Nel mondo contemporaneo, si definisce “childfree” la persona, donna o uomo che, in un’età ancora fertile ha già preso, per motivi vari, la decisione di non avere figli. Altri sono “childless”. In fatto di non genitorialità, la distinzione fra i due termini è nell’intenzionalità: chi è childfree ha scelto di non avere figli o, in caso di infertilità, ne ha accettato l’esito. Childless è chi, pur desiderando figli, non ne ha potuti avere. Il “feeling interno”, a livello psicologico, è all’opposto: nel primo caso si è soddisfatti per la propria scelta e la rinuncia è vissuta come desiderata, nel secondo caso si vive una condizione triste, ingiusta, difficile da metabolizzare. Vi è anche un terzo gruppo, costituito da persone debolmente motivate alla procreazione, che oscillano tra le prime due condizioni: al momento non hanno ancora assunto una decisione convinta. Le valutazioni personali sono oggetto di revisione, non vi è un registro da firmare, per cui, mutate opportunità lavorative e affettive, possono cambiare alcune certezze.
I sostenitori childfree, ogni anno, il I agosto, celebrano l’“International Childfree Day”. I movimenti, in tal senso, sono nati già negli anni ‘70, con la costituzione, nel 1973, del NON (Organizzazione Nazionale per i Non Genitori). Si tratta, quindi, un argomento già molto dibattuto da decenni e che, stando ai numeri, si presenta con maggior frequenza in questi ultimi anni.
All’Udienza Generale del 10 gennaio 1979, San Giovanni Paolo II ricordò “La maternità è la vocazione della donna. È una vocazione eterna, ed è anche vocazione contemporanea. ‘La Madre che capisce tutto e con il cuore abbraccia ognuno di noi’: sono parole di una canzone, cantata dalla gioventù in Polonia, che mi vengono in mente in questo momento; la canzone in seguito annunzia che oggi il mondo in modo particolare ‘ha fame e sete’ di quella maternità, che ‘fisicamente’ e ‘spiritualmente’ è la vocazione della donna, così come è di Maria. Bisogna far di tutto, affinché la dignità di questa splendida vocazione non venga spezzata nella vita interiore delle nuove generazioni; affinché non venga diminuita l’autorità della donna-madre nella vita familiare, sociale e pubblica, e in tutta la nostra civiltà: in ogni nostra legislazione contemporanea, nell’organizzazione del lavoro, nelle pubblicazioni, nella cultura della vita quotidiana, nell’educazione e nello studio. In ogni campo della vita”.
La sensibilizzazione alla natalità arriva da più fonti, anche dalle massime istituzioni civili. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, infatti, si è espresso più volte in tal senso, con affermazioni come “La nascita di un figlio è segnale di speranza e di continuità della comunità” e “La struttura demografica del Paese soffre di gravi squilibri che incidono in modo significativo sullo sviluppo della nostra società. Un fenomeno accentuatosi con la pandemia e che ha generato nuove disuguaglianze e una diffusa precarietà che scoraggia i giovani nella costruzione di una famiglia”.
All’articolo 31, la Costituzione recita “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l‘infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Per delineare un quadro attuale della tendenza demografica italiana, le statistiche presenti nel web, sono molte. L’Istat, nel Report del 26 ottobre scorso, visibile al link https://www.istat.it/it/files/2023/10/Report-natalita-26-ottobre-2023.pdf, precisa “Ancora un record negativo per la natalità: nel 2022 le nascite scendono a 393mila, registrando un calo dell’1,7% sull’anno precedente. La denatalità prosegue anche nel 2023: secondo i primi dati provvisori a gennaio-giugno le nascite sono circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Il numero medio di figli per donna scende a 1,24, evidenziando una lieve flessione sul 2021 (1,25); la stima provvisoria elaborata sui primi 6 mesi del 2023 evidenzia una fecondità pari a 1,22 figli per donna. […] I nati da genitori in cui almeno uno dei partner è straniero continuano a diminuire nel 2022, attestandosi a 82.216 unità e costituendo il 20,9% del totale dei nati. […] Per il totale delle donne residenti l’età media al parto rimane stabile rispetto al 2021, pari a 32,4 anni”.
