Vedere lo sguardo felice e commosso di Papa Francesco all’apertura della GMG di Lisbona in quella spianata infinita di giovani è stata una grande gioia. Dopo anni di isolamento e paura di stare insieme a causa della pandemia ecco una manifestazione di Chiesa universale che apre il cuore a tutti i credenti dando speranza non solo ai giovani ma anche a tutti coloro che si sentono parte della Chiesa Cattolica e della grande famiglia umana. “Cari ragazzi e ragazze – ha esordito Francesco – noi siamo amati così come siamo… se Dio ci chiama per nome vuole dire che nessuno di noi è un numero ma è un volto e un cuore… Vi dico una cosa: per Gesù ognuno di voi è importante. Nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti…la Chiesa è la madre di tutti”.
E proprio mentre è in atto la giornata mondiale della gioventù oggi ricorre la festa di tutti parroci del mondo nella festa del loro patrono: San Giovanni Maria Vianney conosciuto come il Curato d’Ars; e papa Francesco lo indica al clero come modello e fonte di ispirazione per i sacerdoti, chiamati a “predicare la salvezza”. Ora più che mai essere prete è sostegno e condivisione della vita comunitaria in un’epoca carica di tensioni sociali e nuove povertà. Sull’esempio del loro patrono, migliaia di sacerdoti in ogni angolo del pianeta offrono le loro vite alla missione. In silenzio e dedizione. Proprio come Giovanni Maria Vianney. Inviato dal suo vescovo ad Ars, piccolo villaggio nel sudest della Francia, abitato da 230 persone, dedicò tutte le sue energie alla cura dei fedeli, sempre disponibile all’ascolto e al perdono. Trascorreva 16 ore al giorno nel confessionale. Ogni giorno, una folla di penitenti provenienti dall’intera Francia si confessava da lui e Ars venne rinominata “il grande ospedale delle anime”. L’umile prete vegliava e digiunava per contribuire all’espiazione dei peccati altrui. Il Vangelo esorta i pastori a non caricare pesi eccessivi sulle spalle dei fedeli. Il Curato d’Ars, applica così la lezione evangelica: “Dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”.
Le sue spoglie riposano ad Ars, nel Santuario a lui dedicato. Francesco, nel ricordare la sua testimonianza, richiama l’attenzione sui “fratelli presbiteri, che senza fare rumore lasciano tutto per impegnarsi nella vita quotidiana delle comunità”. Sono loro gli angeli custodi che, lavorano in “trincea” e che ogni giorno ci mettono la faccia senza cercare onori e visibilità per accompagnare il popolo di Dio. E’ questo il modello di bontà e di carità per tutti i sacerdoti, il paradigma del parroco umile e totalmente dedito al suo popolo. Un aiuto a riscoprire la bellezza e l’importanza del sacerdozio ministeriale nella società contemporanea. Espressione di una Chiesa che è ospedale da campo e che vive la sua missione di guarigione nel mondo. Nel Magistero sociale di Francesco il colore e la tonalità dell’azione corale si avvalgono di metafore per parlare d’una situazione dilacerata, con molte piaghe e ferite, che ha bisogno di una comunità ecclesiale che sappia organizzare nelle parrocchie, secondo la definizione di Francesco, un “servizio stradale della salvezza”. E’ l’Eucarestia come “via per il Cielo” a cui si affidava il beato Carlo Acutis. Negli oratori, nelle mense per gli indigenti, nei centri di ascolto esercitano i loro carismi i confratelli attuali del Curato d’Ars. Portatori di una fede che si propone come luce in mezzo alle tenebre della contemporaneità e come possibilità di gioia anche laddove la situazione è più drammatica. La presenza pastorale è chiamata da essere avamposto e rifugio per gli scartati della vita. Ecco l’esigenza individuale e collettiva di una Ecclesia “lieta e col volto di mamma”, soprattutto in tempi molto duri dal punto di vista economico e sociale. Insomma, una Chiesa capace di esprimere una fraternità cristiana In grado di contagiare. E’ questo lo scenario da realizzare localmente, a partire dai pastori– vescovo e presbiteri – avendo presenti le linee dell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, dalla quale “trarre criteri pratici e attuare le sue disposizioni”. Ad essere attualizzate sono le istanze maturate nelle parrocchie e comunità a partire dal Concilio Vaticano II. Evolve così ogni giorno il tessuto di fondo e la tonalità che riscopre le origini del cristianesimo: l’amore per il prossimo che è il senso stesso dell’annuncio di Gesù.
Attraverso l’esempio di San Giovanni Maria Vianney, Francesco conduce il clero “in uscita”, rievocando, ridestando, risvegliando tutti alla centralità di una “Chiesa povera per i poveri”. Solo un’Ecclesia povera, infatti, potrà camminare con i poveri, facendosi voce dei loro diritti negati. E si tratta di poveri non solamente in senso economico, ma in ognuno dei sensi con cui la Sacra Scrittura determina la categoria, a partire da Maria Vergine, fino a tutti coloro ai quali è rivolto l’annuncio del Regno. La “conversione ecclesiale” inizia necessariamente dalle parrocchie. Jorge Mario Bergoglio visitando Assisi, e in particolare la sala della spoliazione, ha detto di desiderare una cristianità umile, inquieta, accanto agli ultimi, non narcisista né autoreferenziale, soprattutto non ossessionata dall’attaccamento a qualunque forma di potere. La “Lumen Gentium” fissa i parametri: Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni. Così coloro che seguono le sue orme consacrano sé stessi alla condivisione e alla “sinodalità”, cioè al camminare insieme. “Ci vuole calore, ci vuole anima nel predicare. Il popolo ha bisogno di sapere che il sacerdote vive la verità che predica – diceva profeticamente don Primo Mazzolari, indimenticabile parroco di Bozzolo -. Chi capisce il Vangelo trova le risposte a tutte le difficoltà. Il metodo per fare il buon prete è seguire il Vangelo”. Il santo Curato d’Ars aveva compreso tutto ciò così come il nuovo “curato d’Ars e del mondo” dei nostri tempi: Papa Francesco, instancabile pastore che sempre ci esorta a non perdere la strada maestra.