Siamo alla quarta domenica di Pasqua, a metà percorso del tempo pasquale di cinquanta giorni. Ogni anno, in questa domenica, leggiamo un brano del capitolo 10 del vangelo di Giovanni, dove Gesù, attraverso una allegoria, si presenta come il buon pastore. Per questo motivo è chiamata la “Domenica del Buon Pastore”. In concomitanza viene celebrata oggi la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, istituita da Paolo VI nel 1964. Il tema della Giornata proposto da Papa Francesco per quest’anno è: “Chiamati a seminare la speranza e a costruire la pace”.
Dove andiamo adesso?
Dopo le tre domeniche delle apparizioni del Risorto, adesso, per tre domeniche, leggeremo dei brani del vangelo di Giovanni, apparentemente non collegati tra di loro, e rischiamo di perdere di vista il filo conduttore del nostro cammino. Mi pare utile ricordare che andiamo verso l’Ascensione del Signore e la Pentecoste, culmine del percorso pasquale. Le letture domenicali intendono prepararci a queste due grandi feste. Lo fanno attraverso tre temi, partendo da tre scritti del Nuovo Testamento:
- Nella prima lettura, il tema della CHIESA, con la lettura del libro degli Atti degli apostoli: ripercorreremo i primi passi della Chiesa, guidata dallo Spirito Santo;
- Nella seconda lettura, il tema della VITA CRISTIANA, con la lettura della prima lettera di San Giovanni, per riscoprire la nostra filiazione divina;
- Nel vangelo, la persona di GESÙ, attraverso alcuni brani del vangelo di Giovanni, sul nuovo rapporto di Gesù con i suoi, come Pastore, come Vite e come Amico.
Che pastore strano!
La allegoria del pastore richiede, prima di tutto, lo sforzo di immedesimarsi in una realtà di una epoca che non è più la nostra, per cogliere il messaggio di Gesù. Infatti, nessuno vuole essere una “pecora” né far parte di un “gregge”, anche se, purtroppo, lo siamo, e come! Solo che “pastori”, “pecore” e “greggi” si chiamano diversamente: leader, idoli dello sport, guru mediatici, influencer, fan, tifosi, club, populismi… In ogni caso, qui si tratta di uno strano pastore perché nessuno darebbe la vita per una pecora e poi il pastore stesso diventa agnello e si fa alimento del gregge!…
L’immagine del pastore ha dietro di sé una così lunga e ricca tradizione biblica (particolarmente nei profeti) che non possiamo farne a meno. Attorno ad essa si è sviluppata una spiritualità (vedi Salmo 23: “Il Signore è mio pastore”). Davanti all’infedeltà dei pastori, Dio decide di prendere in mano il suo gregge (Geremia 23; Ezechiele 34) e dare al suo popolo dei “pastori secondo il suo cuore” (Geremia 3,15). La più grande minaccia contro la ribellione sarà: “Non sarò più il vostro pastore!” (Zaccaria 11). Ma la misericordia di Dio ha sempre la meglio: “Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto” (Zaccaria 12,10).
Gesù il Pastore grande delle pecore, dagli occhi grandi!
Il nuovo testamento riprende questa feconda tradizione: Gesù è “il Pastore grande delle pecore” (Ebrei 13,20), il Pastore trafitto. Non ci sorprende, quindi, che la prima raffigurazione di Gesù, nelle catacombe, sia quella del “buon pastore”, secoli prima del crocifisso. Sulla tomba di un cristiano della fine del II secolo troviamo questa iscrizione: “Sono il discepolo di un pastore santo che ha occhi grandi; il suo sguardo raggiunge tutti”.
La caratteristica principale del buon pastore è che egli “dà la sua vita per le pecore”. Dare la vita è l’amore più grande. “Il buon Pastore è la versione dolce del crocifisso. Dolce solo a livello figurativo, perché la sostanza è la stessa. Non per niente nel brano di Giovanni la frase “dare la vita” è quella che spiega cosa significa ‘buono’, e ricorre ben cinque volte” (D. Pezzini).
La bellezza come testimonianza
“Io sono il buon pastore!”. C’è da sottolineare, però, che l’aggettivo greco impiegato dall’evangelista non è “agathòs” (buono), ma “kalòs”, cioè bello. Quindi la traduzione letterale sarebbe “Io sono il bel pastore” o “il pastore bello”! Questo ci può offrire un’altra prospettiva della bontà. La bontà rende bella la persona e la bellezza è irradiazione della sua bontà (Platone). Gesù è l’epifania non solo della bontà, ma anche della bellezza. Dio è Amore perché è Bellezza, ed è Bellezza perché è Amore.
