Cultura contro il razzismo. “Di fronte al dilagare di nuove forme di xenofobia e di razzismo, anche i leader di tutte le religioni hanno un’importante missione. Quella di diffondere tra i loro fedeli i principi e i valori etici inscritti da Dio nel cuore dell’uomo, noti come la legge morale naturale – afferma papa Francesco-. Si tratta di compiere e ispirare gesti che contribuiscano a costruire società fondate sul principio della sacralità della vita umana. E sul rispetto della dignità di ogni persona, sulla carità, sulla fratellanza – che va ben oltre la tolleranza – e sulla solidarietà“. Oltre un milione di copie vendute in Usa, tra i libri dell’anno preferiti da Barack Obama, in corso l’adattamento per il cinema di Steven Spielberg, è arrivato in Italia il romanzo “L’emporio del cielo e della terra” di James McBride, pubblicato da Fazi editore nella traduzione di Silvia Castoldi. Musicista jazz, sceneggiatore per Spike Lee, giornalista oltre che scrittore, McBride, nato nel 1957 da padre afroamericano e madre ebrea esule dalla Polonia, ha raggiunto la popolarità nel 1995 con “Il colore dell’acqua”. a la consacrazione è arrivata quasi vent’anni dopo con “The Good Lord Bird” vincitore del National Book Award nel 2013. Con “L’emporio del cielo e della terra“, carico di umanità, feroce, ironico, ha conquistato l’America dove per oltre trenta settimane consecutive è stato stabile ai vertici delle classifiche di vendita.
Cultura inclusiva
È l’epopea di una piccola comunità multietnica nella Pennsylvania degli anni Trenta. Nel quartiere di Chicken Hill a Pottstown, abitato principalmente da persone di colore e immigrati ebrei, i coniugi Moshe e Chona aiutano tutti come possono. Lui è proprietario di un club aperto alle persone di colore, lei gestisce un minimarket. Nella comunità vivono Nate e Addie che accolgono il loro nipote Dodo, dopo la morte della madre. Dodo è un bambino di dodici anni rimasto sordo in seguito a un incidente domestico. E quando muore sua madre il suo destino, per lo Stato, è di essere mandato in un istituto speciale per ragazzi con problemi. Moshe e Chona decidono così di nasconderlo in casa loro. Ma, in seguito a una soffiata, arriva sul posto Doc Roberts, un medico bianco e razzista che finisce per attaccare la donna e violentarla, mentre Dodo, unico testimone, viene portato via dalla polizia sopraggiunta sul luogo. Ma non tutto è perduto e a vincere è la forza salvifica dell’amore. Oltre a The Good Lord Bird, pubblicato nel 2021, prima di questo libro Fazi ha pubblicato anche il romanzo di McBride, Il diacono King Kong nel 2023. Libro vincitore del Kirkus Prize 2023. “Abbiamo tutti bisogno – e ce lo meritiamo – di un romanzo come questo: intriso d’amore e capace di superare tutte le differenze che vorrebbero dividerci”, scrive il Washington Post. “Ho amato questo libro”, osserva Bonnie Garmus. “Ogni volta che leggo un suo libro penso: ‘Questo è il suo libro migliore’. No. Questo è il suo libro migliore”, commenta Ann Patchett. “Uno di quei romanzi che diventano parte di te. È un grande libro. Ogni personaggio è ricco, ogni dettaglio è ricco. Non potrò mai consigliarlo abbastanza. È un grande scrittore e secondo me questo è il suo libro migliore”, sottolinea Harlan Coben.
Comunità
Nell’America degli anni Trenta, il quartiere di Chicken Hill a Pottstown, Pennsylvania, è una vivace comunità in cui persone di colore e immigrati ebrei convivono condividendo sogni e sofferenze. I coniugi Moshe e Chona, originari dell’Est Europa, sono profondamente legati alla gente del posto, che aiutano sempre come possono, e nel tempo sono diventati un punto di riferimento per tutti. Un giorno bussano alla loro porta i vicini Nate e Addie. Il nipote Dodo, un ragazzino di dodici anni rimasto sordo in seguito a un incidente domestico, è in pericolo. Sua madre è venuta a mancare, il piccolo ora è orfano e gli zii hanno ricevuto una lettera. Dodo verrà prelevato dalle autorità per essere mandato in un istituto speciale per ragazzi con problemi. Moshe e Chona accettano di nasconderlo, ma in seguito a una soffiata si reca sul posto Doc Roberts, un medico bianco e razzista che finisce per aggredire la donna mentre Dodo, unico testimone, viene portato via dalla polizia. Non tutto, però, è perduto.
