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Delle Cese: “Rotta balcanica, dati sui migranti sottostimati”

Un aiuto alle persone in movimento che arrivano a Trieste dai Balcani viene dal Terzo settore, spiega nel corso dell’intervista a Interris.it Flaminia Delle Cese, Legal and Advocacy Advisor di Irc Italia

Gli ultimi non hanno quasi mai voce e spesso non ci accorgiamo, o non vogliamo farlo, di loro, se non quando una tragedia finisce tra le notizie. Non sentiamo e non vediamo le vicende di quelle persone in movimento che dall’Asia e dal Medio Oriente percorrono, in molti casi a piedi, un corridoio per entrare in Europa attraverso i Balcani. La rotta balcanica è la loro porta d’ingresso nel Vecchio Continente e lo sperato orizzonte di una vita lontana da crisi umanitarie, oppressione, povertà, discriminazione, disastri naturali e ceneri ancora calde di conflitti non sopiti.

Rete solidale

I nostri occhi, le nostre orecchie e le nostre mani da allungare verso uomini adulti soli, nuclei familiari e minori non accompagnati, provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria, dalle regioni a maggioranza curda della Turchia, sono quelli di una rete solidale che li accoglie a Trieste, tra la piazza di fronte alla stazione centrale e una vecchia struttura abbandonata che funge da riparo improvvisato, composta da International rescue committee Italia (Irc Italia), Consorzio italiano di solidarietà (Ics), Diaconia valdese, Donk Humanitarian Medicine, Comunità di San Martino al Campo e Linea d’ombra. Molte delle persone che incontrano le vedranno una volta sola, perché proseguiranno alla volta del Nord Europa, altre diventeranno più o meno invisibili, anche per via di inefficienze e ritardi delle istituzioni, e si arrangeranno con soluzioni di fortuna spesso degradanti, mentre altri riusciranno ad accedere al circuito dell’accoglienza, seppur affrontando attese e disagi.

Nell’immagine: a sinistra © International Rescue Committee
Photo: Francesco Pistilli for the IRC, a destra Flaminia Delle Cese (per gentile concessione)

L’intervista

Tutto questo è riportato in “Vite abbandonate 2023”, il secondo rapporto stilato da Irc Italia sulla situazione delle persone migranti arrivate a Trieste dopo aver attraversato Bosnia, Croazia e Slovenia. Interris.it ha intervistato Flaminia Delle Cese, Legal and Advocacy Advisor di Irc Italia.

Chi passa per rotta balcanica?

“La squadra composta da International Rescue Committee Italia e Diaconia Valdese di Trieste ha incontrato circa 16mila persone, dando una prima informativa legale, fornendo i riferimenti per i servizi disponibili sul territorio e distribuendo beni di prima necessità, come un cambio di vestiti e di scarpe. Le nazionalità principali riscontrate nel 2023 sono pressoché le stesse dell’anno precedente: afghana, pakistana e turca, soprattutto curdi, seguite da bengalese, nepalese, irachena e iraniana. Quasi 11mila persone provenivano infatti dall’Afghanistan, 1.870 dal Pakistan e 1.532 dalla Turchia. Sono comunque numeri sottostimati, dato che gli operatori non riescono a entrare in contatto con chi arriva di notte o nelle fasce diurne del fine settimana non coperte dal monitoraggio. In generale, si presta poca attenzione ai flussi di persone che arrivano via terra, non solo a livello mediatico ma anche dal punto di vista di raccolta di dati ufficiali”.

Che Paesi attraversano lungo la rotta balcanica?

“Le persone entrano in Europa soprattutto tramite la Turchia, per poi percorrere la rotta balcanica tramite diversi Paesi, tra cui la Grecia, la Bulgaria, Macedonia, la Bosnia, la Serbia, la Croazia e/o la Slovenia”.

Quali sono le cause delle migrazioni?

“Le condizioni nei Paesi di origine che non lasciano altra scelta se non quella di intraprendere un viaggio in gran parte a piedi e, magari nell’ultimo tratto dalla Croazia e dalla Slovenia, in treno. La maggior parte delle persone migranti si affida ai passeur o a chi conosce questi percorsi, spesso anche pericolosi, e tendono ad affrontarli in gruppo. I tempi del tragitto variano, una famiglia può metterci di più rispetto a un uomo adulto in salute che ‘viaggia’ da solo. In molti casi si muovono a piedi, con calzature inadeguate o persino scalzi, e sono vittime di abusi e violenze, anche da parte delle autorità e delle forze di polizia che incontrano”.

Quali sono le loro mete?

