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La settimana dei vertici della nuova legislatura Ue

Il nuovo Parlamento europeo, uscito dalle elezioni del 9 giugno, si riunisce a Strasburgo da oggi a venerdì. Deve dare, o no, la sua investitura alla presidente designata della Commissione europea Ursula von der Leyen: è un voto ancora in bilico, in cui gli eurodeputati di Fratelli d’Italia hanno un ruolo chiave. I loro voti possono rivelarsi necessari, per garantire a UvdL la maggioranza, ma anche letali, perché possono farle venire meno suffragi della maggioranza che sulla carta la sostiene.

La prima incombenza della nuova Assemblea sarà l’elezione del proprio presidente: senza rivali, l’unica candidata, la presidente uscente Roberta Metsola, popolare, maltese, potrebbe essere confermata per acclamazione, se almeno un quinto dei deputati non chiederanno lo scrutinio segreto – resterà in carica due anni e mezzo, metà legislatura, per poi essere avvicendata dal gennaio 2027 -.

A seguire e nella giornata di mercoledì, il Parlamento eleggerà 14 vice-presidenti e cinque questori: se ne potranno trarre i primi segnali di come funzionano le intese fra i gruppi parlamentari. Mercoledì, i deputati decideranno pure le dimensioni delle commissioni e sotto-commissioni e delle delegazioni – la composizione nominale sarà annunciata venerdì -.

Sempre nella giornata di mercoledì, il programma della sessione d’apertura della nuova legislatura prevede anche un dibattito sull’esito del Consiglio europeo del 27 giugno e la discussione e il voto d’una risoluzione sul sostegno all’Ucraina, per il quale – secondo un sondaggio dell’Eurobarometro – continua a esserci un orientamento favorevole dell’opinione pubblica.

L’appuntamento cruciale di questa prima sessione è giovedì, con l’investitura di von der Leyen, popolare tedesca, che, se otterrà la maggioranza dei componenti l’assemblea – le servono 361 voti su 720 – resterò alla guida dell’Esecutivo europeo per i prossimi cinque anni. Sulla carta, Uvdl, appoggiata da popolari, socialisti e liberali, dispone di circa 400 voti, ma l’esperienza del 2019, quando, in circostanze analoghe, fu eletta con solo nove voti di margine, datile dai deputati italiani del M5S che non facevano parte della sua maggioranza, le consiglia di allargare la base di consensi.

Nei giorni scorsi, von der Leyen ha avuti incontri con i gruppi della sua maggioranza “europeista” e con i verdi: socialisti, liberali e verdi hanno subordinato il loro appoggio a che non ci siano “accordi” con i conservatori europei, il gruppo di destra cui fanno capo gli italiani di Fratelli d’Italia, oltre che i polacchi di Diritto e Giustizia. “Il nostro supporto non è un assegno in bianco”, l’ha avvertita la capogruppo socialista Iratxe Garcia Perez. UvdL s’è impegnata a non avere “cooperazioni strutturate” con i conservatori.

Fra gli euro-deputati italiani, solo quelli del Partito democratico e di Forza Italia sono già determinati a votarla. Lega e M5S, nel frattempo confluiti nel gruppo delle sinistre, hanno già annunciato il loro no, i Verdi si tengono le carte in mano; Fratelli d’Italia ha per ora un orientamento negativo, ma è possibilista.

Del resto, dopo avere serrato i ranghi con la maggioranza e i verdi, la presidente designata avrà oggi un confronto con i conservatori, mentre non vedrà i due gruppi di estrema destra.

La nuova assemblea presenta, infatti, la novità importante di tre gruppi di destra ed estrema destra, rispetto ai due precedenti: i conservatori; i patrioti, coagulati per iniziativa del premier ungherese Viktor Orban e dove sono confluiti con un peso preponderante i deputati francesi di Marine Le Pen e i leghisti italiani; e i sovranisti nati per iniziativa dei tedeschi dell’AfD e che raccolgono schegge minoritarie ed estremiste di vari Paesi. Del resto, sono oltre 50 gli eurodeputati provenienti da liste mai viste prima d’ora nell’emiciclo di Strasburgo: una truppa eterogenea, che non aiuta il progetto d’integrazione.

Dei tre gruppi, i patrioti sono il più numeroso, avendo messo insieme più seggi dei conservatori; i sovranisti sono il più piccolo. Patrioti e conservatori, sono, rispettivamente, la terza e quarta forza dell’Assemblea europea (84 e 78 seggi rispettivamente), dietro popolari e socialisti, avendo entrambi scavalcato i liberali (76 seggi).

I nomi ufficiali sono Conservatori e Riformisti europei, Patrioti per l’Europa, Europa delle Nazioni Sovrane: molti i punti di contatto – opposizione al Green Deal, lotta alla migrazione, rivendicazioni identitarie e religiose -, ma anche molte differenze sul piano dell’integrazione europea, dell’atlantismo, dell’atteggiamento nei confronti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

I patrioti nascono da un’intuizione del premier ungherese Viktor Orban, che intendeva inizialmente coagulare intorno al suo Fidesz partitini di Paesi dell’ex Europa orientale, al punto che Politico intitolava “l’impero asburgico colpisce ancora”, ma che ha poi “calamitato” l’ex gruppo Identità e Democrazia.

L’operazione non ha però fatto venire meno il “cordone sanitario” che, nella passata legislatura, tagliava fuori Identità e Democrazia dalle presidenze delle commissioni e da altri ruoli significativi nel Parlamento europeo e che, adesso, taglierà fuori i patrioti e i sovranisti, perché – dice una fonte dei popolari – “non vogliamo che le istituzioni europee siano rappresentate da “amici di Putin’”, che “sono contro il progetto europeo”.

Valutazioni confermate dalla criticatissima iniziativa del premier Orban che, dopo che l’Ungheria ha assunto il primo luglio la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, è stato, sua sponte, a Kiev, Mosca e Pechino e a trovare l’ex presidente Usa Donald Trump: una missione di pace per l’Ucraina non avallata dai partner europei.

A Orban, il Parlamento europeo nega l’occasione di presentare il programma della presidenza ungherese dal titolo evocativo, ‘Make Europe Great Again’: non c’è spazio a luglio, se ne riparlerà a settembre.

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