La “notriphobia” consiste nella paura, tipica del mondo contemporaneo e globalmente digitalizzato, di non aver viaggi in programma per poter riposare e, al tempo stesso, mostrare sui social la propria felicità, il proprio successo. Il neologismo è di origine inglese e deriva dall’unione delle parole “no trip phobia” (letteralmente “fobia di nessun viaggio”). Si tratta di una forma di stress che riguarda soprattutto i giovani, preoccupati di non essersi attivati in tempo per prenotare delle vacanze, in particolare nei periodi più classici. Condiziona pesantemente la qualità della vita di chi ne soffre.
Notriphobia, le origini del disturbo
Il disturbo comprende diversi aspetti che, tra loro, possono convergere o divergere e, in genere, sono legati alle caratteristiche del mondo attuale. Fra questi, il desiderio, inappagabile, di pianificare la propria vita, di programmare il futuro e di condizionarlo in modo deciso, per controllare tutto ed evitare intralci. Questa pretesa, poggiante su sopravvalutazioni di sé, si scontra con la realtà ed evidenzia, con maggiore veemenza, l’impreparazione agli inevitabili imprevisti.
L’esigenza di programmare l’esistenza sempre più in linea con i propri desideri e gusti, dunque, si sviluppa in tutti i settori, anche quello dei viaggi. Tali circostanze, inoltre, sublimano i sensi perché correlati al riposo, al divertimento, al consumo. Le aspettative riposte, quindi, sono notevoli: tutto deve filare alla perfezione, anche la prenotazione, pur di sentirsi in empatia con la società della felicità.
Banalizzare il quotidiano
Altro aspetto è quello della banalizzazione del quotidiano, di tutte le esperienze e le attività interessanti che si possono svolgere nelle giornate comuni, incentrando la novità e la conoscenza solo alle visite di luoghi lontani. Il viaggio non è una fuga da giornate ritenute vuote o sprecate. È opportuna una maggiore considerazione e valorizzazione del quotidiano, in cui vivere e apprezzare le persone e il mondo circostante, per poi programmare, senza un’esasperante pianificazione, l’escursione desiderata.
L’ansia da calendario bianco
Il viaggiare, visto non solo come vacanza e relax, è anche una forma di realizzazione. Non aver idee o qualcosa di concreto in programma, può far scattare campanelli d’allarme per la persona che si sente persa, svuotata, non più in grado di affrontare il mondo; si considera, soprattutto, senza idee: una condizione impossibile da sostenere nel mondo attuale. Si patisce, quindi, l’ansia di trovarsi con il calendario “bianco” senza alcuna gita inserita nell’elenco. Tale metafora, tuttavia, si contrappone a quella dell’agenda zeppa di appuntamenti. A volte, dunque, in questo delicato bilancio esistenziale, se a spaventare è la fitta rete di impegni, può essere apprezzabile un periodo di ripresa e di respiro: un calendario meno ricco non è necessariamente negativo.
Immobilismo e fallimento
Un altro risvolto da considerare è quello legato all’“offerta”: nell’era digitale, in cui il web propone parecchi sconti e riduzioni imperdibili, il non riuscire ad approfittarne (per sopraggiunta scadenza) può risultare come un fallimento, al punto da rinunciare al viaggio. Il rischio, quindi, è quello di non essersi mossi in tempo e di rimaner fermi: ipotesi considerata come una iattura, anche perché verrebbe a mancare importante materiale da sfoggiare sui social.
Notriphobia “estiva”
L’ansia e lo stress provati per tale fobia, si verificano soprattutto nel periodo estivo, quello dedicato alle ferie e al bel tempo. Il modello irrinunciabile della “vacanza h24”, potenziato dai social, produce, tuttavia, ripercussioni distribuite per tutto l’anno. Fra queste, il fatidico Capodanno in cui, tranne rare eccezioni, non si riesce a programmare se non in prossimità dell’evento. L’ansia di non poter godere appieno di tale festa o di rimanerne fuori, bollati dal web, si evidenzia già alcune settimane prima. Una situazione simile si presenta nell’approssimarsi del Ferragosto.
