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Come mai visto prima

Dai primi filmati in 8 millimetri ai ricordi di famiglia: il ritratto di un prete rivoluzionario

È stato presentato oggi a Rimini il documentario su Don Oreste Benzi del regista Kristian Gianfreda. Conobbi Kristian Gianfreda a Firenze, al Festival dei Popoli del 2007 . Era primavera; seguivamo un corso sul documentario cinematografico. Di lui sapevo poco. Mi ricordo scorrere sulla tv alle sue spalle delle immagini scure, era il suo primo film, già in Rai. Un sacerdote nell’oscurità lanciava un urlo roco, che pareva spaccare la nebbia delle strade romagnole: «Sister, do you love Jesus?». Su Rai 2 andava in onda il primo documentario del regista riminese. Kristian era il più avanti, il più realizzato fra noi corsisti. «Complimenti!», gli dissi. «Eh guarda per me è facile — mi rispose —. Perché con Don Oreste Benzi ho a che fare tutti i giorni. È merito suo se sono qui». A quel Gianfreda giovane trentenne quel sacerdote di strada aveva affidato la custodia e la gestione della sua prima Capanna di Betlemme, la casa in cui era possibile andare a condividere la vita insieme ai clochard della città. Ma lui era appassionato di cinema.

Intanto nelle immagini di quella tv che guardavamo a Firenze Don Benzi incontrava le ragazze di strada. Quel primo film raccontava le vicende di una donna rumena, vittima del mercato della prostituzione, salvata dal sacerdote riminese. Il 2 novembre dello stesso anno, ancora non lo sapevamo, quel sacerdote sarebbe morto. Gianfreda ci sarebbe stato, fra i pochi intimi, al suo capezzale.

Oggi, a distanza di circa 15 anni, con tutta la diocesi di Rimini attorno impegnata per l’inizio delle celebrazioni del centesimo compleanno del “Parroco della Grotta Rossa”, qui nella Corte degli Agostiniani, Gianfreda presenta per la prima volta al pubblico il suo documentario biografico sul Don. Cinema all’aperto; in platea ci sono molti membri dell’associazione fondata dal Don, e poi cittadini, simpatizzanti, curiosi. La maggior parte, sono giovani di allora. C’è il Vescovo Nicolò Anselmi, che fa parte del Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario della nascita di don Oreste Benzi, che è presieduto dall’economista (allievo del Don) Stefano Zamagni. C’è anche lui. Poi c’è il Sindaco Jamil Sadegholvaad («Cristian Gianfreda è il più pazzo di tutti», dice); e poi c’è Fabrizio Zappi, direttore di Rai Documentari che ha sostenuto con forza la produzione di questo film.

Il documentario “Il Pazzo di Dio” è prodotto da Coffee time, realizzato con il sostegno della Direzione Cinema del Ministero della Cultura, della Film Commission della Regione Emilia Romagna. Da ottobre, nei cinema d’essai.

Le stesse immagini di ragazze fra la nebbia, in apertura: non poteva mancare quella nebbia, come fosse lì lo spirito del Don. Il registra racconta se stesso: «Incontrai Don Benzi a 25 anni. E cominciai a seguirlo con una telecamera», spiega, mentre guida, al volante.

“Sono Padre Oreste, non preoccuparti, vieni qui!”

«I’m Father Oreste Benzi, don’t worry, come here!». Le stesse immagini del sacerdote che incontra le donne nigeriane nella nebbia. Le ragazze che accorrono. «Do you like Jesus? Non abbiate paura, la polizia non vi farà nulla».

Il film di oggi alterna le interviste a quei protagonisti che hanno conosciuto Don Oreste Benzi in passato al racconto delle esperienze di chi ancora oggi ne segue gli insegnamenti: sono ripresi e intervistati giovani che vivono in comunità di accoglienza; ci sono case famiglia, famiglie allargate. I due elementi vengono raccordati dalla ricca disponibilità di materiali d’archivio (ottenuti da Teche Rai, dalla TV vaticana, dagli archivi della Papa Giovanni XXIII). Ci sono vecchie pellicole, immagini in 8mm, alcune senza audio, risalenti ai tardi anni ’60. E queste sono le più forti, quelle che raccontano le manifestazioni e le occupazioni di cui il sacerdote riminese, proprio in un tempo di forti lacerazioni fra generazioni, si era reso protagonista.

