Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha reso le comunicazioni al Senato della Repubblica in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 ottobre 2023. Riportiamo il testo integrale così come pubblicato sul sito del Governo.
Il testo integrale delle comunicazioni di Giorgia Meloni al Senato
“Signor Presidente, Onorevoli Senatori, il Consiglio europeo che si apre domani si celebra in una fase storica e in un contesto internazionale ancora più difficili, per certi versi drammatici, dei precedenti. L’Unione Europea è chiamata a dare risposte forti e urgenti alle difficoltà che la sfidano, dall’interno e dall’esterno. Non sarà quindi un Consiglio di routine, non mi aspetto nemmeno un Consiglio per così dire semplice, ammesso che ne siano mai esistiti. La discussione sarà inevitabilmente condizionata dai terribili eventi che hanno insanguinato il Medio Oriente. Sul tema, prima di ogni altra considerazione, voglio esprimere anche in quest’Aula la mia vicinanza umana ai famigliari delle vittime del terrificante attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, la mia grande preoccupazione per la sorte degli ostaggi alcuni dei quali ho incontrato ieri i familiari a Palazzo Chigi e il mio profondo sgomento per la brutalità con la quale Hamas si è accanito contro civili inermi, non risparmiando neppure donne, bambini e anziani. La ferocia che abbiamo visto e il tentativo di disumanizzare quello che si ritiene essere il nemico sono concepibili solo quando il fanatismo religioso e ideologico riesce ad obnubilare la ragione e annichilire il senso di umanità. Da italiani, e da europei, è un qualcosa che ci spaventa molto, perché sono immagini che abbiamo già visto più volte nella nostra storia, e che ha assunto la forma più atroce nella persecuzione del popolo ebraico.
Per questo non può esserci nessun’ambiguità nel condannare nel modo più fermo i crimini dei quali Hamas si è reso responsabile; non può esserci nessun distinguo sulla condanna ad ogni forma di antisemitismo, compresa quella di matrice islamica e quella che viene camuffata da avversione allo Stato d’Israele; non devono esserci dubbi nel sostenere il diritto di Israele a esistere e a difendere i propri cittadini e i propri confini, in linea con il diritto internazionale. Questa è la posizione del Governo italiano e che il Governo italiano ha espresso in ogni sede, dal Consiglio Europeo – che ha dimostrato grande unità con la dichiarazione congiunta dello scorso 16 ottobre – fino alla conferenza internazionale tenutasi al Cairo la scorsa settimana. E questa impostazione continua e continuerà a guidare la nostra azione. Allo stesso tempo, siamo molto preoccupati dalle conseguenze che il conflitto scatenato da Hamas sta avendo, in particolare sulla popolazione civile palestinese, e dal conflitto su larga scala che ne può generare.
È esattamente questa la ragione per la quale ho deciso di partecipare personalmente alla conferenza del Cairo, scegliendo di essere l’unica nazione membro del G7 a partecipare a livello di leader. Perché considero vitale, in questa fase, il dialogo con i Paesi arabi e musulmani – e l’Italia svolge storicamente un ponte di dialogo tra Europa, Mediterraneo Medio Oriente – per impedire che si cada nella trappola di uno scontro tra civiltà che avrebbe conseguenze inimmaginabili. E uso volutamente la parola trappola, perché sono persuasa che la barbarie degli attacchi di Hamas – con miliziani che si mettono una telecamera sulla fronte per riprendere scene impensabili, come la decapitazione di neonati – avesse un obiettivo preciso. E chiaramente quell’obiettivo non era e non poteva essere difendere il diritto del popolo palestinese, che invece viene usato e calpestato dai gruppi fondamentalisti come Hamas e dai loro atti terroristici, ma procurare piuttosto un conflitto molto più esteso, costringendo Israele a una reazione contro Gaza che minasse alla base ogni tentativo di dialogo, che creasse un solco incolmabile tra Israele, Occidente e paesi arabi, alcuni dei quali coraggiosamente avevano tentato invece di normalizzare i rapporti con lo stato ebraico attraverso gli accordi di Abramo.