“Se il 15% ha detto di volersi fermare a Trieste, quasi il 70% esprimeva l’intenzione di andare in altri Paesi, anche se qualcuno non ha voluto condividere queste informazioni con gli operatori o non sapeva bene cosa avrebbe fatto. Le mete principali sono la Germania, la Francia, il Belgio e la Svizzera. Scelte legate alla possibilità di ricongiungersi con qualche familiare o almeno con i membri della propria comunità. Il ricongiungimento familiare permetterebbe soprattutto ai minori stranieri non accompagnati di raggiungere in modo legale e sicuro i propri parenti nella destinazione finale, ma pochi sanno di questa possibilità”.

Avete osservato cambiamenti del fenomeno?

“La raccolta capillare dei dati, iniziata dal 2022, conferma l’aumento dei numeri assoluti, da 13mila a 16mila, e che Trieste è e sarà il punto di arrivo e di entrata in Italia, anche se poi tra chi arriva a c’è pure chi vuole proseguire verso altri Paesi europei. La tendenza resiste pure ai cambiamenti del contesto, l’ingresso della Croazia nell’area Schengen (quindi con la fine dei controlli alla frontiera con la Slovenia e il rafforzamento di quelli dal lato Bosnia-Erzegovina e Serbia, ndr), i controlli al confine tra Slovenia e Italia e il programma italiano di ‘riammissioni’, a cui la controparte slovena non ha dato seguito. L’unico lieve calo si è avuto a inizio 2023, ma si è compensato durante l’anno. In questa prima metà del 2024 osserviamo una diminuzione, in percentuale, della componente afghana e dei minori, la maggior parte proveniente dall’Afghanistan, ma non abbiamo ancora dati consolidati né elementi sufficienti per una spiegazione”.

La situazione che trovano all’arrivo in Italia è “accogliente”?

“Chi è in transito, chi ha già richiesto asilo o vuole accedere alla procedura ma incontra qualche difficoltà finisce in un ‘buco’ dovuto a un vuoto strutturale delle istituzioni nel supporto del primissimo arrivo. Un aiuto a queste persone arriva dal Terzo settore, solitamente rivolto ai più vulnerabili come famiglie e bambini. Chi resta fuori dall’accoglienza formale, come gli uomini adulti da soli, cercava riparo in un silos non lontano dalla stazione centrale di Trieste. Una sorta di accampamento informale che permetteva di avere un tetto – ma anche dove si trovavano in condizioni di degrado – ed era non lontano dal centro diurno della Comunità di San Martino al Campo, uno spazio multifunzionale dove le persone possono avere tetto e luogo caldo, ricaricare i cellulari, fare una doccia e tenersi impegnate. Recentemente il silo è stato sgomberato per la situazione sanitaria e le persone migranti adesso si trovano prive di un punto di riferimento e di raccolta, con la possibilità che si disperdano per la città in zone non ancora identificati dagli operatori”.

© International Rescue Committee
Photo: Francesco Pistilli for the IRC

Ci spiega cosa comporta essere richiedente asilo?

“Da quando si presenta domanda per l’asilo in Italia si ha diritto a entrare nel circuito formale dell’accoglienza, ma Trieste non ha posti sufficienti quindi si devono trasferire le persone in altre Regioni, in base alla disponibilità. C’è stato un periodo, tra l’estate e l’autunno 2022, che a causa di ritardi anche chi ne aveva diritto finiva per restare fuori dall’accoglienza, poi la situazione è migliorata. Un aspetto singolare riguarda alcuni casi di minori non accompagnati che viaggiano in un gruppo, perché non chiedono asilo per non rischiare di essere separati dagli altri – quando in realtà avrebbero diritto a tanti percorsi di tutela in Italia”.

Una volta fatta domanda d’asilo, quali sono le tempistiche?

“Ai fini della presentazione della domanda, l’attesa può durare fino a più di un mese, poiché si possono prendere in carico un ‘tot’ di richieste alla volta, mancano le risorse umane negli uffici e in alcuni casi c’è anche la barriera linguistica. Dopo questa fase, la procedura varia in base alla nazionalità e la decisione può arrivare in sei mesi-due anni. In caso di diniego si può fare ricorso, allungando i tempi di un altro anno o due. Durante questo periodo i richiedenti sono autorizzati a stare sul territorio italiano e hanno diritto a un posto nell’accoglienza. Il problema rimane per chi non riesce a chiedere asilo, dato che rimane tecnicamente irregolare nel nostro Paese”.

Il rapporto inserite anche delle “Raccomandazioni”. Quali sono le vostre proposte?

“L’idea del report è sia di presentare i dati che le raccomandazioni alle istituzioni, cioè proporre soluzioni per risolvere i problemi che solleviamo. Sia nel 2022 che nel 2023 i nostri suggerimenti erano i seguenti: predisporre un piano di assistenza umanitaria per le persone appena arrivate, per chi presenta domanda di asilo assicurare l’accesso al sistema di accoglienza nel più breve tempo possibile, accelerando trasferimenti, e favorire una gestione dell’accoglienza più inclusiva per evitare sia che la maggior parte sia a carico del Terzo settore, col rischio che al quando vengono fondi vengano meno anche i servizi”.

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