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“Il ricordo sulla punta della lingua”: perché ci sfuggono le parole?

Fretta, tensione e affaticamento sono le cause che determinano occasionali cali di memoria, non legati a episodi di demenza senile

Il “ricordo sulla punta della lingua”, definito anche con l’acronimo TOT (Tip Of the Tongue, ossia “punta della lingua”) consiste nella circostanza, comune a tutti, in ogni epoca, di non ricordare, nel momento opportuno, la parola voluta, finendo per conseguire una pessima figura. Si forma l’immagine mentale del termine e del concetto ma non si ha la prontezza nell’estrarlo, nonostante gli sforzi mentali e gestuali. La rigidità e la caparbietà a ricordare a tutti i costi, non aiutano sempre a ritrovare la parola persa.

Si tratta di una caratteristica tipica di ogni essere umano che, in un dato momento, opera una “rimozione temporanea” di un vocabolo o di un nome. In tali casi, si ricorre a strategie: si utilizza, per esempio, un sinonimo che chiarisca il concetto, rimandando a tempi successivi il ricordo tanto desiderato. Altre volte, questa scelta è anticipata da vari e vani tentativi per giungere alla parola agognata, così familiare ma, in quel momento, così sfuggevole. In genere, sovviene dopo qualche minuto.

Un’altra strategia consiste nel non incaponirsi, in modo controproducente, a ricordare (soprattutto se non si tratta di nomi specifici bensì di concetti) e attendere, serenamente, il riaffiorare del termine. Ripetere più volte la presunta iniziale della parola può essere funzionale. Riuscire a destare il legame emotivo che spesso si origina con il termine dimenticato, facilita il suo ricordo. Rappresenta anche la più celebre (ma flebile) scusa durante un’interrogazione scolastica. Dinanzi alla domanda posta, infatti, non conoscendo la risposta, ci si arrampica sugli specchi attraverso un’esclamazione del tipo “Ah! Ce l’ho proprio sulla punta della lingua”. Il primo studente impreparato della storia generò forse il TOT? L’origine è remota; a teorizzarla, per la prima volta, nel testo “The Principies of Psycology” (1890), fu lo psicologo statunitense William Jones.

La particolarità interessa bambini, giovani, adulti e anziani, quindi non deve essere considerata come un indizio di demenza senile e non deve costituire un campanello d’allarme. Il dispiacere per non aver utilizzato il vocabolo preciso non deve allarmare per un’eventuale perdita di memoria. In malattie quali l’Alzheimer, infatti, la dimenticanza è più frequente e riguarda molte parole, anche banali e di intenso utilizzo, non termini desueti o specifici del contesto. La dimenticanza casuale non si configura come “disnomia” (difficoltà di accesso lessicale). Tale disturbo, continuo e “invalidante”, è causato da specifici pattern di attivazione (alcol, traumi, ecc). Il “blocco mnestico” non incide sulla capacità di esprimere un linguaggio: l’abilità, secondo il filosofo Chomsky, di adottare la frase più adatta al contesto in cui ci si trovi. Sono le parole a sfuggire non i concetti. Il dato è presente nella memoria, a livello semantico ma non si è in grado di recuperarlo consapevolmente a livello fonologico.

A parità di condizioni, è più facile dimenticare un nome (o un cognome), per natura più mnemonico, rispetto a un termine dotato di significato e derivante da precisa etimologia a cui potersi allacciare. Nel caso di recupero andato “a buon fine”, l’individuo si sorprende per il fatto di aver temporaneamente dimenticato un termine così familiare ma, al tempo stesso, si gratifica e si tranquillizza sul proprio stato di salute mentale. In una società dagli input continui e da informazioni a valanga, spesso “interiorizzate” solo in superficie poiché distratti da altro, è una fattispecie ricorrente. Nell’ambito della psicologia cognitiva, con il conforto delle neuroscienze è stato dimostrato come la conoscenza sia un insieme di rappresentazioni mentali di vario tipo. Più queste sono profonde e distribuite, più l’informazione diviene conoscenza e non solo mera memorizzazione.

Attraverso le tecniche di neuroimaging, è stato rilevato come, nel corso di un caso di TOT, si attivino molte aree del cervello. È auspicabile evitare il rimuginare eccessivamente per ricordare il termine poiché potrebbe risultare, a fronte di un impegno importante in termini di risorse e tempo, infruttuoso. Uno stile di vita più attento, selettivo e riflessivo, induce a ridurre tale temporanea amnesia. Durante l’Udienza Generale del 5 settembre 2018, Papa Francesco precisò “La società odierna è assetata di divertimenti e vacanze. L’industria della distrazione è assai fiorente e la pubblicità disegna il mondo ideale come un grande parco giochi dove tutti si divertono. Il concetto di vita oggi dominante non ha il baricentro nell’attività e nell’impegno ma nell’evasione. Guadagnare per divertirsi, appagarsi. L’immagine-modello è quella di una persona di successo che può permettersi ampi e diversi spazi di piacere. Ma questa mentalità fa scivolare verso l’insoddisfazione di un’esistenza anestetizzata dal divertimento che non è riposo, ma alienazione e fuga dalla realtà. L’uomo non si è mai riposato tanto come oggi, eppure l’uomo non ha mai sperimentato tanto vuoto come oggi! Le possibilità di divertirsi, di andare fuori, le crociere, i viaggi, tante cose non ti danno la pienezza del cuore. Anzi: non ti danno il riposo”.