La strategia dei fondamentalisti per cancellare lo stato di Israele dalla faccia della terra è una strategia di lungo periodo: rendere Israele una terra inospitale, dalla quale scappare se si vuole vivere in pace, se si vuole avere il diritto far crescere i propri figli, e il processo di normalizzazione che stava avvenendo nella regione comprometteva quella strategia. E dobbiamo essere consapevoli degli schieramenti in campo. Da una parte c’è chi lavora ad un processo di normalizzazione dei rapporti nel Medio Oriente e per una prospettiva di collaborazione sempre più stretta tra tutti i soggetti in campo; dall’altra c’è chi ha interesse ad alimentare lo scontro e a sottolineare i punti di divisione. Nel mondo arabo e, con forme e intensità diverse, al di fuori del mondo arabo. E tutti coloro che sono dalla parte giusta di questo scontro devono lavorare insieme per impedire una escalation del conflitto. Un’estensione che porterebbe con sé il rischio di coinvolgimento di nuovi attori regionali a partire da Libano e Siria, potenze come l’Iran, fino ai grandi player geopolitici come Russia e Cina che di certo non disdegnerebbero vedere distolte le attenzioni dell’Occidente da altri scenari critici.
I civili di Gaza, i diritti del popolo palestinese e le istituzioni che lo rappresentano legittimamente – a partire dall’Autorità Nazionale Palestinese – sono essi stessi vittime della politica di Hamas, e le due cose non devono essere sovrapposte. Nessuna causa potrà mai giustificare il terrorismo. Nessuna causa potrà mai giustificare un’aggressione terroristica scientemente preordinata e organizzata per colpire civili innocenti del tutto estranei alle dinamiche militari. Nessuna causa potrà mai giustificare il rapimento o l’uccisione, casa per casa, di donne e bambini. Di fronte ad azioni di questo tipo, uno Stato è pienamente legittimato a rivendicare il proprio diritto all’esistenza, alla difesa e alla sicurezza dei propri cittadini e dei propri confini. Ma la reazione di uno stato non deve mai essere motivata da sentimenti di vendetta. Uno stato fonda la sua reazione sulla base di precise ragioni di sicurezza, commisurando la sua forza e tutelando la popolazione civile. Questo è il confine nel quale la reazione di uno stato di fronte al terrorismo deve rimanere, e sono fiduciosa che sia anche la volontà dello Stato di Israele. Siamo consapevoli che il punto di equilibrio tra una reazione necessaria e una sproporzionata, in un contesto nel quale Hamas di fa volutamente scudo della popolazione civile, sia in assoluto la cosa in assoluto più difficile, ma perseguire questo equilibrio è la principale delle nostre responsabilità. Nondimeno, il governo fa appello a Israele affinché vengano preservati i luoghi di culto nella striscia, a partire da quelli cristiani.
La nostra priorità immediata rimane l’accesso umanitario, indispensabile per evitare ulteriori sofferenze della popolazione civile ma anche esodi di massa che contribuirebbero a destabilizzare il Medio Oriente e in ultima istanza anche l’Europa. In questo senso il Governo ha accolto con favore l’istituzione, da parte israeliana, di una zona umanitaria nella Striscia di Gaza, così come la decisione della Commissione Europa di triplicare gli aiuti umanitari europei a Gaza, portandoli ad oltre 75 milioni di euro. Sulle polemiche dei giorni scorsi sulla possibile sospensione degli aiuti europei di assistenza allo sviluppo, voglio specificare che si tratta esclusivamente di una revisione degli stessi per escludere che anche solo un euro possa arrivare ad Hamas. Si tratta di somme rilevanti – 1,17 miliardi di euro per il periodo 2021-24 – che contribuiscono per oltre il 10% al bilancio dell’Autorità Nazionale Palestinese e che ben testimoniano l’impegno europeo in Medio Oriente. Da parte italiana poniamo la massima attenzione alla destinazione degli aiuti, oltre 45 milioni di euro tra il 2022 e il 2023 e ulteriori 58 milioni di crediti in aiuto. E ci impegniamo a verificare sistematicamente che, in nessun modo, organizzazioni terroristiche ne possano beneficiare.
Siamo, inoltre, molto preoccupati per la sorte degli ostaggi nelle mani di Hamas, anche se il giovane cittadino italiano Nir Forti, e i due coniugi italo-israeliani Eviatar Moshe Kipnis e Liliach Lea Havron non ce l’hanno fatta. Penso di rappresentare il sentimento dell’intera aula e dell’intera Nazione nel ribadire la nostra vicinanza e il nostro affetto ai loro figli, ma anche nel richiedere con forza l’immediato rilascio di tutti gli altri ostaggi, a partire da donne, bambini e anziani. Allo stesso modo, continuiamo a lavorare assieme ai nostri partner e ai nostri alleati per l’uscita dei civili stranieri ed europei, in particolare da Gaza. Noi abbiamo 19 connazionali che attendono di uscire ed un rapido ripristino del valico di Rafah, attualmente inagibile e pericoloso, è un passaggio essenziale sul quale lavoriamo con costanza.
