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Federica, una giovane al servizio degli ultimi: “Anche nei poveri c’è ricchezza”

Dal desiderio di dedicarsi ai meno fortunati, alla partecipazione al progetto della Caritas italiana: "Vorrei essere la voce di chi vive tra fatiche e sofferenze"

La nostra società ci racconta di giovani, impregnati di egoismo e di consumismo. Questa è però solo una faccia dei nostri tempi, e nonostante si fatichi a crederci, ci sono anche molti ragazzi che non temono il diverso e che anzi portano nel cuore il desiderio di mettersi a servizio dei più fragili.

Mi sta a cuore – Curare il presente per sognare il futuro

Si tratta di un progetto alla prima edizione della Caritas Italiana che ha coinvolto per un anno sei giovani tra i 19 e i 30 anni. Questi ragazzi hanno condiviso un’esperienza molto forte, che li ha visti impegnati negli uffici della Caritas Italiana e presso alcune realtà di accoglienza della Caritas Roma.

L’intervista

Tra i partecipanti anche Federica Baron Cardin, venticinquenne di Treviso, laureata in scienze della comunicazione, che ha deciso di intraprendere questa esperienza, spinta dalla volontà di sporcarsi le mani per gli altri. Interris.it ha raccolto la sua testimonianza, fatta di ricordi vivi, che rimarranno indelebili nella sua giovane memoria.

Federica, come è stata la tua avventura?

“Io sono arrivata a Roma con una valigia piena di sogni da realizzare e in primis il desiderio di poter diventare uno strumento di pace e di amore fraterno. Per la parte di servizio io ho scelto il centro di accoglienza Ferrhotel, che ospita uomini immigrati dai 18 anni in su. Qui il mio compito pratico era quello di aiutare nelle faccende pratiche della quotidianità, come il cambio delle lenzuola e la distribuzione dei pasti. Il cuore della mia presenza però, era condividere il tempo e la mia vita con gli ospiti, costruendo delle relazioni, basate sulla fiducia reciproca. Dal primo giorno ho cercato di fare ciò con tanto impegno, altruismo ed entusiasmo”.

Perché una ragazza decide di fare un’esperienza come questa?

“Io ho sempre portato nel cuore il desiderio di fare volontariato e di incontrare gli ultimi perché credo che queste persone apparentemente povere, in realtà possiedano una grande ricchezza. Spronata da questo pensiero, dopo aver conseguito la laurea, tramite la Caritas di Treviso ho fatto un’esperienza di servizio, durata tre mesi, presso il campo Bogodja in Serbia, che accoglie ragazzi in cammino lungo la rotta balcanica. Lì, per la prima volta nella mia vita, mi sono sentita al posto giusto nel momento giusto e ho maturato la convinzione che non poteva finire tutto così. Una volta a casa ho cercato una nuova proposta che mi potesse aiutare a capire come declinare la mia vocazione che mi porta verso l’altro, qualsiasi sia la sua storia o provenienza”.

Cosa ti resta di questa esperienza?

“Gli incontri e le relazioni che con il sorriso ho creato con le persone del centro. Nei loro occhi spesso ho anche scorso la fatica e la sofferenza nell’accettare la negazione dei loro diritti fondamentali. Nonostante il presente non corrispondesse appieno alla aspettative, molti di loro nutrivano ancora la voglia di sognare e di disegnare un futuro pieno di speranze. A volte, quando si pensa a questi percorsi, si parte con il desiderio di dare qualcosa agli altri, ma in realtà sono le persone che incontri ad accoglierti e a donarti il senso dell’amore e dell’umanità”.

Non hai mai la sensazione di andare controcorrente?

“Sì mi capita spesso e sono pienamente consapevole che non è sempre facile comprendere del tutto la mia scelta di vita. Penso ad alcuni miei coetanei che la pensano in modo diverso da me, o a mio padre, che forse avrebbe sognato intraprendessi un percorso più tradizionale. Io però amo la mia vita e, nonostante non sia sempre facile, disidero continuare per la mia strada”.

Come è stato convivere con gli altri ragazzi del progetto? 

“Questa è stata la parte più difficile dell’intero percorso perché non è sempre facile condividere gli spazi con delle persone diverse. Ognuno di noi è arrivato a Roma con il proprio bagaglio personale e con un modo differente di affrontare l’esperienza che abbiamo fatto. La convivenza mi è servita per comprendere che, per incontrare l’altro, si deve necessariamente lavorare su ste stessi e smussare qualche spigolo del proprio carattere”.

Federica, come vedi il tuo futuro?

“Vorrei essere la voce di tutte quelle persone che nel mondo vivono tra fatiche e sofferenze, qualsiasi esse siano. Desidero raccontare la loro storie di rinascita perché sono certa che parlarne significa donare una speranza tangibile a tanti uomini e a tante donne che ne sentono il bisogno. Il mio obiettivo rimarrà sempre quello di mettere a servizio degli altri i doni che Dio, con immensa generosità e fiducia, mi ha donato”.

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