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Prendiamo il coraggio di bandire la violenza

Uno degli argomenti più diffusi nel nostro tempo è la violenza, la quale pare essersi impossessata di ogni relazione tra persone ed anche con le cose, nei ragionamenti come nei semplici pensieri che accompagnano il vivere quotidiano: sembra che senza violenza non si possa vivere.

Ne sono riprova non soltanto i crimini quotidiani cui siamo costretti ad assistere ed a subire ma anche i commenti, gli argomenti, gli svaghi, i giochi, gli sport e pressoché tutto ciò che ci coinvolge. Basti pensare ad espressioni come tolleranza zero, mano ferma, dire la propria forte e chiaro, ed a gesti come visi duri, espressioni arcigne, sguardi aggressivi. Pure nelle pubblicità dei prodotti si assiste a simili raffronti, conditi da frasi che inneggiano al riscatto ed alla rivincita per sopraffare l’altro, visto come ipotetico nemico. Per non parlare dei film e degli sceneggiati in cui la violenza è padrona assoluta.
Siamo in guerra, non solo quella che tristemente ancora insanguina parti del mondo sostenute nel conflitto dall’industria delle armi e dagli indotti, politici strategici editoriali che siano, ma quella che ogni giorno ci accompagna in ogni pur banale manifestazione del vivere quotidiano.

I giuristi distinguono tra violenza fisica e violenza morale; la prima si realizza quando l’atto è realizzato in totale assenza della volontà: si pensi allo stupro, alla costrizione in schiavitù, al rapimento, e ad ogni altra compressione dell’altrui condizione senza che ad essa partecipi chi la subisce. La violenza morale è invece quella che condiziona la volontà del soggetto che si esprime per effetto di essa, come nel caso tipico del ricatto, dell’estorsione, della minaccia. In entrambi i casi l’ordinamento rimedia sanzionando la violenza e gli effetti che ne derivano, proteggendo le vittime.

Ma se tutti convengono sulla esecrabilità di siffatte violenze, si assiste invece passivamente ad una continua violenza esercitata sulla libera determinazione della propria volontà e del proprio pensiero, finendo per condizionare invece i comportamenti ancorché non intimamente voluti, secondo quello che viene definito il modo di pensare proposto, o meglio, imposto.

A leggere i giornali, ascoltare radio e televisioni, frequentare i siti sociali, ma finanche a confrontarsi con familiari amici e conoscenti, si assiste ad una verbosità incalzante per sostenere con forza opinioni che si vogliono assolutamente imporre al lettore, all’ascoltatore ed all’interlocutore, addirittura alcune correnti di pensiero sono sostenute da apposite leggi! Altro che ideologia, qui si pretende di condizionare con l’imposizione, normativa se non sociale, il libero pensiero. Non c’è dubbio che un pensiero sbagliato va opportunamente commentato per fare emergere l’erroneità sulla base di elementi significativi, ma non dimentichiamo che si tratta di un pensiero e che ciascuno
– finché si limita ad esprimerlo – non fa danni; li produce, invece, se il pensiero viene imposto attraverso metodologie e tecniche invasive di persuasione, di appartenenza, di esclusione bollando ogni diversa opinione e consegnandola al pubblico ludibrio. È il regime! Di altro colore, di altra idea, di altri obiettivi ma pur sempre regime, come quelli del secolo passato che tanti orrori hanno creato, con buona pace dei diritti sanciti nella vituperata Costituzione della Repubblica che pare davvero quotidianamente violata finanche da chi dovrebbe garantirne la difesa.

C’è da chiedersi il perché. Una prima risposta potrebbe essere che in questo modo si eliminano le opposizioni: convincente ma esecrabile, a pena di non osannare chi lo ha tentato nel passato. Una seconda è che il pensiero di chi conduce è sicuramente migliore di chi è destinato ad essere condotto, ma questa convinzione appartiene soltanto al primo e difficilmente al secondo. Una terza è la crisi del pensiero illuministico secondo cui uno vale uno: se ciò è vero quale soggetto titolare di diritti (benché un illuminato redattore della Costituzione inserì un efficace correttivo delle storture col secondo comma dell’art. 3), è impensabile in ordine alle capacità di cui ciascuno è portatore.

Allora lo sforzo va compiuto nella direzione opposta: ascoltare, innanzitutto, la voce di chiunque (e qui difendiamo quella degli ultimi) per trarne il maggior giovamento possibile e conquistare – questo è lo sforzo di chi si propone di aver ragione – al proprio convincimento colui che vi si oppone. Ovviamente facendo uso della ragione, dei sentimenti, della storia, non certo della violenza. E prendiamo coraggio a bandirla, ovunque e comunque, non solo a parole.

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