Su tutti questi obiettivi sono personalmente impegnata in una fitta rete di contatti e incontri, così come il Ministro degli Esteri, per continuare a incoraggiare i partner arabi, e le altre parti interessate, a svolgere un ruolo costruttivo per evitare un ulteriore allargamento del conflitto. In questi giorni mi sono confrontata più volte con il Primo Ministro israeliano Netanyahu, ho parlato con il Presidente israeliano Herzog, con il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen, con il Primo Ministro libanese Mikati, il Presidente degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zaied, l’Emiro del Qatar Al Thani, il Re Abd Allah II di Giordania, il Presidente egiziano Sisi, il Presidente algerino Tebboune e il Re del Bahrein Hamad. E ho partecipato alle riunioni del Quint con i leader di Usa, Regno Unito, Francia, Germania. In tutti i contesti, e con tutti gli interlocutori, ho sottolineato l’importanza di contribuire alla de-escalation del conflitto e riprendere quanto prima un’iniziativa politica per la regione, non solo per risolvere l’attuale crisi ma per arrivare ad una soluzione strutturale sulla base della prospettiva “due popoli, due Stati”. Prospettiva che deve avere come presupposto, da parte di tutti gli attori presenti nella regione, il riconoscimento all’esistenza e alla sicurezza dello Stato d’Israele. Su questo, c’è totale convergenza di vedute e di intenti tra gli Stati Membri della UE. Personalmente sono convinta che lavorare concretamente, e con una tempistica definita, a una soluzione strutturale per la crisi Israelo palestinese sarebbe anche il modo più efficace possibile per svelare il bluff di Hamas agli occhi dei palestinesi e contribuire a sconfiggerlo.
La crisi in Medio Oriente, neanche a dirlo, ci riguarda direttamente. Riguarda l’Italia, riguarda l’Europa riguarda l’occidente. Non solo per le conseguenze che potrebbe creare, ma anche perché un mondo nel quale saltano non solo il diritto internazionale ma anche le più elementari regole di convivenza tra Stati e popoli, è un mondo che rischia di piombare nel caos. È quello che il Governo italiano sostiene fin dall’inizio con la guerra d’aggressione della Russia all’Ucraina ed è quello che ribadiamo anche oggi in quest’Aula: un mondo in cui non esistono più linee rosse invalicabili è un mondo meno sicuro e meno giusto per ciascuno di noi, non solo per gli Stati e i popoli direttamente coinvolti nei conflitti. L’allargamento del disordine nello scenario mondiale conviene solo a chi ha interesse a metter fine al complesso sistema di regole sul quale si basa la convivenza pacifica tra gli Stati. E non è un caso che non ci sia stata una specifica condanna da parte della Federazione Russa del feroce attacco di Hamas e che, addirittura, risultino apprezzamenti da parte di Hamas per la posizione del Presidente Putin sulla questione. Anche per questa ragione, il Consiglio europeo intende confermare il suo convinto sostegno al popolo ucraino che da 608 giorni combatte per la libertà e l’indipendenza della propria Nazione. Non dobbiamo commettere l’errore di affievolire il nostro comune sostegno alla causa ucraina. Su questo, la chiara posizione del governo italiano è riconosciuta e apprezzata dai nostri partner e rafforza il peso della nostra Nazione nei contesti europei e internazionali, dove è sempre più evidente il valore aggiunto che l’Italia può portare in termini di concretezza e diplomazia. E di questo, come ho già ripetuto in passato, dovremmo andare tutti fieri, perché rientra nel nostro interesse nazionale sostenere l’Ucraina e giungere a una pace giusta, nel pieno rispetto del diritto internazionale. Questo è il nostro obiettivo, e il nostro impegno si estende anche alla definizione delle future garanzie di sicurezza delle quali dovremmo discutere in vista dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, e alla sfida della ricostruzione. Guardiamo cioè non solo al presente, ma a un futuro di pace e benessere, a un futuro europeo, per l’Ucraina.
