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Editoria e lettura: le ragioni della crisi

Il 19° Rapporto sulla Comunicazione del Censis certifica la crisi quasi irreversibile del settore. Ma non quella della ricerca di informazioni

Una crisi datata, incancrenita eppure fluida, se non altro nel suo decorrere in modo sempre più netto e marcato. Forse figlia di una rinnovata cultura antropologica e sociale ma, in qualche modo, essenza stessa di un cambiamento nell’approccio all’informazione. Perché è chiaro: non occorrevano ulteriori rapporti o dossier per prendere atto di una crisi, quella dell’editoria e della carta stampata, ormai da tempo in fase ascendente. Eppure, il 19° Rapporto sulla Comunicazione rilasciato dal Censis, mette in evidenza una curiosa combinazione di elementi, che da un lato ribadiscono quanto già assodato ma, dall’altro, indicano come non si tratti tanto di una scarsa volontà di informarsi, quanto di una strategia di reperimento delle informazioni che ha via via oscurato il giornalismo tradizionale.

Editoria in crisi: il rapporto Censis

Il Censis parla chiaro: “La carta stampata in crisi perenne”. Nel senso che “per i media a stampa si accentua ulteriormente la crisi ormai storica, a cominciare dai quotidiani cartacei venduti in edicola”. Le cui vendite, tanto per fare un paragone con i primi Duemila, sono passate dal 67% del 2007 ad appena il 22% del 2023. Sedici anni esatti, durante i quali è stato però evidente il potenziamento dei dispositivi digitali e, soprattutto, dell’internet casalingo e su device mobili. Il che, di fatto, ha costretto i quotidiani, anche quelli storici, a reinventare la propria divulgazione in rete, piuttosto che affiancarla semplicemente al quotidiano tradizionale. Ne è derivato un rafforzamento dei siti web che, tuttavia, non sono sfuggiti alla crisi: basti pensare che, tra il 2022 e il 2023, anche il numero degli utenti che hanno interagito con i quotidiani online è diminuito, toccando quota 30,5% (- 2,5%).

La logica dell’informazione

Il punto, però, sta nel leggere la crisi dell’editoria con gli occhi del lettore. In generale, ciò che sembra mancare, oltre all’affezione per il cartaceo, sempre più soppiantato (forse irreversibilmente) dall’interazione “digitale” con le notizie, è la fiducia negli organi di stampa. Un recente sondaggio di Termometro Politico aveva mostrato come il 33,7% dei lettori giustificasse la crisi del settore con la scarsa competenza (o addirittura la faziosità) dei giornalisti. Anche questo, un aspetto da tenere in considerazione. Perché se risulta evidente la battuta d’arresto subita dall’informazione “tradizionale” (ossia quella affidata agli organi di stampa), lo stesso non si può dire per la volontà degli utenti di reperire notizie. Prova ne sia che, secondo il dossier Censis, il 58,1% degli utenti naviga su siti web di informazione. Un dato stabile tra il 2022 e il 2023 ma sensibilmente cresciuto (+21,6%) dal 2011 a oggi.

Il ruolo della tv

Poco più di un decennio, che ha certificato la discesa degli organi di stampa nazionali a favore di un’informazione meno autorevole ma comunque veicolata in grandi quantitativi, specie per l’apertura di siti web sempre nuovi, destinati a informazioni di settore o, spesso, orientati maggiormente a un’aderenza alle logiche degli algoritmi. In linea di massima, la risposta più naturale all’autonomia di giudizio sempre maggiore sviluppata con la disponibilità della rete h 24, sempre più parte integrante della nostra quotidianità e, per questo, in grado di rispondere “alle diverse preferenze ed esigenze comunicative di ciascuno”.

Anche se, precisa il Censis, “a svolgere questo compito è innanzitutto la televisione“. Non estranea all’interazione di internet, tutt’altro: nel 2023, sul 95,9% degli italiani che ha affermato di guardare la tv, il 56,1% si affida ai modelli web o smart. Non solo. Dal 2007 a oggi, si è assistito a un boom della cosiddetta mobile tv, balzata dall’1,0% di allora al 33,6% del 2023, equivalente a un terzo della popolazione italiana.

I rischi dell’ibridazione

Un processo di ibridazione che ha coinvolto anche la radio ma che, per quel che riguarda l’ambito dell’informazione, rischia di creare un corto circuito. Perché è vero che, in modo ormai acclarato, il consolidamento di internet e dei contenuti veicolati via social o su siti di semplice informazione ha definitivamente arginato il riferimento primario alle testate storiche. Ma è vero pure che l’accesso all’informazione “smart” rischia di creare ampi margini di errore in termini di autorevolezza della notizia e verifica delle fonti come requisito per un’informazione corretta. Il che, sul piano etico, corrisponde a un preciso dovere deontologico per chi esercita nel campo dell’editoria. Un processo che, peraltro, vede nell’accesso sempre più semplice all’Intelligenza artificiale un’altra variabile a doppio taglio. Potenzialità e rischio insieme. Come per tutti i grandi cambiamenti, occorrerà una gestione accorta.

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