Il “bullismo sportivo” consiste in una particolare forma di violenza, oggi poco conosciuta ma diffusa, che si verifica durante le attività fisiche di squadra e individuali, con l’intento precipuo di predominare sul prossimo. Si tratta di una forma meno “attenzionata” di bullismo ma altrettanto pericolosa e, per questo, da tenere in massima considerazione. Alla base si pone un’esasperata competitività (spesso spalleggiata dai genitori), in cui il bullo ricorre all’offesa pur di estromettere un potenziale rivale.
Le ripercussioni
Se i pari isolano il malcapitato, come avviene nel “gruppo classe”, le ripercussioni fisiche e psicologiche sono enormi. La responsabilità del gruppo è di non creare, e tollerare, manifestazioni discriminatorie e vessatorie nei confronti della vittima individuata, bensì favorire la partecipazione, condividere risultati, maturare consapevolezza e crescita psicofisica. I genitori dei bambini bullizzati ignorano quanto i luoghi di incontro, di una determinata attività sportiva, possano trasformarsi in una trappola. Accanto a episodi diretti e fisici, si riscontrano anche quelli tipici del cyberbullismo, legati, in particolare, al web e ai social.
Il gusto dello sport per passione
Il 6 maggio del 2023, nel Saluto alla Federazione Italiana Tennis e Padel, Papa Francesco ricordò “Non lasciatevi rubare il gusto di fare sport per passione, per divertirvi e divertire. Questa è la gratuità, lo spirito di gratuità con cui dobbiamo giocare. L’agonismo è buono se non toglie questa dimensione ludica. Se invece prevale la dinamica della competizione, questa fa scattare varie forme di egoismo che finiscono per rovinare la pratica sportiva, così che questa non risulta più educativa, anzi, al contrario”.
In libreria
Il professor Andrea Ceciliani è l’autore del volume “Aggressività, gioco e sport” (sottotitolo “Educare nell’infanzia e nell’età evolutiva”), pubblicato da “Edizioni Junior” nel luglio 2023. Parte dell’estratto recita “Gli atteggiamenti aggressivi sono comuni nell’infanzia e, nella norma, si attenuano nel passaggio all’adolescenza ma, allo stesso modo, alti livelli di aggressività sono predittivi di successivi comportamenti antisociali, spesso di gravità crescente. Ne sono esempio l’aumento del bullismo scolastico, il cyberbullismo e il problema delle baby-gang, purtroppo sempre più diffuse in diverse città italiane”.
L’indagine
Nell’ottobre scorso, il Dipartimento per lo Sport, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha pubblicato i risultati di un’indagine riguardante il triste fenomeno. Al link https://www.sport.governo.it/it/comunicazione-ed-eventi/studi-ricerche-ed-analisi/indagine-athlete-culture-climate-survey-indagine-quali-quantitativa-su-abusi-e-violenza-nello-sport/, si legge “Il 39% di chi ha oggi tra i 18 e i 30 anni e ha praticato almeno uno sport prima della maggiore età ha dichiarato di aver subito almeno una forma di violenza interpersonale. Questo significa che quattro atleti su dieci sono stati vittime di abusi nel mondo dello sport prima dei 18 anni. Le forme di violenza più diffuse, riportate dall’indagine, sono quella psicologica (30%), quella fisica (19%), quella legata ad atti di negligenza (15%) seguita da quella sessuale (14%). Per quanto riguarda il genere, hanno dichiarato di essere stati vittima di violenze il 40% degli uomini e il 37% delle donne. Un dato interessante emerso dall’indagine è che per quanto riguarda i responsabili delle violenze, essi sono i compagni di squadra per gli uomini, dove il 26% ha subito una forma di abuso da nuovi compagni di squadra, mentre il 37% da quelli già conosciuti. Per le donne sono gli allenatori/allenatrici (35% rispetto al 27% indicato dagli uomini). Nell’indagine si fa riferimento anche ad altri operatori sportivi (15%), adulti non conosciuti (8%) e conosciuti (8%). Dall’indagine emergono anche riflessioni sul ruolo dei genitori. In merito all’età, hanno dichiarato di essere stati vittima di violenza il 43% di coloro che oggi hanno tra i 18 e i 24 anni, e il 34% di coloro che oggi hanno tra i 25 e i 30 anni”.