Rischio depressione
L’incapacità o l’impossibilità di programmare una vacanza, per problemi logistici, economici, di mancanza di mezzi o idee, potrebbe condurre a un’insoddisfazione al limite della depressione. Il rischio paventato è quello dell’esclusione sociale: di non aver prospettive da raccontare (prima e dopo) ad amici e parenti. Durante l’omelia della Messa del Giovedì Santo, lo scorso 28 marzo, Papa Francesco ricordò “Occorre però comprendere bene che cosa significhi piangere su noi stessi. Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Ciò avviene, a esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. […] Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito […] È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza”.
L’analisi
Andrea Bocconi, psicoterapeuta, è l’autore del volume “Viaggiare e non partire”, pubblicato da “Ediciclo” nel maggio scorso. Parte dell’estratto recita “Si può viaggiare in tanti modi: c’è chi viaggia sempre e non parte mai; c’è chi parte e va lontano senza bisogno di viaggiare; c’è chi parte e viaggia e c’è chi non parte e non viaggia. Viaggiare e non partire è dedicato a tutti coloro che viaggiano, fisicamente o solo con la fantasia. Un libro che ospita suggerimenti, pensieri, citazioni, storie ed esperienze dei viaggi più strani e diversi”.
I numeri della notriphobia
PiratinViaggio, piattaforma dedicata alle offerte di viaggi, il 20 maggio scorso ha pubblicato i “risultati esclusivi della seconda edizione dell’Osservatorio sui trend estivi dei vacanzieri”. Fra i numerosi dati, si leggeva “Quattro italiani su dieci soffrono di ‘notriphobia’ ovvero la paura di non aver nessun viaggio prenotato; a essere in ansia e preoccupati sono in particolare i GenZer, dato che in questo caso il rapporto sale a più di cinque su dieci (53%). […] Ed è forse proprio per combattere questa paura che 9 persone su 10 (87%) andranno in vacanza quest’estate. Inoltre il 60% dei rispondenti vede il viaggio come una priorità tanto da aver ridotto altre spese per il proprio tempo libero in vista dell’estate, come meno cene al ristorante e shopping ‘moderato’, con un picco al 70% per la Gen Z”.
Disturbo e società
Nella società della comodità è raro recarsi in giro senza una meta e raccogliere, poi, le avventure quotidiane; il digitale favorisce una pianificazione molto dettagliata, a volte esagerata (minando l’effetto sorpresa) ma i social pretendono questo: esibire la meta da raggiungere, certificarla con immagini e video, corroborare il ricordo nei giorni successivi al rientro. Alla base di questa fobia c’è un altro aspetto fondamentale, spesso sottovalutato: la paura di non poter viaggiare per la mancanza di un partner o di un amico. In tal caso, infatti, l’esclusione sociale e la solitudine si presentano a priori, mancando le persone con cui condividere delle esperienze. Eccetto i casi in cui si sceglie intenzionalmente il viaggio in solitario, la mancanza di mete può essere un’aggravante di chi avverte e vive uno stato di solitudine.
Guardarsi dalle aspettative terapeutiche
Diverse sono le motivazioni e le considerazioni di chi, per vari motivi, soprattutto economici, non può neanche ipotizzare mete, percorsi e visite; in tal caso, non sussiste il rischio di esclusione sociale e social. È opportuno anche rivalutare il senso della vacanza e non considerarla come l’occasione, imperdibile, in cui coniugare piacere e riposo: non si tratta dell’unica soluzione per eliminare lo stress accumulato. Le aspettative “terapeutiche” rischiano di caricare eccessivamente il viaggio e, di conseguenza, rendere più complesse le relative programmazioni e le finalità risolutive. Paradossalmente, tali attese, anziché curare la tensione, la provocano.
Viaggiare senza programmazione
Il viaggio non è un dovere, non è un compito da adempiere, per rimanere in scia con il prossimo, fisico o virtuale. L’esigenza di pianificare la vita conduce alla sua negazione, al non viverla appieno, semmai in “appalto”, solo per mostrare all’altro le proprie capacità e la propria felicità. L’altro è in viaggio con noi, ogni giorno, in ogni momento, in ogni luogo, senza programmazione.