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La legalità dipende da noi

Se i giovani le negheranno il consenso, la mafia svanirà come un incubo”, diceva Paolo Borsellino. Una tremenda esplosione riecheggia ancora nella nostra coscienza collettiva e individuale. Sono trascorsi 32 anni dall’orrore di via D’Amelio: il 19 luglio 1992 una bomba devastò Palermo uccidendo crudelmente il giudice siciliano e la sua scorta. Poche settimane prima a Capaci un analogo scenario di morte aveva inghiottito il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti che persero la vita per cercare di proteggerli. “È normale che in ogni uomo esista la paura- scrive Paolo Borsellino-. L’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti”.

Per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’estate del 1992, la stagione delle stragi, fu “un attacco che la mafia volle scientemente portare alla democrazia”. Dalla reazione delle istituzioni e del popolo italiano a quella “disuma strategia criminale” scaturì una rinascita civile che sgorgò dall’anima profonda, dai valori, dall’anelito di giustizia, dalla mobilitazione di una comunità. La lezione di vita dei martiri di Cosa Nostra divenne parte così della “migliore etica della Repubblica”, secondo la definizione del Capo dello Stato.

Il parroco di Brancaccio don Pino Puglisi, proclamato Beato da papa Francesco, simboleggia l’azione formativa e culturale della Chiesa a salvaguardia della legalità. Dal 9 al 12 luglio 1962, il sacerdote partecipa a un corso di esercizi spirituali a San Martino delle Scale, sulla collina che domina Palermo e nel diario spirituale annota una riflessione: “Se vogliamo diventare dei conquistatori, dei pescatori di anime, rientriamo in noi stessi e meditiamo gli insegnamenti, le direttive del nostro condottiero Gesù. Il mondo, la carne, le passioni ci daranno l’infelicità, la morte. Solo Cristo può darci la salvezza, è lui il Verbum salutis”. Anche don Puglisi pagherà con il sangue la scelta di non sottomettersi alla tirannia mafiosa e al potere del mondo.

Lo stesso sacrificio di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Insieme a loro ricordiamo Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. E’ responsabilità comune fare nostra la loro lezione e tenere alta la vigilanza. “Non possono essere indeboliti gli anticorpi istituzionali, la mobilitazione sociale per impedire che le organizzazioni mafiose trovino sponde in aree grigie e compiacenti – avverte Sergio Mattarella-. L’eredità di Falcone e Borsellino è un patrimonio vivo che appartiene all’intera comunità nazionale. Portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore”.

Il Magistero pontificio è impegnato in prima linea per impedire il perseguimento dei reati delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che sfruttando “le carenze economiche, sociali e politiche, trovano un terreno fertile per realizzare i loro deplorevoli progetti”. La corruzione, le estorsioni, il traffico illecito di stupefacenti e di armi, la tratta di esseri umani (tra cui tanti bambini ridotti in schiavitù) sono “autentiche piaghe sociali e sfide globali che la collettività internazionale è chiamata ad affrontare con determinazione”.

Fin dall’inizio della sua missione il Pontefice ha manifestato la sua vicinanza alle forze dell’ordine e agli inquirenti impegnati a combattere e sradicare il crimine organizzato. In particolare esortando al contrasto della tratta di persone e del contrabbando dei migranti (“reati gravissimi che colpiscono i più deboli fra i deboli”). E a complemento e rafforzamento della “preziosa opera di repressione”, servono “interventi educativi di ampio respiro, rivolti in particolare alle nuove generazioni”.

A tale scopo, le diverse agenzie educative, tra cui famiglie, scuole, comunità cristiane, realtà sportive e culturali, sono incoraggiate dal Papa a “favorire una coscienza di moralità e di legalità orientata a modelli di vita onesti, pacifici e solidali che a poco a poco vincano il male e spianino la strada al bene”. Il Santo Padre insegna a partire dalle coscienze, per risanare i propositi, le scelte, gli atteggiamenti dei singoli, così che il tessuto sociale si apra alla speranza di un futuro migliore. “Il fenomeno mafioso, quale espressione di una cultura di morte, è da osteggiare e da combattere – avverte Jorge Mario Bergoglio-. Esso si oppone radicalmente alla fede e al Vangelo, che sono sempre per la vita. Tante parrocchie e associazioni cattoliche svolgono un encomiabile lavoro sul territorio: una promozione culturale e sociale volta a estirpare progressivamente dalla radice la mala pianta della criminalità organizzata e della corruzione”.

In queste iniziative, si manifesta la prossimità della Chiesa a quanti vivono situazioni drammatiche e hanno bisogno di “essere aiutati ad uscire dalla spirale della violenza e rigenerarsi nella speranza”. Francesco invoca il Signore “giusto e misericordioso” affinché tocchi il cuore degli uomini e delle donne delle diverse mafie: “Si fermino, smettano di fare il male, si convertano e cambino vita. Il denaro degli affari sporchi e dei delitti mafiosi è denaro insanguinato e produce un potere iniquo. Il diavolo entra dalle tasche, è lì la prima corruzione”. E le parole di Paolo Borsellino risuonano come lascito morale per tutti noi: “L’impegno contro la mafia non può concedersi alcuna pausa, il rischio è quello di ritrovarsi subito al punto di partenza”.

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don Aldo Buonaiuto
don Aldo Buonaiuto
Fondatore e direttore editoriale di In Terris, è un sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da anni è impegnato nella lotta contro la prostituzione schiavizzata

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