Sul fronte della sicurezza alimentare, continuiamo a condannare la decisione di Mosca di non rinnovare l’Iniziativa sui cereali del Mar Nero e sosteniamo tutti gli sforzi per assicurare che i prodotti agricoli possano raggiungere i mercati internazionali, perché quella scelta impatta soprattutto sui paesi più in difficoltà, è una guerra condotta contro i poveri. E guardate non è probabilmente un caso se in questo contesto nel quale vengono minate le regole del diritto internazionale gli scenari di crisi vadano moltiplicandosi, descrivendo una tensione crescente a livello globale.
Al Consiglio Europeo parleremo, dunque, anche di quanto sta accadendo nel Caucaso, delle tensioni crescenti tra Azerbaigian e Armenia, dell’esodo di decine di migliaia di cittadini di origine armena dal Nagorno-Karabakh, del rischio che si apra un nuovo fronte di destabilizzazione. E anche questo fronte richiama la comunità internazionale e l’Europa, in particolare, ad un’azione più incisiva per evitare un’escalation. Allo stesso tempo ci confronteremo su come l’Unione Europea ed i suoi Stati membri possano meglio sostenere il dialogo e la normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, in un contesto – quello dei Balcani occidentali – nel quale il ruolo di mediazione giocato dall’Italia è da tutti riconosciuto e apprezzato. Parleremo, infine, anche dei danni riportati dalle interconnessioni energetiche tra Estonia e Finlandia e su come rafforzare la capacità europea di difendere le sue infrastrutture strategiche.
Ma la crisi in Medio Oriente ci riguarda direttamente anche per un’altra ragione, che sarà anche essa oggetto della discussione in Consiglio Europeo, ed è la questione della migrazione illegale, e dei rischi per la nostra sicurezza che questo fenomeno può portare con sé, ancora di più nell’attuale scenario. Perché tutti i confini europei sono sottoposti ad una pressione migratoria senza precedenti, a causa soprattutto di una fascia di instabilità che si salda dall’Atlantico al Mar Rosso, fino all’Oceano Indiano, e un fenomeno di questa portata ci impone di contrapporre all’irragionevolezza ideologica la concretezza del buon senso. E perché inquieta vedere ricomparire nelle nostre strade il fenomeno dei lupi solitari, che uccidono innocenti pretendendo di farlo in nome di Dio, con tanto di successive rivendicazioni a nome dello Stato Islamico. Vogliono tornare a colpire la nostra libertà, il nostro stile di vita. Vogliono vederci impauriti e pronti a rinunciare alla nostra quotidianità, e la nostra risposta, in Europa, deve essere forte e inequivocabile. Non ci riusciranno. Abbiamo quindi il dovere di alzare la guardia, come abbiamo fatto a partire dall’implementazione delle misure di protezione delle comunità ebraiche e dei luoghi sensibili in tutta Italia. E come hanno fatto nelle ultime ore le nostre forze dell’ordine – che ringrazio a nome di tutti gli italiani per lo straordinario lavoro che svolgono ogni giorno al servizio della nazione – assicurando alla giustizia alcuni fondamentalisti pronti a colpire in qualsiasi momento.
Dobbiamo fare i conti anche con questo scenario, con i rischi connessi all’infiltrazione diretta di jihadisti dal Medio Oriente ma anche alla radicalizzazione durante la loro permanenza sui nostri territori di immigrati, spesso irregolari, ingannati dai trafficanti di esseri umani e impossibilitati a trovare qui ciò che avrebbero voluto. Dobbiamo avere il coraggio di dire che può esistere, purtroppo, un legame tra terrorismo e immigrazione irregolare, e che ha sbagliato chi finora, per riflesso ideologico, ha liquidato con sufficienza questo possibile nesso, temendo una stretta rispetto a politiche politiche delle porte aperte che abbiamo conosciuto in passato. Così come ha sbagliato chi non ha sviluppato fino ad oggi un sistema di interscambio di informazioni più efficace e una politica comune dei rimpatri degli immigrati irregolari, a partire da quei soggetti segnalati come radicalizzati.