Valore della cultura
Dal romanzo alla realtà. Alcune della maggiori case editrici Usa, da Penguin Random House a Simon & Schuster, hanno fatto causa allo stato della Florida per una legge che consente alle scuole di vietare determinati libri dalle biblioteche degli studenti. Nella citazione si evoca la violazione dei diritti del primo emendamento sulla libertà di parola. E si citano diversi libri censurati, tra cui capolavori come “Per chi suona la campana” di Ernest Hemingway o “Anna Karenina” di Leo Tolstoj e opere di altri autori come Maya Angelou. Al centro della causa c’è una legge approvata in Florida l’anno scorso che richiede alle scuole di sviluppare un meccanismo in cui i genitori possano opporsi a determinati libri trovati nelle biblioteche o nelle aule. I libri soggetti a rimozione sono quelli che “rappresentano o descrivono condotte sessuali” o che sono “inadeguati per il livello scolastico e la fascia d’età” degli studenti della scuola. Secondo un rapporto pubblicato in aprile da Pen America, un’organizzazione non-profit che sostiene la libertà di parola, in Florida sono stati banditi 3.135 libri da luglio 2021 a dicembre 2023, il numero più alto nel paese. La maggior parte dei libri rimossi sono quelli che includono personaggi di colore, che parlano di razza e razzismo, che includono rappresentazioni di esperienze sessuali nell’interpretazione più ampia di tale comprensione”. Anche autori di bestseller tra cui John Green e Jodi Picoult, così come genitori contrari alla legge della Florida, si sono uniti alla causa degli editori. Sostengono che la legge statale consenta alle scuole di vietare automaticamente i libri senza consultare “professionisti qualificati, come insegnanti o specialisti dei media, per determinare quali libri siano appropriati“. E denunciano che alcune scuole hanno vietato libri che includono la frase “fare l’amore”, ad esempio, senza considerare il contesto del libro nel suo complesso. Queste restrizioni “si applicano a tutti i gradi, dalla scuola materna alla dodicesima classe”, spiegano i ricorrenti, sostenendo che la legge ha creato un “regime di rigida censura” nelle scuole.
Cinema no war
C’è una parola che si è sentita risuonare alla Mostra del cinema di Venezia: guerra. È come un filo rosso sangue che tiene insieme opere tra loro diverse a cominciare da Campo di Battaglia di Gianni Amelio, ambientato in un ospedale militare nell’ultimo anno della Grande Guerra, con Alessandro Borghi protagonista. Echeggia poi nella rivoluzione estremista che un gruppo di suprematisti bianchi, croci uncinate in paesaggi western, progetta di fare a inizio anni ’80 (e poi ritenterà ancora nell’assalto a Capital Hill del 2021) nel film in concorso The Order di Justin Kurzel, con Jude Law agente dell’Fbi e Tye Sheridan suo aiutante. Ed è infine nel titolo stesso, Why War, dell’israeliano Amos Gitai fuori concorso. Impossibile non conviverci, doveroso uscire dall’assuefazione e cercare il dialogo: il cinema non cambia le cose, non ferma la guerra. Ma pone domande e spunti di riflessione, come Amelio e Gitai hanno detto all‘unisono in stanze diverse. Per il concorso è passato anche il francese Leurs enfants apres eux, uno sguardo originale di un gruppo di giovani adolescenti in una valle sperduta e dismessa della Francia orientale negli anni Novanta. Un coming of age che parte nel 1992, anno di nascita dei registi gemelli francesi, Ludovic e Zoran Boukherma. I cinefili si sono incuriositi con l’ultima opera folle di Harmony Korine fuori concorso, Baby Invasion e con la serie di Thomas Vinterberg Families like ours. “Non un film di guerra ma sulla guerra” dice Gianni Amelio di Campo di battaglia. Siamo nel 1918 nell’ospedale militare subito a ridosso del fronte, guidato dall’ufficiale medico Stefano (Gabriel Montesi), dove si curano alla meglio i sopravvissuti e appena in piedi con le loro gambe si rispediscono in prima linea, soprattutto quelli scoperti a procurarsi da soli ferite per tornare a casa. Ma Giulio (Alessandro Borghi), altro ufficiale, compagno di infanzia e di studi di Stefano, la pensa diversamente e comincia di nascosto una sua personale illegittima pratica per salvare quei poveri cristi.
