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Dismorfofobia: una patologia dell’era dell’immagine bella a tutti i costi

La dismorfofobia o dimorfismo corporeo, è un disturbo psicologico caratterizzato da una visione distorta del proprio aspetto esteriore indotta da un’eccessiva preoccupazione per la propria immagine corporea. I problemi legati alla non-accettazione dei propri difetti sono all’ordine del giorno tra i più giovani, e non solo. Ma il dismorfismo corporeo è una patologia che fa vedere quello che non c’è, isolando in un mondo da incubo chi ne è affetto. A volte al soggetto in presenza di disturbo sembra solo una leggera anomalia fisica, altre volte appaiono come vere e proprie deformazioni: difetti alla testa, capelli poco folti, cicatrici e deformazioni della pelle, del naso, occhi e altre parti del corpo. Forma e dimensioni del corpo totalmente sfasate: insomma, un vero e proprio incubo. La maggior parte dei soggetti vive con disagio questa patologia, soprattutto gli adolescenti che si sentono completamente tagliati fuori da una società sempre più legata all’aspetto esteriore. Chi ne soffre, quindi, non riesce a vedersi con obiettività davanti ad uno specchio che diventa un nemico rimandando un’immagine riflessa che viene distorta. La percezione alterata della propria immagine domina la vita della persona e le preoccupazioni spesso diventano incontrollabili fino a portare il soggetto a passare molte ore della giornata a rimuginare sul difetto fisico, che viene ingigantito talmente tanto da diventare un pensiero fisso; una vera e propria ossessione. La persona entra in un loop a causa del quale tenterà in tutti i modi di non mostrare quel che considera un proprio difetto compromettendo la propria vita sociale. Un loop mentale del genere alimenta emozioni negative che a loro volta alimenteranno ulteriori pensieri negativi fino a radicarsi in convinzioni, stati d’animo e comportamenti disfunzionali ed inutili, se non dannosi. È un cortocircuito invalidante che arreca notevole sofferenza in chi lo vive. L’autostima della persona affetta da dismorfofobia genera insicurezza e la induce ad isolarsi o a far sfociare l’angoscia in comportamenti fobico-ossessivi. In base al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5 TR, 2023), il disturbo di dismorfismo corporeo fa parte dello spettro del “Disturbo ossessivo compulsivo e disturbi correlati” e per emettere una diagnosi specifica è necessario riscontrare: a) preoccupazione nei confronti di uno o più difetti fisici non oggettivamente rilevabili o trascurabili da parte di altre persone; b) Adozione di comportamenti ripetitivi o rituali (guardarsi allo specchio, toccare la parte difettosa, ricercare rassicurazione ecc.) o atteggiamenti mentali (pensieri ossessivi, costante confronto con gli altri, convinzione di essere osservato e giudicato ecc.) in risposta alla preoccupazione per il difetto fisico; c) forte stress, ansia e calo del tono dell’umore causati dalla persistente preoccupazione per il difetto fisico; d) difetto fisico oggetto della preoccupazione diverso dal peso corporeo/massa grassa (in questo caso, è probabile la presenza di un disturbo del comportamento alimentare).

La consapevolezza che il difetto lamentato sia in realtà minimo o inesistente può essere nulla, parziale o elevata, ma ciò non incide sul grado di penetrazione dei pensieri/comportamenti ossessivi nella vita quotidiana. Sempre secondo il DSM 5 TR (2023), il disturbo è presente con una prevalenza che varia dal 9% al 12% nei pazienti dermatologici, dal 3% al 53% nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia estetica, dall’8% al 37% in soggetti con disturbo ossessivo compulsivo, dal 10 al 13% nei soggetti con fobia sociale e dal 14% al 42% in quelli con disturbo depressivo maggiore (APA, 2023). Il disturbo può essere un po’ più comune nelle donne, ma colpisce anche molti uomini. I maschi hanno più probabilità di avere preoccupazioni legate ai genitali, mentre le femmine hanno più di frequente un disturbo alimentare in comorbidità. Inoltre, Scarinci e Lorenzini, in uno studio svolto nel 2015, hanno evidenziato come il disturbo cresca tra coloro che non sono sposati, tra i divorziati e tra i disoccupati. Sembra, quindi, che situazioni di frustrazione e perdita, così come il vissuto di non accettazione, possano esprimersi nel disturbo. La dismorfofobia comincia solitamente durante l’adolescenza, l’età media all’esordio è di 16 anni con un decorso cronico, se non viene trattata. È molto importante cogliere come fronteggiare tale disturbo. In genere, il trattamento della dismorfofobia consiste nella combinazione di una particolare terapia psicologica, nota come psicoterapia cognitivo-comportamentale, e di una terapia medico-farmacologica a base di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina. La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha lo scopo di insegnare al paziente con dismorfofobia come identificare, dominare e prevenire i comportamenti problematici (in gergo specialistico noti con il nome di “comportamenti disattivi” o “pensieri distorti”), che caratterizzano la preoccupazione ossessiva per un presunto difetto fisico. Inoltre, è di grande aiuto nel fornire un metodo di individuazione dei fattori che scatenano i comportamenti patologici. La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede una parte “in studio”, con lo psicoterapeuta, e una parte “a casa”, riservata all’esercizio e al miglioramento delle tecniche di dominio e prevenzione. Sarebbe, altresì, interessante aggiungere rimedi come frequentare gruppi di supporto per persone affette dalla stessa malattia mentale, evitare in ogni modo l’isolamento sociale, scrivere un diario, in cui annotare cosa scatena i momenti di preoccupazione e cosa, al contrario, li attenua, imparare da un esperto qualche tecnica di rilassamento, che aiuti ad apprendere la gestione dello stress e dei momenti più difficili relativi al disturbo. In sintesi, oggi il corpo viene visto dai soggetti come altro da sé e lo misurano con quello che visualizzano tramite i mass media, in particolare attraverso la pubblicità. L’adolescente, nello specifico, o si specchia per come la cultura propone o fatica a gestirsi. Galimberti ci insegna com’è facile che un adolescente si scompensi pensandosi o immaginandosi brutto perché la società impone un’ideale di bellezza da raggiungere. Chi non lo fa, non viene accettato facilmente. A maggior ragione se il ragazzo è caratterizzato da disturbo dismorfofobico.

