi, attraverso il nostro corpo (occhio, mano, gamba). È quindi necessario curare l’integrazione del corpo con lo sviluppo spirituale, diversamente ci possono essere danni. Questo è il significato di queste parole radicali del Signore Gesù. Si tratta in realtà della preoccupazione di evitare il peccato, che non è possibile se non è combinata con il desiderio di sviluppo spirituale verso la santità.

È la nostra responsabilità per il completamento salvifico della creazione. Dopo tutto, non siamo stati creati per mutilare il nostro corpo, ma per essere divinizzati e glorificare Dio. Tuttavia, se non riusciamo a integrarlo, concentriamoci su ciò che è possibile, limitando le nostre esperienze sensoriali e corporee per non essere distrutti dalle passioni. È una questione di determinazione. La grazia farà il resto. Come possiamo vedere dalla storia dei santi, alla fine la stragrande maggioranza di loro è entrata in paradiso con gli occhi, con le mani e con i piedi.