Negli ultimi anni il fenomeno migratorio ha raggiunto cifre ragguardevoli: 232 milioni di persone in movimento nel mondo, un numero raddoppiato rispetto al decennio passato. Sessanta milioni di persone sono state costrette a emigrare a causa di guerre e persecuzioni. In particolare, negli ultimi giorni, le immagini che arrivano da Lampedusa, ci raccontano le tensioni, le fatiche e le paure di queste ultime ore ma ci riportano a immagini già viste e ci dicono che una nuova pagina nella storia delle migrazioni si sta aprendo ed è necessario farvi fronte.
L’opera di Caritas
Le migrazioni, come ci ha più volte ricordato Papa Francesco, costituiscono un “segno dei tempi” ma anche una “sfida pastorale”, che interpella le nostre comunità e una “sfida sociale” per le nostre città. Per questi motivi, la Caritas, attiva da sempre specifici percorsi di inclusione dei migranti che si pongono l’obiettivo di mettere sempre la persona al centro. Interris.it, in merito all’attuale situazione migratoria, ha intervistato la dott.ssa Manuela De Marco, membro dell’Ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas Italiana.
L’intervista
In questo periodo, sul fronte dell’immigrazione, stiamo vivendo giornate molto difficili. Come si sta connotando l’azione di Caritas per l’accoglienza?
“Faccio una premessa: con la legge di conversione del ‘decreto Cutro’, ovvero la legge 50 del 2023, è stata introdotta una stretta alle persone che sono accolte, nel senso che sono state eliminate l’italiano e l’assistenza psicologica. Tutto questo si è riverberato e si riverbera sulla qualità dell’accoglienza. Quindi, sulla base degli accordi e dei capitolati che si possono fare per supportare e svolgere un’azione sussidiaria alle istituzioni nell’accoglienza dei migranti, è fortemente compromessa dalla ridotta tipologia dei servizi che si possono erogare. Quelli che, in particolare, hanno subito un taglio più grande sono i servizi per l’integrazione e l’orientamento. È come se si chiedesse di accogliere e basta, con vitto e alloggio. Tutto ciò causa forte sconcerto nell’attività di Caritas. Le perplessità rimangono e c’è una scarsa volontà di inserirsi in un quadro così scarno sul fronte della tutela dei diritti. È anche vero però che, le diocesi, le quali ritengono di stare nel quadro del sistema di accoglienza lo fanno anche per tentare di dare una risposta diversa sapendo che, nella missione della Caritas, c’è anche questo. Attualmente siamo in fase di ricognizione per capire quali sono le accoglienze in essere, per cercare di capire che risposta c’è stata rispetto al quadro modificato dalla nuova normativa in materia.”
In che modo si può dar vita a percorsi di inclusione e azioni di empowerment per migliorare i processi di accoglienza?
“Un’accoglienza ben fatta evita di tenere le persone in luoghi dove, nonostante siano libere di entrare e uscire, possono essere esposte a occasioni di profitto facile. Lavorare per l’integrazione significa, anche e soprattutto, lavorare per la sicurezza. Questo è un binomio che le persone devono cogliere più facilmente. Operare per l’integrazione significa attivare corsi di italiano, orientamento e valutazione delle competenze è possibile. Si è già fatto e, tendenzialmente, si vorrebbe continuare a farlo. C’è molto impegno in questo nelle singole diocesi e si inizia a lavorare su questo dall’inizio, attraverso una valutazione soggettiva, per accompagnare la domanda di protezione internazionale della persona all’esame delle commissioni territoriali per l’ottenimento di un permesso di soggiorno che dia regolarità e legalità e non lo renda ricattabile. Lavorare per la regolarizzazione delle persone evoca un concetto molto simile a quello della legalità e alla sicurezza. Si cerca di ridare la dignità alla persona per far sì che possa contribuire ai bisogni della famiglia d’origine e anche dell’Italia perché ci sono interi settori che ne hanno bisogno.”
Papa Francesco ci ha detto che, le migrazioni, non sono una sfida facile ma vanno affrontate insieme nell’ottica di un futuro costruito nella fraternità e nella dignità umana. Cosa ci insegnano queste parole?
“Ci insegnano a sforzarci per trovare delle soluzioni praticabili congiunte. È possibile gestire corsi di integrazione. Abbiamo le risorse dal punto di vista professionale, umano e anche economico per gestire situazioni simili, come già abbiamo fatto in passato. Stiamo assistendo ad un numero di arrivi piuttosto consistente, ma non è nulla che, un paese come l’Italia, non riesca ancora a gestire. Dobbiamo cogliere la sfida di mettere a sistema tanti piccoli pezzi che necessitano di un apporto. I rapporti di Unioncamere, ad esempio, parlano del fabbisogno di inserimento nel mondo del lavoro in molti settori che sono assolutamente inascoltati. Bisogna operare molto per accompagnare le persone che arrivano a potersi validamente inserire nella nostra società, cercando di vedere in prospettiva, con una strategia a lungo termine, a ciò che può portare un diverso contributo da parte dei giovani nella nostra società.”