No alla guerra
“C’è un’utopia a monte. Questa storia – racconta con passione Amelio – non è un apologo realistico contro la guerra ma utopistico. Tutto va in una sola direzione. Le guerre fanno male, le vittime sono soprattutto innocenti, allora utopisticamente per fermarle meglio che non ci siano più braccia per imbracciare fucili. È un paradosso, certo, ma su cui si fonda la morale del film”. Liberamente ispirato a La Sfida di Carlo Patriarca (Beatbestseller), girato tra Veneto e Trentino, sceneggiato da Amelio con Alberto Taraglio, intreccia la storia della comune amica infermiera Anna (Francesca Rosellini) che arriva nell’ospedale militare e capirà che c’è un sabotatore. Ma la Grande Guerra non è l’unico fronte perché in quel 1918 arriva mortale la febbre spagnola. In questo film di guerra senza la guerra, Amelio sceglie di non mostrare i morti, “sono usurate queste immagini, ne vediamo troppe, ci sembrano paradossalmente irreali. Tutti i giorni da tutti i fronti, dall’Ucraina, da Gaza e dai gommoni affondati, ci arrivano scene di morti, feriti, bombardamenti e a questa assuefazione terribile io non ci sto. Il cinema ha una forza emotiva data dalla storia non dall’essere un comizio”. Alessandro Borghi, dimagrito 12 kg per il film, racconta di “aver scoperto di nuovo l’amore per il cinema” grazie al modo di Amelio di farlo. “Alla fine di questo lavoro – dice – sono più le domande che le risposte. Non si tratta di dire sono contro la guerra, è una ovvietà, lo siamo tutti, qui si va su una sottilissima linea di scelte etiche, di relatività sul giusto e sbagliato, e io stesso mi metto in discussione, non so ma credo che non mi sarei comportato come il mio personaggio“.
Contro la violenza
The Order di Justin Kurzel è un thriller classico. Jude Law è Terry Husk, problematico poliziotto dell’Fbi, che indaga su una serie di rapine in banca e a mezzi blindati che terrorizza il nord-ovest degli Stati Uniti. La polizia brancola nel buio e sarà proprio lui, agente di stanza nella pittoresca e sonnolenta cittadina di Coeur d’Alene in Idaho, a capire che non si tratta di criminali comuni, ma di un gruppo di pericolosi terroristi di destra al seguito di un leader radicale e carismatico, Robert Jai (Nicholas Hoult), che sta tramando di mettere in atto una devastante guerra contro il governo degli Stati Uniti. Tra svastiche, cappi, citazioni dai Diari di Turner – libro ‘maledetto’ guida di varie stragi, tra cui Oklahoma City nel ’95 – The Order ci fa seguire l’indagine serrata di Husk che, affiancato dal poliziotto locale Bowen (Tye Sheridan), si mette sulle tracce del nemico. “Il film doveva essere fatto – dice Jude Law che ne è anche produttore – perché c’è qualcosa di pertinente al mondo di oggi, su quanto possa essere facile manipolare i deboli. L’America, come altri paesi, è una società divisa. Noi parliamo in The Order di un’ideologia pericolosa. E di come possa germinare soprattutto tra persone vulnerabili e sfruttate. Il razzismo – conclude l’attore britannico 52enne – aggrega gli ultimi della società e crea una comunità, una famiglia“.