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L’auspicio di Francesco: “Con le Olimpiadi si fermino le guerre”

Il Santo Padre chiede una tregua in occasione dei Giochi Olimpici e invita a riflettere sui rischi della "dittatura del fare"

La settimana che coincide con l’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi, riporta alla mente lo spirito che animò l’istituzione delle Olimpiadi originali. Mettere da parte le tensioni di un popolo spesso in guerra e utilizzare la tregua per onorare, nel nome dello spirito di competizione, il proprio credo. Papa Francesco, ancora una volta, ha invitato a farsi interpreti dell’anima più antica dei Giochi, ricordando al termine dell’Angelus che “lo sport ha anche una grande forza sociale, capace di unire pacificamente persone di culture diverse”. Olimpiadi e Paralimpiadi, dunque, siano “segno del mondo inclusivo che vogliamo costruire e che gli atleti, con la loro testimonianza sportiva, siano messaggeri di pace e validi modelli per i giovani”. Il tutto, proprio nel solco “dell’antica tradizione”, la quale prevedeva (e prevede) che “le Olimpiadi siano occasione per stabilire una tregua nelle guerre, dimostrando una sincera volontà di pace”.

Non solo Olimpiadi: l’importanza del dialogo

Se le Olimpiadi possono essere un momento di pace, altrettanto possono essere un’occasione per ristabilire il dialogo. La fonte primaria della convivenza pacifica tra i popoli, seguendo la via di uno sviluppo condiviso, nel quale le differenze culturali possono cementare i rapporti piuttosto che dividerli. Quel dialogo che, i discepoli, intrattengono con Gesù al ritorno dalla loro missione, auspicando di farlo in un luogo in disparte ma nel quale, nel frattempo, si era radunata una folla ansiosa di ascoltare gli insegnamenti di Cristo. “Dunque, da una parte l’invito a riposare e, dall’altra, la compassione di Gesù per la folla… Sembrano due cose inconciliabili, l’invito a riposare e la compassione, e invece vanno insieme”.

La dittatura del fare

Gesù, al quale sta a cuore il riposo dei suoi discepoli, probabilmente coglie “un pericolo che può riguardare anche la nostra vita e il nostro apostolato, quando ad esempio l’entusiasmo nel portare avanti la missione, o il lavoro, così come il ruolo e i compiti che ci sono affidati ci rendono vittime dell’attivismo, e questa è una cosa brutta“. La preoccupazione per le troppe cose da fare e l’ansia generata dall’urgenza di ottenere risultati, rischia “di esaurire le nostre energie” e di farci “cadere nella stanchezza del corpo e dello spirito. È un monito importante per la nostra vita, per la nostra società spesso prigioniera della fretta, ma anche per la Chiesa e per il servizio pastorale”. Un rischio che si palesa spesso in famiglia, dove il pericolo maggiore è quello che viene definita dal Pontefice “la dittatura del fare… E questo può succedere per necessità anche nelle famiglie, quando per esempio il papà per guadagnare il pane è costretto ad assentarsi per lavoro, dovendo così sacrificare il tempo da dedicare alla famiglia”.

Il riposo di Gesù

Il riposo proposto da Gesù “non è una fuga dal mondo, un ritirarsi nel benessere personale; al contrario, di fronte alla gente smarrita Egli prova compassione. E allora dal Vangelo impariamo che queste due realtà – riposo e compassione – sono legate: solo se impariamo a riposare possiamo avere compassione”.

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