Oggi il governo italiano sostiene con forza ogni sforzo in questa direzione. La Commissione europea ha annunciato un intervento legislativo urgente su questa materia. L’Italia coglie con favore questo impegno e lavorerà intensamente con i partner europei affinché questa misura sia effettiva, efficace e di rapida attuazione. Ma, su tutto, esiste a maggior ragione la necessità urgente di lavorare per fermare i flussi migratori irregolari. Occorre qui distinguere due tipologie di immigrazione irregolare che colpiscono l’Italia. In primo luogo quella via mare, rispetto alla quale ancora una volta dobbiamo ribadire che non possiamo accettare siano i trafficanti di esseri umani a fare la selezione all’ingresso di chi ha diritto o non ha diritto ad entrare nel territorio italiano. E in secondo luogo quella via terra, che segue la rotta balcanica e che spesso si alimenta di un traffico più sofisticato attraverso passaporti falsi forniti ai migranti, che rende molto più difficile il filtraggio e l’individuazione degli irregolari. I più recenti rapporti della nostra intelligence ci hanno confermato che proprio dalla rotta balcanica e da queste modalità operative di infiltrazione possono arrivare per noi i maggiori rischi ed è questa la ragione che ha spinto il governo a intervenire tempestivamente, sospendendo Schengen e ripristinando i controlli alla frontiera con la Slovenia.
Voglio ringraziare le autorità delle forze dell’ordine di Slovenia e Croazia che non hanno mai fatto mancare finora la loro collaborazione. Sono finora ben 11 gli Stati europei che negli ultimi giorni hanno adottato provvedimenti simili verso altri Paesi europei confinanti. Alcuni importanti esponenti politici europei hanno commentato questa circostanza mettendo in guardia dal rischio che, continuando su questa strada, Schengen possa andare in frantumi e con esso uno dei pilastri dell’integrazione europea: che è la libera circolazione. É un rischio evidente e una preoccupazione che condividiamo. Ma a maggior ragione, l’unico modo per impedire anche questa deriva è lavorare per difendere i confini esterni dell’Unione. Lavorare sui movimenti primari è la condizione necessaria per garantire i movimenti secondari. Ed è una evidenza che ormai comprendono tutti, perché non posso non notare come nelle parole dei rappresentanti di alcuni Paesi europei particolarmente toccati dai cosiddetti movimenti secondari che si sono auto-convocati alcuni giorni fa, si scorga una sensibilità completamente nuova: non si tende più a scaricare il peso di questa enorme responsabilità sugli Stati di primo approdo come l’Italia, ma si riconosce per intero che l’unica risposta possibile sta nel difendere i confini esterni. Considero questa nuova sensibilità non soltanto il frutto di numeri insostenibili in termini di arrivi di migranti irregolari o delle drammatiche circostanze che stiamo vivendo in questi giorni a seguito degli attentati jihadisti in Europa. La considero anche il frutto del lavoro incessante che questo governo ha svolto, fin dal giorno del suo insediamento, in sede europea e internazionale per arrivare ad un cambio di approccio serio e definitivo nella gestione della migrazione.
Non più porte aperte e redistribuzione, ma protezione dei confini esterni, lotta senza quartiere al traffico di esseri umani, accordi con i Paesi terzi, canali legali per rifugiati e quote di immigrati regolari compatibili con i bisogni del nostro sistema economico. È l’approccio che abbiamo sostenuto in questo anno e che ha trovato accoglimento in più di un documento ufficiale, è quello che ha ispirato il memorandum Ue-Tunisia e ha portato la Commissione europea a presentare il piano di azione in dieci punti illustrato dalla Presidente Ursula Von der Leyen a Lampedusa. La stessa Presidente ha inviato in queste ore una lettera al Consiglio dando atto dei passi concreti fatti in questa direzione e annunciando, tra l’altro, un provvedimento imminente per rafforzare il quadro giuridico e le politiche europee di contrasto al traffico di esseri umani. È un impegno significativo che siamo pronti a sostenere. E permettetemi inoltre di accogliere con soddisfazione le parole del Commissario europeo Johansson che qualche giorno fa ha dato atto della significativa riduzione delle partenze dalla Tunisia registrata nelle ultime settimane, lo dico in punta di piedi, per la prima volta nel mese di ottobre il numero di migranti irregolari è diminuito rispetto a l’anno precedente. É certamente il frutto di una rafforzata volontà politica di portare avanti quell’accordo nonostante una parte politica abbia agito in tutti i modi per provare a sabotarlo, non comprendendo che così avrebbe fatto un danno agli italiani e un grande favore ai trafficanti di esseri umani. Ma questi dati sono anche il frutto di un’azione bilaterale condotta dall’Italia con il governo tunisino, volta a rafforzare la cooperazione nel contrasto al traffico di migranti. Sappiamo che questo quadro deve essere stabilizzato, ma è la strada giusta e dobbiamo perseguirla senza tentennamenti.