È evidente come, oggi, gli adolescenti si relazionino con sé stessi e con gli altri in relazione all’immagine che hanno acquisito rispetto al proprio corpo. Ma se il corpo non diventasse l’oggetto per eccellenza ed incominciasse ad essere anche uno “strumento” per iniziare a vivere davvero? Se aiutassimo i ragazzi ad individuare quale compito possono svolgere per rendere la loro giornata piena di significato? Se li aiutassimo ad esplorare le loro virtù favorendone la loro conoscenza? Se fossimo più presenti e più capaci di vivere noi, in primis, e testimoniare loro l’importanza della presenza, del “qui ed ora” per sentirsi, ascoltarsi, guardarsi e scambiarsi parole legate ad obiettivi, in un clima sereno e collaborativo? Allora lì, forse i ragazzi potrebbero iniziare ad andare verso quei sogni che prima sembravano chimere irraggiungibili. Ma dobbiamo aiutarli, dobbiamo spronarli. Sono ragazzi e giovani appartenenti alla società dell’immagine, travolti da un inganno chiamato “successo” che non ha nulla che crei benessere. È mero piacere di raggiungere ciò che la società chiede. È la sconfitta di cosa in realtà chiederebbe l’Io di ogni adolescente nella sua più profonda intimità.

Posso testimoniare, da psicoterapeuta, come diversi adolescenti, se supportati nel dare valore ai loro talenti, possano distanziarsi dalle ossessioni ed entrare in contatto con un’interiorità che non si pone più come uno specchio ma come un pennello voglioso di dipingere nuove strade, che superino la dimensione corpo-specchio e vadano verso la direzione della realizzazione dei propri obiettivi. Perseguire la propria strada, seguire il proprio sogno, il proprio obiettivo. Attenzione, però. I ragazzi, oggi più che mai, hanno bisogno di adulti consapevoli di una realtà differente da quella della propria epoca. Nell’era dell’immagine bella a tutti i costi, la dismorfofobia è una risposta possibile per coloro che, sulla base di una bassa autostima, confidano molto nel corpo come vetrina per essere visti, accettati, accolti e persino considerati. A volte un graffio può significare inibizione sociale per chi vive tale disturbo. E allora bisogna ricordare loro il dato di realtà e poi accompagnarli verso la definizione delle proprie emozioni, verso la ricerca di un obiettivo bello verso cui vorrebbero protendersi, verso la ricerca di ciò che potrebbe dare un senso più pieno alle loro giornate. I giovani a loro volta aprano la porta per farsi aiutare, per concedere agli adulti di poter esserci in maniera non sostitutiva ma responsabilizzante. Se riusciremo a creare un rapporto diadico maggiormente funzionale tra adolescente ed adulto, tra adolescente e psicoterapeuta e/o psichiatra, allora avremo seminato le basi per favorire l’autonomia in chi vive il grave disagio della dismorfofobia. In tal modo, riusciremo a far sì che si possa passare dalla bellezza percepita come irraggiungibile alla bellezza vissuta come fonte di armonia. Solo così lo specchio non sarà più un nemico ma diventerà un mezzo per guardarsi con i propri occhi e non con quelli altrui. La vita potrebbe, così, essere vissuta con tutta un’altra ottica, quella di chi sarà riuscito ad autodistanziarsi dal corpo, senza perdere l’importanza di custodirlo, ad abbassare i livelli fobico-ossessivi, senza impedire a sé stesso di dare ad ogni giornata una cornice orientata al raggiungimento di obiettivi concreti, di traguardi profondi, che diano senso al proprio esistere.

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