Non è tutto oro quel che luccica
Il mondo dello sport non è, come a volte si potrebbe pensare, un’isola felice e sganciata dalle miserie umane, tra cui le vessazioni tra pari o tra l’educatore e l’allievo. Come altre situazioni di aggregazione sociale, è soggetto a dinamiche relazionali negative, di abuso, prevaricazione e correlata esclusione. Al pari della scuola, e a differenza di realtà sociali improvvisate non istituzionalizzate, lo sport vive di regole ed è soggetto al controllo di educatori. Tale “rete” di protezione non impedisce, purtroppo, il verificarsi di episodi di bullismo. Il bullo è sfrontato e indifferente alle regole; pur rischiando sanzioni disciplinari, non rinuncia a distruggere la sua vittima.
Il ruolo del formatore
Lo sport non deve abdicare alle sue caratteristiche e ai suoi valori: cementare la socializzazione, favorire il confronto, la condivisione, la responsabilità, alimentare l’autostima, il rispetto delle regole e dell’avversario. Atteggiamenti violenti di alcuni non possono minare l’impianto valoriale di un’attività che contribuisce a plasmare la persona. Il formatore deve anche instillare lo spirito di squadra e permettere di discernere la competizione sana da quella insana, promuovendo un clima di fiducia, rispetto e crescita, indipendente dai risultati sportivi ottenuti. Il ruolo dell’allenatore è fondamentale poiché orientato a impedire vessazioni, violenze e denigrazioni. Egli stesso, in ogni caso, deve mantenere un approccio direttivo e formativo, sebbene autorevole ma non offensivo e lesivo. L’educatore deve stimolare la crescita fisica e psichica non affossare il praticante; deve, inoltre, favorire un ambiente di crescita e di solidarietà, recuperando eventuali sintomi di esclusione o di scarsa autostima. La pressione psicologica e/o fisica, esercitata sulla vittima, può riguardare diversi momenti dell’attività sportiva: da quelli più nascosti dello spogliatoio a quelli all’esterno, durante la pratica. Il bullo, quindi, può attentare alla vita dell’altro su più fronti e con conseguenze devastanti.
Le caratteristiche del fenomeno
I pretesti utilizzati per schernire sono molteplici: il bullo, complice la sua invidia e crudeltà, è in grado di approfittare di qualsiasi insuccesso della vittima. Una prova non riuscita (eventualità fisiologica per chi si pone in gioco) può essere amplificata, strumentalmente, tanto da condurre il malcapitato a considerarsi un fallito. La tendenza da evitare e su cui soffermare l’attenzione è la sottovalutazione. È necessario, infatti, far comprendere ai giovani come, nel caso di bullismo, non sia possibile sottostimare le angherie, né considerarle tollerabili o temporanee perché si ha paura (per ritorsioni) o vergogna (per un’immagine da debole) di riferirle. Decisiva, in tutti i casi di bullismo, è la forza della vittima di parlare e denunciare quanto subito. Si tratta di uno sforzo non semplice poiché implica ulteriore sofferenza e vergogna ma è un importante alleato per sconfiggere questa piaga sociale. Lo spogliatoio è un luogo a rischio, in cui l’ambiente nascosto e riservato può rappresentare molti pericoli. Anziché costituire il luogo ove cementare l’unione e la forza del gruppo, promuovendo le relazioni fra pari, può divenire una prigione, la sede delle torture.
Il messaggio da non trasmettere
In tal caso, è importante, per allenatori e genitori, cogliere eventuali dettagli e comportamenti insoliti (a esempio non voler fare la doccia con i compagni), che potrebbero essere le manifestazioni esteriori del disagio. Una tipica reazione del bullizzato è quella di rinunciare all’attività fisica e convincersi di non essere adeguato alla relazione con gli altri, di non essere all’altezza. Il messaggio errato è quello per cui, in una società in cui occorre primeggiare, a ogni costo, il fine giustifica i mezzi e, dunque, anche i più gretti e meschini, con la noncuranza delle gravi ripercussioni in una fase delicata, infantile e adolescenziale, come quella della crescita. Occorre far comprendere come la prestazione non sia un obiettivo da “vivi o morti”, da “dentro o fuori”, com’è nelle corde della società della misura, della quantità e della competizione, sempre pronta a giudicare e classificare.
Il bullo è sempre perdente
Un’eventuale prova non buona non costituisce un fallimento bensì un trampolino di lancio. A terra c’è il bullo, lui sì vittima di un fallimento, di personalità e di costruzione umana. Anche lui, tuttavia, deve e può essere recuperato, affinché, da bullo, si penta, torni ad abbracciare il soggetto del suo schernire e divenga il primo custode di eventuali atteggiamenti vessatori perpetrati da altri. In ogni ambito della vita, quindi anche nello sport, il bullo è sempre perdente.