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Devi Vettori (Legàmi Adottivi): “Fare rete per superare le difficoltà”

La Presidente di "Legàmi Adottivi" Devi Vettori spiega a Interris.it quali siano le difficoltà che vivono ragazzi e adulti con una storia di adozione e come risolvere la dicotomia tra appartenenza e identità

Quando si parla di adozioni, il pensiero va automaticamente ai bambini adottati o alla famiglia adottiva del bimbo. Non si parla mai delle difficoltà che possono incontrare – nel prosieguo degli anni – quegli stessi bambini una volta diventati adulti.

A colmare questa carenza è nata a Bologna l’associazione Legàmi Adottivi OdV fondata da giovani donne che hanno vissuto l’esperienza dell’adozione e che hanno deciso di fare rete. L’obiettivo è principalmente quello di creare uno spazio in cui le persone adottate possano confrontarsi non solo come figli e figlie, ma come persone con l’insieme delle relazioni e dei legami intessuti nella propria vita. Interris.it ha intervistato la Presidente di Legàmi Adottivi, Devi Vettori.

L’intervista a Devi Vettori di Legàmi Adottivi OdV

Quando e come è nata Legàmi Adottivi?

“Legami Adottivi OdV è nata nel 2019 come gruppo di lavoro da un’esigenza specifica. Ovvero dal rendersi conto che di adozione si parlava solo e sempre in relazione ai bambini e ai loro genitori. Ma che non c’era una voce che raccontasse e portasse anche l’esperienza di chi ha una storia di adozione, ma una volta cresciuto ha fatto un percorso di vita. Tutte le esperienze si intrecciano, le varie tappe che si incontrano lungo il cammino hanno il loro peso e peculiarità. Legàmi Adottivi nasce dunque in una pausa caffè a Bologna da quattro ragazze tutte nate in India che pensano che l’essere state adottate le riguardi non solo come fatto personale, ma anche come scintilla da cui far nascere qualcosa che vada oltre le nostre storie. Da qui l’idea di creare questo gruppo, non come sotto branca di un’associazione di genitori già esistente, ma con un’entità a sé, con una propria voce che fino a quel momento era mancante: la nostra”.

Alcuni soci e socie di Legàmi Adottivi Odv. Da sinistra: Elisabetta Ius, socia; Devi Vettori, presidente; Juliana Papurello, responsabile comunicazione; Maria Forte, vicepresidente; Benjamin Gallinaro socio. Foto: Legàmi Adottivi OdV

Quante persone operano nell’associazione?

“Siamo una decina di persone tra fondatori e collaboratori. I soci sono solo persone con background adottivo. Ma, cosa a cui noi teniamo molto, abbiamo anche un’equipe di operatori, di professionisti, che si occupano di adozione da molti anni e che collaborano con noi. L’obiettivo è quello di avere una strategia di visioni e di prospettive anche diverse al fine di portare avanti tutta una serie di progetti. Inoltre, una cosa che reputo molto bella è che, tra tutti noi, c’è un forte legame personale. Fare associazionismo è impegnativo e il presupposto è che ci sia una condivisione molto forte sia di valori di base sia di visione, pur avendo ognuno le proprie specificità”.

Vuole raccontarci della sua esperienza di adozione?

“Noi membri dell’associazione abbiamo deciso di non condividere in modo preciso e specifico le nostre esperienze personali, se non degli spunti che poi possono essere generalizzati ed essere di aiuto a più persone possibili. Raccontare una singola storia, per quanto emotivamente coinvolgente, ha il rischio di trasformarci in dei ‘modelli’. Il genitore adottivo deve invece guardare e ascoltare il figlio che ha con sé, che ha certamente un vissuto diverso dal nostro e dunque risorse differenti. Negli incontri, raccontiamo solo determinati aneddoti che spostano l’attenzione dalla storia della singola persona a quell’insieme di dinamiche che sono frequentemente riconoscibili”.

Quali sono le principali difficoltà che incontrano le persone con una storia di adozione?

“Esistono purtroppo dei leitmotiv negativi di chi ha una storia di adozione. Così come accade a chiunque abbia un vissuto di marginalizzazione. Chi è stato adottato spesso vive delle situazioni che apparentemente sembrano innocue, frutto della semplice curiosità, ma che in realtà sono delle vere e proprie micro-aggressioni. Si definiscono ‘micro’, ma nella realtà non lsono davvero piccole: il loro effetto può essere molto pesante; dipende dalla persona che la subisce, dal suo carattere, dall’età, dalla presenza o meno di un supporto. Una frase tipica rivolta alle persone adottate è ‘come parli bene l’italiano’. Vivendo tutti da decenni in Italia ed essendo stati tutti cresciuti in famiglie italiane questa frase apparentemente bonaria ci lascia quantomeno perplessi. Nei ragazzi più giovani venire additati come ‘persone che è strano che parlino bene l’italiano’ può ferire in modo profondo e procurare delle insicurezze alla propria personalità. Sappiamo bene infatti quanto l’identità sia qualcosa che ha bisogno di essere costruita in positivo passo dopo passo; nel caso di persone adottate, il percorso è complesso, spesso faticoso. Quindi è possibile che dei commenti, anche se fatti in buona fede, possano avere effetti molto forti in chi li riceve. E questo vale sia per per chi ha alle spalle un’adozione nazionale, sia per chi ce l’ha internazionale: la questione identitaria ha infatti una forte risonanza che ha più a che vedere con le tematiche psicosociali che con la provenienza geografica”.

Primo convegno Legàmi Adottivi “Tra appartenenze e identità” novembre 2019, presso Impact Hub Firenze. Foto: Legàmi Adottivi.

Altri esempi?

“Un’altra tendenza negativa molto frequente è quella dell’infantilizzazione. Quando si hanno origini diverse da quella italiana, capita che si venga trattati come se fossimo dei bambini: non vengono riconosciuti i titoli di studio o la professionalità. Spesso l’approccio è quello paternalistico, da ‘uomo bianco’ che ti deve spiegare tutto. Crescendo si riescono a gestire questi episodi di micro-violenza in modo più sereno, mettendo una distanza emotiva tra quello che arriva dalla gente e la risposta che si può dare. Ma per arrivare a questo traguardo c’è spesso molta strada da fare. A Legàmi Adottivi vorremmo provare ad essere proprio quelle persone che a noi, quando servivano, sono mancate: degli adulti a cui guardare che – venendo da esperienze comuni alle nostre – fossero in grado di darci la speranza che crescere da persone con storie di adozione può essere un po’ faticoso, ma che ce la si può fare. E che è comunque possibile raggiungere i propri obiettivi”.

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