Mi domando: cosa avrà provato Kristian Gianfreda nel rivedere per mille e mille volte, durante il montaggio, quelle immagini che lui stesso aveva girato, forse senza essere pienamente consapevole di quanto stava facendo, da ragazzino? Un giovane Don Aldo Buonaiuto compare al fianco del Don, nell’incontrare le persone senza fissa dimora nella stazione di Rimini; oggi il piazzale della stessa stazione è titolato a Don Oreste Benzi.

In apertura dei capitoli tematici, mai dichiarati, nel film sono raccontati alcuni aneddoti dell’infanzia felice di Don Oreste, vissuta in una famiglia povera. Li racconta lui stesso, guardando dritto in camera, negli occhi della gente. Lì emerge la sua motivazione, la sua spiritualità. Nel raccontare l’incontro con gli homeless di oggi è intervistato un giovane, Luca Fortunato, con una frase che dà il titolo al film: «Don Benzi è un pazzo di Dio». Per una gran parte, questo documentario è girato in auto: di lato, di spalle, di fronte. Ed è una scelta. Lo spiega Gianfreda all’interno del film: «Don Oreste era perennemente in auto, era sempre in movimento; ha girato tutti i continenti. Ed io ero con lui, con la mia telecamera l’ho seguito ovunque».

Da Rimini il racconto si allarga all’Italia e poi al mondo: passa per i salotti buoni dell’italianità anni ’90, come quello di Vespa. Qui in quegli anni si consumarono i dibattiti sulla legalizzazione della prostituzione. Don Benzi vi si opponeva con forza.

Ne emerge la sua personalità forte, a tratti impulsiva, senza timori, con una rivoluzione in mente e nel cuore. Le musiche ironiche e leggere di Matteo Santini e dei suoi collaboratori ben contrastano con la profondità del percorso di scoperta della figura di Don Benzi proposto dal film. Lo rendono un documentario a tratti commovente. Può forse risultare un film un po’ troppo lungo per il piccolo schermo ma ben regge il grande formato, soprattutto di fronte ad una platea così motivata come questa.

Non ci sono molti ragazzi questa sera a guardare il film: sono tutti nei locali attorno, in questa città giovane, a chiacchierare. Vorrei farlo vedere anche a loro. Dopo l’applauso finale, uscendo noto alcuni pre-adolescenti sui 14 o 16 anni: «Per voi è stato troppo lungo?», chiedo. «No, ci è piaciuto»; gli occhi sono realmente illuminati, ma difficilmente riesco a dire se la loro sia stata una visione già motivata da discorsi uditi in una famiglia di figli spirituali del Don, oppure no.

Mi verrebbe da consigliare questo film dai 18-20 anni in su, per poter far apprezzare la portata rivoluzionaria del messaggio di Don Oreste Benzi. Ma forse può essere visto anche prima, per mostrare ai giovani che un mondo diverso effettivamente può esistere, che ci sono persone disposte a mettere la vita in quello che credono, che ci può essere una speranza nel mondo e un motivo grande per continuare a vivere.

Mi domando se senza le immagini che ho visto, se senza le immagini girate da Gianfreda negli anni, la visione che abbiamo di Don Oreste Benzi sarebbe per noi oggi la stessa. Forse se avessimo solo letto di lui, o se ne avessimo sentito parlare, avremmo dato peso ad altro. Quello che emerge dal film è l’infinita tensione di un uomo tutto proteso ad assaporare una visione evangelica dell’umanità. Ma forse è stato con quella telecamera, con l’entusiasmo di quel ragazzo che l’ha mossa, che si è costruita questa visione di un uomo; il resto è montaggio.

Fonte: Marco Tassinari/Sempre

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