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Virus e globalizzazione: la prevenzione è vitale

Il movimento di grandi masse di persone nei posti più remoti della Terra ha inevitabilmente contribuito alla diffusione di malattie come il cosiddetto Vaiolo delle scimmie. Dal momento che ciò avviene ed è impensabile riuscire a controllarlo, vista la frenesia del turismo, bisogna mettere in atto sistemi di salvaguardia e di prevenzione che, per quanto possibile, siano il più possibile efficaci. Dispiace constatare che la lezione del Covid non abbia insegnato molto. Quando la pandemia si è manifestata nei suoi effetti più gravi abbiamo dimostrato impreparazione, nonostante da trent’anni ci fossero le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità e dei massimi organismi internazionali sulla possibilità che delle epidemie potessero ripresentarsi. Tanto più facilmente quanto più la gente si muove, spostandosi da un capo all’altro dal mondo.

È evidente che questa lezione non sia stata imparata bene. La preparazione, che avrebbe dovuto essere la priorità dopo il Covid, non è granché migliorata. Di fronte a questa epidemia, come altre quali l’aviaria o la Sars, non abbiamo appreso fino in fondo la necessità di investire nella prevenzione e, quindi, evitare di trovarci sprovveduti come accaduto nel 2020. Eppure, non solo questo non è successo ma il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie che realizzammo presso il Ministero della Salute ha smesso di essere finanziato. D’altra parte, è ancora scritto sulla carta una Direzione generale destinata al controllo delle malattie ma, al momento, non c’è nulla in questo senso che funzioni come dovrebbe.

Ogni Stato ha un ufficio o un gruppo di studi collegati agli analoghi sparsi nel mondo e che, collegandosi sia all’esterno che all’interno del proprio territorio, permettono di tenere sott’occhio i rischi che le continue epidemie che si presentano nel mondo possano riguardare la nostra gente. Si parla, in sostanza, di risk assessment, la gestione del rischio, cosa fare quando questo è elevato, come prepararsi ad affrontarlo e come comunicarlo. Aspetto, questo, che è stato particolarmente critico durante il Covid, quando ci ritrovammo in una “Babele” che, a mio avviso, purtroppo ha insegnato poco a posteriori. Tant’è che, a distanza di qualche anno, siamo ancora impreparati e, per questo, esposti a rischio.

Una leadership, non solo in Italia ma anche in Europa – dove c’è un Cdc che però non funziona -, dovrebbe essere la priorità alla luce della tragedia che abbiamo vissuto. L’industria ha dato un buon contributo, realizzando vaccini a tempo di record con tecnologie innovative che hanno in gran parte ovviato alla mancanza di ordinamento e idee chiare. Speriamo, in questo senso, che si continui a investire in questa direzione. Occorrono anche persone qualificate che abbiano una preparazione tale da essere in grado di mettere a punto strategie efficaci e tempestive. Purtroppo, in questo, la debolezza della Sanità appare in tutta la sua misura.

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