Il professor Piero Martin è l’autore del volume “Storie di errori memorabili”, edito da “Laterza” nel febbraio scorso. Parte dell’estratto recita “Spesso si considera la scienza il regno della certezza e della verità. Invece, il dubbio e l’errore sono fondamentali per il progresso del sapere in ogni settore. E, come accade nella vita di ogni giorno, anche nella scienza l’errore si presenta sotto molteplici forme: c’è l’errore che è motore di nuove conoscenze, ma anche quello frutto dell’ideologia o della fretta. C’è l’errore riconosciuto e quindi fecondo, ma anche quello testardo”.

Nell’agosto del 2022, il sito Babbel.com ha pubblicato una serie interessanti di dati sull’utilizzo dei termini italiani, visibile al link https://it.babbel.com/it/magazine/quante-parole-ha-la-lingua-italiana. Fra i numeri, si legge “Il lessema è un’unità linguistica che ha un significato autonomo e può essere flesso (declinato o coniugato) in varie classi di parole. […] In ogni lingua ci sono tre tipi di vocabolari: il vocabolario di base, il vocabolario comune, il vocabolario esteso. […] Al vocabolario di base si affianca il vocabolario comune, che comprende circa 45.000 lessemi che sono alla portata di chi ha un’istruzione medio-alta. Al di fuori del vocabolario corrente, troviamo il vocabolario esteso, che comprende i termini tecnici che generalmente una persona non conosce, a meno che non si occupi di quel campo (pensate, per esempio, al termine ‘paronomasia’), i regionalismi e i termini antichi. […] Secondo Luca Lorenzetti (linguista nda), sono circa 270.000 i lessemi della lingua italiana (7.000 lessemi di base; 45.000 lessemi comuni e circa 200.000 appartenenti al vocabolario esteso). Siccome gran parte di questi lessemi possono essere flessi, sono circa 2 milioni le parole di cui dispone l’italiano”.

Il ricordo mancato può anche essere dovuto a una memorizzazione non efficace: avviene quando, ricevuta l’informazione, ci si trovi, probabilmente, in uno stato di stanchezza, di distrazione, di scarsa lucidità che non ha permesso il corretto “salvataggio” della parola. A incentivare tale fenomeno, concorre il cosiddetto “sovraccarico cognitivo”, che interessa una buona fetta della popolazione, soprattutto gli studenti. Tale bagaglio eccessivo, soprattutto in periodi di esame, determina una maggior confusione di termini e concetti proprio perché si è intenti a un lavoro mnemonico e costruttivo di apprendimento. Il sovraccarico può verificarsi anche in ambienti lavorativi o in situazioni di molteplici impegni/attività.

Circostanze stressanti e periodi di eccessiva occupazione, possono limitare il corretto funzionamento della memoria e ostacolare anche il richiamo di termini familiari. Il rischio temuto è quello della brutta figura in un ambiente sociale; tale impaccio denoterebbe poca memoria o, comunque, un indice di scarsa conoscenza di un argomento. Per evitare dubbi sulla propria preparazione, in caso di TOT si tende a rimarcare la conoscenza del termine con frasi del tipo “lo so bene, ora mi sfugge”. Si è consapevoli di ricordare il concetto espresso dal termine e si prova risentimento nel non poterne disporre in modo immediato. Alcune volte, il “tutto e subito” del linguaggio mostra delle criticità.

Le dimenticanze occasionali sono possibili e non condannabili: il cervello ha bisogno di momenti di calo della tensione. La vita frenetica tende a imporre un uso continuo e infinito dell’intelletto ma questo, a volte, segna il passo, a ricordare, come fallibile, la natura umana. Un atteggiamento così iperveloce e superficiale, richiesto per memorizzare quanti più dati possibili nella società dell’informazione, conduce, facilmente, a non imprimere doverosamente un lemma. La mole di dati esistente è più di quanta si possa immagazzinare: occorre prenderne atto e non puntare a prove da supereroe per dimostrare l’onnipotenza umana.

Il ricordo sulla punta della lingua rappresenta uno degli incubi peggiori per chi partecipa a trasmissioni di carattere politico, in cui deve esercitare l’arte oratoria per denigrare l’altro e incensare se stesso. Per alcuni costituisce un tormento, un problema, un rammarico per non essere all’altezza, per non saper rispondere, a tono, in occasioni conflittuali o di duro confronto, nelle diatribe e nelle polemiche quotidiane. L’era della divisione e della polemica in “servizio permanente effettivo” non consente repliche stentate: nell’arena tutte le armi devono essere pronte pur di stra-vincere (“asfaltare”), il prossimo.

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