Il sito di “Valigia Blu”, al link https://www.valigiablu.it/donne-senza-figli/, riporta alcuni dati “In Italia circa il 22% delle donne nate alla fine degli anni Settanta terminerà il proprio periodo riproduttivo senza figli. Tra queste, almeno un quarto i figli non li hai mai voluti”. Michela Andreozzi, sceneggiatrice, regista, attrice è l’autrice del volume “Non me lo chiedete più” (sottotitolo “#childfree. La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa”), pubblicato da HarperCollins Italia nel giugno 2018. Il suo disagio è espresso nell’estratto, che recita “Ho quarant’anni e spicci e non ho figli. Non li ho, e non ne voglio. Sono una childfree, cioè senza figli, che è diverso da childless, priva di figli. Una scelta versus una casualità. […] Anche se la pressione sociale è un vero e proprio mobbing. Sottile, fatto di giudizi, paragoni, allusioni, confronti, sfide. È possibile non avere figli, ma non ti è permesso rifiutarne l’idea”. Anche per questo argomento, così delicato, si fronteggiano più posizioni, talvolta in maniera conflittuale. Vi è divisione anche su tali aspetti. Le campagne pro e contro si susseguono in maniera tambureggiante. Sicuramente non è più un argomento tabù, anzi è molto dibattuto. Più che di contrapposizioni, tuttavia, sarebbe opportuno sottolineare la consapevolezza, la maturità e il discernimento di essere genitore.
Come avviene, infatti, in qualche caso, a proposito del matrimonio, è la pressione sociale a scatenare una sorta di effetto emulativo in cui, se, a esempio, parenti o amici si sono sposati, va rispettata la “regola”, senza aver valutato le proprie convinzioni a fondo. Allo stesso modo, potrebbe verificarsi per la nascita di un figlio; implica il non esserne da meno, il non sentirsi diversi. Le mode agiscono anche su scelte così importanti, per sé e per gli altri. La pressione sociale, in questo ha molto rilievo, quando la decisione, invece, dovrebbe essere il più possibile personale e non per scelta di campo o di adesione a una campagna o a un’altra.
Esperienze genitoriali non desiderate, irresponsabili, assenti e con sensi di colpa sono diffuse e non determinano situazioni positive. Donne e uomini senza figli sono al centro, a volte, di stigmatizzazioni. L’esigenza, insopprimibile, di “giudicare”, in questi casi si esprime solo nei confronti di chi non genera, poiché si intende andare a fondo delle “motivazioni” e dei problemi che hanno determinato quest’“anomalia”. Si tende a scavare nell’intimo delle persone, con carattere invasivo e investigativo, pur di esprimere la sentenza.
Gli stereotipi e i luoghi comuni, in queste circostanze non mancano, anche per i riflessi lavorativi, per l’annosa questione “famiglia o carriera”. Stereotipi e pregiudizi sono gli ingredienti che meno favoriscono un dialogo costruttivo e una serena valutazione personale sulle scelte di vita. La libertà di scelta rischia di trascendere in un incitamento alla non procreazione: lo stile di vita contemporaneo, sempre più ricco di spazi in cui contenere attività, di poter chattare in libertà o guardare le serie tv senza freni, non consente l’intralcio di pargoli frignanti. Le relazioni sentimentali a tempo determinato, sempre più diffuse, non si “coniugano” bene con le responsabilità genitoriali.
Le situazioni sociali e ambientali, a livello nazionale e internazionale, non presentano scenari molto positivi e disincentivano molte coppie, molti giovani che stanno costruendo, un po’ incerti, il proprio futuro. Sicuramente la contemporaneità pone molti dubbi e incertezze, per coloro che auspicano una vita serena ai propri figli. Va considerato, tuttavia, come nel secolo scorso, durante e dopo i due grandi conflitti mondiali, nonostante non vi fossero aspettative rosee, i tassi di natalità fossero elevatissimi. Le stesse preoccupazioni hanno accompagnato l’essere umano nei secoli scorsi, in contesti dominati dalle guerre, dalla miseria, dalle malattie e dalla negazione dei diritti basilari ma non hanno impedito la vita.