“Bellezza e bontà s’intrecciano tra loro. […] Nell’Antico Testamento ci si imbatte per 741 volte nell’aggettivo tôb (si pronuncia anche tôv) e il suo significato oscilla appunto tra «buono» e «bello», per cui bontà e bellezza, etica ed estetica sono due volti della stessa realtà” (Gianfranco Ravasi). Le sette esclamazioni in Genesi 1: “Dio vide che era tôb” (Genesi 1), dunque, potrebbero essere tradotte come: “Dio vide che era una cosa bella”. Oggi la Parola del “Buon/Bel Pastore” potrebbe tradursi in un invito: “Gustate e vedete com’è buono/bello il Signore!” (Salmo 34,9). Egli è, davvero, “il più bello tra i figli dell’uomo” (Salmo 45,3).
Dice Simone Weil: “In tutto ciò che suscita in noi il sentimento puro e autentico del bello c’è come una specie di incarnazione di Dio […]; quindi tutta l’arte di prim’ordine è per essenza religiosa [in quanto] testimonianza in favore dell’Incarnazione. Una melodia gregoriana testimonia quanto la morte di un martire”! La bellezza, l’armonia estetica è una via verso Dio, che forse non abbiamo sfruttato abbastanza, e a cui oggi l’umanità è particolarmente sensibile.
I santi sono coltivatori e cantori della bellezza. San Francesco ne è un esempio eloquente. Egli contempla soprattutto nel Crocifisso di San Damiano la Bellezza di Dio, ma in ogni cosa bella il santo vedeva la bellezza del Creatore: “Tu sei Bellezza!” “E quale estasi pensi gli procurasse la bellezza dei fiori quando ammirava le loro forme o ne aspirava la delicata fragranza? Subito rivolgeva l’occhio del pensiero alla bellezza di quell’altro Fiore il quale spuntando luminoso nel tempo della fioritura dalla radice di Jesse, con il suo profumo richiama alla vita migliaia e migliaia di morti” (dal suo biografo Tommaso da Celano).
Il mondo ha bisogno di bellezza
“L’umanità spesso smarrisce il vero senso della bellezza; si lascia prendere dalla vertigine di ciò che è appariscente, e trasforma il bello in spettacolo, in bene di consumo, abbandonandosi all’immediatamente fruibile. La bellezza che si è resa trasfigurata e crocifissa ci redime dalla seduzione dell’effimero” (Lucia Antinucci). Oggi, quando si coltiva tanto la bellezza estetica, il cristiano è chiamato a rendere testimonianza del bello, rispecchiando la bellezza del suo Signore (2 Corinzi 3,18). Dice Sant’Agostino: “Guarda a Colui dal quale sei stato fatto bello”.
Potremmo dire che coltivare e testimoniare la bellezza di Cristo è una modalità di definire la nostra vocazione. Lo esprime bene il Papa nel suo messaggio:
“La Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni ci invita, ogni anno, a considerare il dono prezioso della chiamata che il Signore rivolge a ciascuno di noi, suo popolo fedele in cammino, perché possiamo prendere parte al suo progetto d’amore e incarnare la bellezza del Vangelo nei diversi stati di vita”.
Scrisse Dostoevskij, nel suo romanzo “L’idiota”: “La bellezza salverà il mondo”. Carlo Maria Martini riprese questa espressione nella sua lettera pastorale “Quale bellezza salverà il mondo?” (1999). Scrisse: “Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio”. Disse ancora: “Ciò che ci spinge a cercare tanto intensamente la bellezza di Dio rivelata a Pasqua è anche il suo contrario, cioè la negazione della bellezza. La vera bellezza è negata dovunque il male sembra trionfare, dovunque la violenza e l’odio prendono il posto dell’amore e la sopraffazione quello della giustizia. Ma la vera bellezza è negata anche dove non c’è più gioia, specialmente là dove il cuore dei credenti sembra essersi arreso all’evidenza del male, dove manca l’entusiasmo della vita di fede e non si irradia più il fervore di chi crede e segue il Signore della storia”.
Abbiamo qui materia per un serio esame di coscienza per ciascuno/ciascuna di noi, per le nostre comunità e per la Chiesa! Ci lamentiamo spesso che la gente si allontana dalla fede e le chiese si svuotano. La nostra vita, il nostro viso, i nostri rapporti rispecchiano, però, la bellezza del “Pastore Bello”?