Dunque, nell’ambito della discussione sull’immigrazione che terremo in Consiglio, l’Italia sosterrà ancora una volta con forza: l’immediata implementazione dell’accordo con la Tunisia; la piena attuazione del Piano di azione in dieci punti presentato dalla Commissione europea; il varo di una missione navale europea, in accordo e in collaborazione con le autorità del nord africa, ma sia chiaro che per ottenere questa non difficile disponibilità da parte delle autorità del nord Africa è anche necessario un radicale cambio di rapporto con queste autorità, basato sul rispetto e non su un atteggiamento paternalistico e predatorio, come purtroppo spesso è accaduto in passato. E poi ancora la necessità di rafforzare i meccanismi di cooperazione di intelligence e di polizia al fine di contrastare più efficacemente le infiltrazioni jihadiste, e una più efficace politica di espulsione immediata dei soggetti segnalati come radicalizzati e di rimpatrio, che deve essere messa in campo dall’Unione europea nel suo complesso e non semplicemente dai singoli stati.
Non solo. L’Italia sosterrà anche la necessità di integrare il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 con adeguati stanziamenti per le politiche migratorie, sia quelle di contrasto ai flussi irregolari, sia quelle di cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussi, con l’obiettivo di dare corpo allo spirito della conferenza di Roma del luglio scorso e di rafforzare la proposta italiana di un Piano Mattei per l’Africa. Sappiamo che non sarà una partita facile, perché ad oggi prevale in Consiglio una sensibilità diversa che vuole limitare l’incremento del bilancio pluriennale alle voci di spesa che riguardano l’Ucraina, ma noi riteniamo invece che sia necessario raggiungere un’intesa entro la fine dell’anno e che questa intesa debba riflettere una logica di pacchetto. Lo dico con chiarezza: sarebbe un errore rivedere il bilancio pluriennale solamente per aumentare gli aiuti all’Ucraina, perché se non fossimo in grado di rispondere alle conseguenze che il conflitto in Ucraina genera per i nostri cittadini finiremmo inevitabilmente per indebolire anche il sostegno a quella causa.
Nella nostra idea, la logica di pacchetto prevede certo il sostegno finanziario all’Ucraina, ma deve come dicevo prevedere anche lo sviluppo dei partenariati con i Paesi del Vicinato Sud e dell’Africa, in particolare con quelli di origine e transito dei migranti, e deve prevedere la necessità di mantenere alta l’ambizione della proposta di Regolamento “STEP”, la piattaforma che rappresenta il primo embrione di un “fondo sovrano europeo”, che consentirà di investire insieme nuove risorse sui settori tecnologici più avanzati e, in questo contesto, di rendere più flessibile l’utilizzo delle risorse esistenti, in particolare in ambito di coesione. Si tratta di uno strumento fondamentale per garantire parità di condizioni nel mercato unico a fronte della decisione di allentare le norme sugli aiuti di Stato, una scelta che mette inevitabilmente in una condizione di vantaggio gli Stati membri che hanno una più ampia capacità fiscale. Abbiamo già avuto modo di far presente che la diversa capacità degli Stati membri dell’Unione di sostenere i rispettivi settori produttivi rischia di violare i presupposti alla base del mercato unico europeo e che non si può non tenermene conto nella discussione sul prossimo Quadro finanziario pluriennale. Tutto ciò che parla di autonomia strategica, sostanzialmente di sovranità, dell’Unione europea viene da questo governo sostenuto. Mi riferisco al Chips Act, la legge europea sui semiconduttori; al critical raw materials Act, la legge sulle materie prime critiche, e, appunto, a STEP, l’iniziativa per le tecnologie critiche. In buona sostanza mi riferisco a tutto ciò che serve a sostenere la doppia transizione limitando e auspicabilmente diminuendo la nostra dipendenza dai Paesi terzi, in particolare modo dalla Cina e dai Paesi asiatici.
