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Diventare mamme con la sclerosi si può: cosa bisogna sapere

La dott.ssa Paola Cavalla, responsabile del Centro Sclerosi Multipla a Torino, fa il punto su questa malattia e come e a quali condizioni una donna possa affrontare la gravidanza se ne è affetta

La sclerosi multipla è una malattia autoimmune infiammatoria del sistema nervoso centrale, tipicamente modulata dal genere. Diversi studi infatti, evidenziano come si tratti di una patologia che si manifesta con più frequenza nel genere femminile e con un esordio in epoca riproduttiva. Negli uomini, invece, si presenta con decorso più aggressivo.

L’intervista

Di questo delicato argomento Interris.it ne ha parlato con la dottoressa Paola Cavalla, responsabile del Centro Sclerosi Multipla, dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale, Città della Salute e della Scienza di Torino.

Dottoressa, perché questa malattia è maggiormente diffusa tra le donne?

“Ad oggi non abbiamo ancora una chiara spiegazione. Sappiamo però questo fenomeno si è intensificato dal dopoguerra in poi, con un rapporto donne uomini vicino al 3 a 1. Innanzitutto, è importante dire che oggi disponiamo di efficienti mezzi diagnostici come la risonanza magnetica e l’esame del liquor, e spesso sono proprio le donne ad arrivare alla diagnosi, in quanto più attente a sottoporsi a controlli neurologici per approfondire eventuali disturbi, anche lievi. Inoltre, si stanno studiando una serie di fattori ambientali legati alla vita della donna, che la renderebbero più predisposta alla malattia rispetto al maschio”.

Quali sono?

“Si tratta di alcuni elementi ambientali che agiscono selettivamente nella vita femminile e che, essendo cambiati dal dopo guerra ad oggi, potrebbero contribuire a questo incremento della malattia. Tra questi, il numero ridotto di gravidanze, che avvengono in età sempre più tardiva, la vita lavorativa che si è spostata dall’ambiente domestico a quello esterno, la diffusione al fumo e l’incremento dell’obesità, già in età prepuberale”.

Una donna affetta da sclerosi multipla può affrontare una gravidanza?

“Certamente sì, ma siccome si tratta di una malattia che ha bisogno di terapie costanti risulta importante programmarla. Il momento ideale sarebbe durante un periodo di stabilità della malattia e se possibile off-therapy, dopo una terapia ad alta efficacia/induttiva o in alternativa, continuando una terapia compatibile con la gravidanza”.

Ad oggi esistono dei farmaci che permetto di stabilizzare la malattia?

“Sì e di alcuni abbiamo dei dati di sicurezza rispetto anche a un uso nel corso della gravidanza. Altri invece, vengono usati in modo preventivo per poi poter avere una gestazione senza farmaci. La scelta del percorso terapeutico deve essere sempre personalizzata e sulla base di una serie di variabili, in primis dell’attività di malattia che la donna presenta”.

Una gravidanza peggiora le condizioni della paziente?

“Molti studi documentano che molto spesso accade che, durante la gravidanza, la malattia diventi meno attiva, con una netta riduzione degli attacchi. Questo accade perché quello della gestazione è uno stato di immuno-tolleranza, indotto da una serie di elementi tra cui gli alti livelli ormonali e le interazioni con l’unità feto-placentare”.

Questo stato di grazia continua anche nel dopo gravidanza?

“Purtroppo no. Quello dopo la nascita del bambino è un periodo molto delicato perché si manifesta un eccesso di attacchi e di attività infiammatoria. Peraltro, l’allattamento al seno, che determina benefici particolarmente rilevanti sia per il neonato, sia per la salute in generale della donna, mitiga ma non blocca questa fase infiammatoria. Si rende così necessaria spesso una rapida ripresa della terapia che talora ostacola l’opzione dell’allattamento al seno”.

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