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Crisi umanitaria a Gaza, la popolazione è stretta tra fame e guerra

La popolazione civile residente nella Striscia di Gaza, tra sofferenze e difficoltà quotidiane, sta pagando il prezzo più alto della guerra. Interris.it ha intervistato il dott. Danilo Feliciangeli, referente per il Medioriente di Caritas italiana

Il 7 ottobre 2023 ha rappresentato l’inizio di un’escalation di violenza che ha causato distruzioni e sofferenze indicibili per la popolazione civile israeliana e palestinese. Nonostante i numerosi tentativi di intavolare una tregua tra le parti, corredati da appelli alla pace e al dialogo da parte delle istituzioni internazionali, l’ultimo dei quali è stato rappresentato dal vertice dei Paesi del G7, allo stato attuale, i civili, tra lutti e privazioni materiali, stanno continuando a pagare il tributo sangue più alto di questo conflitto. Interris.it ha intervistato il dott. Danilo Feliciangeli, referente di Caritas Italiana per il Medioriente, sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza.

guerra
Gaza. Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash

L’intervista

Dottor Feliciangeli, qual è l’attuale situazione umanitaria dei civili nella Striscia di Gaza?

“La situazione umanitaria dei civili nella Striscia di Gaza è terribile. Il numero di morti sta aumentando inesorabilmente giorno dopo giorno e, attualmente, ci sono più di 37 mila vittime. Totalmente, i morti causati da questa guerra, israeliani e palestinesi residenti nella West Bank in Cisgiordania, sono quasi 40 mila di cui, quasi l’80%, sono civili. Ci sono stati degli episodi inaccettabili, come quello occorso al campo di Nuseirat poco tempo fa in cui, mille palestinesi, sono stati uccisi o feriti per liberare gli ostaggi israeliani, oppure quanto è successo all’ospedale di Al Aqsa. In questi episodi non c’è stato alcun rispetto nei confronti della popolazione civile. Inoltre, la situazione umanitaria è influenzata dalla mancanza di tutti i generi di prima necessità”.

Molte persone sono rimaste senza una casa. Quali sono le loro difficoltà quotidiane?

“Ci sono un milione e settecentomila sfollati, ovvero persone che non hanno più un alloggio dignitoso e, di conseguenza, dove ripararsi, cucinare, mangiare e rispondere agli altri bisogni primari. L’accesso ai generi di prima necessità rimane compromesso e sempre più difficile, non solo per i convogli umanitari, ma anche per gli attori commerciali che, da sempre, rifornivano Gaza di tutto il necessario. Tutto ciò non c’è più: trovare cibo, acqua potabile, vestiario e medicine costituisce una sfida quotidiana sempre più difficile. Le scuole sono chiuse dal sette ottobre, gli ospedali rimasti sono pochissimi e nessuno è in piena operatività, anche a causa della mancanza di medici, personale sanitario, corrente e di gasolio per alimentare i generatori. C’è carenza di ogni cosa e tutto è a rischio.”

Come sta operando Caritas per portare aiuto alla popolazione locale?

“Caritas, fin dall’inizio, ha messo a disposizione tutte le risorse disponibili a Gaza già da prima dell’inizio di questa guerra. Un team di cento operatori di Caritas Gerusalemme, impiegati soprattutto nell’ambito sanitario, era già operativo in loco, attraverso una clinica a Gaza City e quattro cliniche mobili nel resto del Paese. Gaza City è stata uno dei primi luoghi ad essere devastati dal conflitto e, la nostra clinica, è fuori uso. L’impegno di Caritas Gerusalemme, da subito, si è concentrato nell’assistenza agli sfollati e, circa un migliaio, si sono radunati nei due compound delle Chiese cristiane di Gaza City, quella cattolica e quella ortodossa. Ad essi sono stati offerti generi di prima necessità, cure mediche, sostegno psicologico e, soprattutto per i bambini, forme di animazione. Via via che la situazione si evolveva, Caritas ha cercato di allestire anche altri punti di assistenza, come ad esempio a Rafah e Khan Junis, dove sono allestiti dei piccoli compound in cui viene offerta assistenza sanitaria, riabilitazione psicologica, assistenza e distribuzione di voucher per l’acquisto di beni di prima necessità spendibili nei market che riescono ancora a rifornirsi”.

Come state operando in Cisgiordania?

“Stiamo mettendo in campo un piano di assistenza in Cisgiordania, ovvero nella West Bank fuori dalla Striscia di Gaza dove, a causa degli scontri con i coloni israeliani, con l’esercito e per la chiusura di qualsiasi possibilità lavorativa per i palestinesi che prima lavoravano in Israele o con il turismo, Caritas sta supportando con forme di sostegno al reddito coloro che l’hanno perso. Circa 2750 famiglie sono aiutate in questo momento attraverso la distribuzione di buoni acquisto e carte ricaricabili in tutti i territori palestinesi occupati e, oltre a ciò, si fornisce supporto medico per circa settemila persone e, altre cinquecento, seguite al livello psicologico, sia a Gaza che in Cisgiordania”.

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Gaza. Foto di Mohammed Ibrahim su Unsplash

In che modo Caritas è impegnata per favorire percorsi di riconciliazione tra israeliani e palestinesi?

“Caritas Italiana, oltre a sostenere le azioni di Caritas Gerusalemme, opera per la pace e la riconciliazione tra israeliani e palestinesi. Da anni sosteniamo un partner locale ‘Neve Shalom’, impegnata da molto tempo nel sostegno del dialogo tra arabi e israeliani, attraverso un villaggio nel quale essi convivono pacificamente. In particolare, stiamo finanziando un progetto di educazione per le giovani generazioni finalizzato al dialogo e all’incontro tra di loro. L’intento è quello di dare un contributo alla soluzione di questo conflitto il quale, ormai, sta andando avanti da più di settant’anni”.

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