L’Italia sostiene questi provvedimenti, e ritiene che gli stessi debbano essere adeguatamente finanziati. Ma riteniamo anche che imporre a tappe forzate alcuni provvedimenti del Green Deal senza aver precedentemente agito per ridurre le nostre dipendenze strategiche sia un errore che rischia di impattare pesantemente sui cittadini che potrebbero trovarsi a pagare un prezzo insostenibile alla doppia transizione. É per questo che il governo continuerà a sostenere in sede europea la necessità di un approccio pragmatico e non ideologico alla transizione, che noi vogliamo impostata su valutazioni di impatto ampie e affidabili, su criteri di gradualità e di sostenibilità economica e sociale, sul principio di neutralità tecnologica e su strumenti finanziari di incentivazione e di accompagnamento per le imprese e per i cittadini. La doppia transizione, se ben impostata, può essere uno straordinario strumento per rafforzare la competitività europea oppure, al contrario, se perseguita con un approccio miope, può portare ad una irreparabile desertificazione industriale del nostro continente. E noi questo non intendiamo permetterlo.
In questo quadro si inserisce il dibattito sulla revisione delle regole fiscali europee, un tema non formalmente in agenda in questo Consiglio, perché ancora in discussione al livello dei Ministri dell’economia, ma su cui il Governo italiano ha un’impostazione chiara: si deve trattare di un patto di crescita e stabilità e non di un patto di stabilità e crescita.
L’Unione europea ha individuato nella doppia transizione, verde e digitale, i pilastri della sua futura crescita. In questa direzione ha da un lato orientato buona parte degli investimenti previsti dai Pnrr nazionali e dall’altro ha richiesto agli Stati membri ulteriori significativi sforzi di finanziamento di queste priorità. Analogamente l’Unione ci chiede di continuare ad investire sulla difesa e sugli strumenti di sostegno all’Ucraina e noi non vogliamo, come detto, venir meno a questo impegno. In questo quadro, computare questi investimenti che vengono promossi, anche da Bruxelles, nei parametri deficit-Pil, ci sembra un controsenso che rischia di minare proprio gli obiettivi di sostenibilità e di sicurezza che ci siamo dati. Per questo continueremo a sostenere la necessità di scorporare, in tutto o in parte, queste voci.
Inoltre, le nuove regole devono senz’altro mirare ad una riduzione del debito pubblico ma in modo graduale e sostenibile, perché solo così potranno essere credibili e applicabili, superando gli errori del passato. Lo possiamo dire dall’alto della credibilità che abbiamo dimostrato in questo anno di governo, con politiche fiscali e di bilancio serie e responsabili, che hanno incontrato la fiducia sia dei risparmiatori italiani (come si vede dal successo riscontrato dell’emissione dei nostri titoli di Stato) che dei mercati (Piazza Affari è infatti tornata ai livelli pre-crisi 2008 e lo spread, tanto caro a molti, è stabilmente al di sotto dei livelli che c’erano prima che questo governo si insediasse).
A margine del Consiglio Europeo avrà luogo, infine, il Vertice Euro dove, alla presenza della Presidente della Banca Centrale Lagarde e del Presidente dell’Eurogruppo Donohoe, discuteremo delle prospettive economiche dell’Unione dal punto di vista finanziario e anche alla luce delle più recenti dinamiche dei tassi di interesse. E ci confronteremo ovviamente sulle iniziative da adottare.
In conclusione, colleghi, come vi ho detto all’inizio del mio intervento sarà un Consiglio importante e allo stesso tempo non privo di criticità. Un Consiglio nel quale, prima e più che una serie di provvedimenti concreti, mi aspetto una discussione franca sulla visione e sulla missione che vogliamo svolgere come europei in un mondo che ci sollecita a sfide sempre più stringenti e sempre più drammatiche. L’Italia affronterà questa discussione con le idee chiare, la schiena dritta, la credibilità che ha saputo conquistarsi in questo anno, smentendo in poco tempo anche i più scettici. Lo abbiamo fatto grazie a una visione coerente e definita, alla fiducia degli italiani che sentiamo forte alle nostre spalle, grazie al sostegno di una maggioranza politica compatta figlia di quella fiducia, fatevene una ragione, grazie a un governo che ha finalmente un orizzonte di legislatura, grazie a un lavoro serio e incessante che ha fatto comprendere a tutti che abbiamo l’orgoglio di rappresentare una Nazione straordinaria e abbiamo soprattutto la capacità e la volontà di giocare ogni partita da protagonisti. Perché siamo l’Italia e finalmente ne siamo consapevoli. Vi ringrazio”.
Dal sito del Governo