“Al momento abbiamo una severità idrica alta per quanto riguarda la Sicilia, che è la regione del Paese in cui al momento si verifica lo scenario peggiore dal punto di vista di disponibilità idrica, infatti il Consiglio dei Ministri ha deliberato il 6 maggio 2024 lo Stato di emergenza per la Regione; poi abbiamo la Sardegna dove la severità idrica è di livello medio. Si passa poi al territorio continentale: al nord la situazione è pressoché di normalità, mentre al centro sud la severità idrica è bassa, sebbene ultimamente tendente a una severità media”. È questa la fotografia sulla disponibilità idrica scattata dal dottor Stefano Mariani, Primo Tecnologo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Responsabile della Sezione “Analisi e previsioni meteo-idrologiche e risorse idriche”, contattato da Interris.it per approfondire il tema della siccità nel Belpaese.
Temperature superiori alla media
“Le due aree maggiormente interessate da severità idrica alta e media, ossia la Sicilia e la Sardegna, sono sotto continuo monitoraggio e controllo da parte degli Osservatori permanenti sugli utilizzi idrici dei due distretti idrografici. Le ultime previsioni stagionali indicano per l’estate che le precipitazioni saranno in linea con la media del periodo, è vero però che si prevedono temperature superiori alla norma che sono da attenzionare, perché la disponibilità di risorsa idrica è la risultante tra quanto piove e quanta acqua evapora dagli specchi d’acqua e traspira dalla vegetazione”, spiega il dott. Mariani aggiungendo che le previsioni stagionali possono essere un “monito” per essere ancora più attenti nel monitorare la situazione.
Le conseguenze
Sicilia e Sardegna, come spiegato all’inizio sono le due aree che dalla fine del 2023 e in questi primi mesi del 2024 sono più a rischio. “Consideri che gli ultimi mesi dell’anno, generalmente, sono quelli più piovosi, quindi un deficit idrico in quel periodo evidenzia in maniera chiara la precarietà della situazione – spiega l’esperto dell’ISPRA -. Se la scarsità idrica dovesse aggravarsi, avremmo diverse conseguenze: dalla mancanza di disponibilità di acqua per l’uomo ai danni per gli ecosistemi, a differenti impatti socio-economici legati all’uso della risorsa, che possono avere ricadute di lungo respiro. Scarsità idrica significa meno acqua nei corsi d’acqua e negli invasi e meno acqua che si va a infiltrare nel suolo e quindi le falde acquifere non si ricaricano; gli ecosistemi e l’uomo sono i primi a risentire della carenza di acqua”.
Gli strumenti di governance
Il dottor Mariani spiega che dal 2016 sono operativi sette Osservatori sugli utilizzi idrici – uno per ciascun distretto idrografico in cui il territorio nazionale è diviso – che “sono il punto di unione e di contatto per la governance della risorsa idrica, in particolare quando ci si trova a dover affrontare situazioni di siccità e scarsità idrica. Con il Decreto siccità del 2023 questi Osservatori sono stati rafforzati dal punto di vista normativo – aggiunge -, inoltre è attiva la cabina di regia del Commissario straordinario per la crisi idrica che sta portando avanti tutta una serie di iniziative per capire qual è lo stato passato, attuale e futuro della risorsa idrica e quali misure sono necessarie per la gestione della crisi idrica. Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, il Commissario ha chiesto a quelli che sono gli enti meteo nazionali di avere un quadro sulla crisi idrica e di fare delle proiezioni per gli scenari futuri, in base anche ai dati sul cambiamento climatico. ISPRA ha fatto parte di questa task force di supporto al Commissario e ha coordinato il quadro in cui è stato fornito l’elemento conoscitivo sul bilancio idrologico e sulla disponibilità di risorsa idrica, elemento essenziale sia per porre le basi dell’attività attuale (quella svolta dagli Osservatori), sia per dare vita a politiche di più lungo respiro”.
Cosa potremmo aspettarci in futuro
Tra cambiamenti climatici, periodi di siccità, eventi meteo estremi: cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Una domanda a cui il dottor Mariani ha risposto spiegando che si tratta di un tema oggetto di studi. “Ci si basa sulle proiezioni climatiche che presentano come potrebbe essere in futuro il clima sulla base delle possibili future emissioni dei gas a effetto serra, confrontando scenari in cui si riducono notevolmente i gas serra con altri dove la situazione rimane così com’è – aggiunge -. Nella previsione peggiore, ossia dove tutto rimarrebbe allo stato attuale, senza nessuna politica di riduzione dei gas serra si andrebbe a ottenere a livello nazionale, secondo primi studi, una riduzione al 2100 della disponibilità idrica anche del 40%“.
L’altra faccia della medaglia
Questo perché, come spiega l’esperto ISPRA, si prevede ci sarà un forte aumento delle temperature e, quindi, si avrà un aumento della evapotraspirazione. “Nei territori del sud si potrebbe avere meno disponibilità idrica rispetto al nord – aggiunge -. Ma nel nord Italia si potrebbero avere precipitazioni più abbondanti concentrate in brevi periodi con conseguente maggiore rischio di alluvioni. Lo scenario non è promettente nel momento in cui non si agisce sulle emissioni dei gas serra, sicuramente non si tornerà al passato. Dovremmo imparare a vivere il presente sapendo già cosa ci riserva il futuro e, quindi, agire per tamponare una situazione che è già in atto”.