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Come cambierà il panorama politico con la morte di Silvio Berlusconi

Quando, nel 1994, sulla scena politica italiana irruppe l’imprenditore Silvio Berlusconi l’Italia, in qualche modo, perse l’età dell’innocenza. Nemmeno la cosiddetta borghesia illuminata, come si amava definire il ceto medio, soprattutto quello del Nord del Paese, era pronta a fare i conti con il politico Silvio Berlusconi, non avendo la benché minima idea di quale fosse la nuova frontiera. Decenni di fraseggio tra i partiti – la Dc, il Pci, il Psi ma anche repubblicani, liberali e via di questo passo – avevano ridotto la Res publica ad una sorta di gioco dei quattro cantoni, dove a prevalere era la rappresentazione del potere più del potere stesso. Nel 1994, con l’arrivo di Berlusconi, il concetto di leadership, la stessa definizione di leader, diventano patrimonio comune, monopolizzando il dibattito politico, destinato a non essere più quello di prima. Ecco, si vuole ricondurre ad un’immagine plastica la cosiddetta rivoluzione liberale del Cavaliere in quel cambio di scena, di metodo diciamo, c’è molto, se non tutto, del valore rappresentato dall’arrivo sulla scena di Berlusconi per il nostro Paese. Certo, la decisione di scendere in campo, concetto divenuto patrimonio comune del lessico politico arriva contestualmente alla fine della cosiddetta prima Repubblica, travolta da Tangentopoli. Fino ad allora il Cavaliere, titolo che gli venne conferito nel 1977, si era limitato ad offrire il suo sostegno al socialista Bettino Craxi (testimone alle sue nozze con Veronica Lario e padrino della figlia Barbara).

Il primo atto politico di Silvio arriva nel novembre del ’93, sorta di carotaggio elettorale, quando a sorpresa dichiara che se fosse stato residente a Roma avrebbe sostenuto come sindaco Gianfranco Fini, allora ancora segretario del Movimento sociale italiano, contro il candidato della sinistra Francesco Rutelli. Fino a quel momento nessuno si era impegnato pubblicamente a favore di un partito che non rientrava nel cosiddetto Arco costituzionale. Molti mugugnarono, tanti altri iniziarono a ragionare su quella indicazione. La storia, poi, è andata come sappiamo, con Giorgia Meloni, che arriva proprio dal quel mondo, cioè l’ex Msi, oggi a Palazzo Chigi. Una nemesi storica della quale Berlusconi ha visto solo l’inizio e la partenza. Tant’è che l’ultima soddisfazione politica l’ex premier se l’è presa il 13 ottobre scorso, giorno del suo ritorno nell’Aula del Senato da cui era stato espulso 10 anni prima. Un rientro che, paradossalmente, a posteriori, è destinato a rappresentare anche la conclusione dell’epopea politica berlusconiana cominciata il 26 gennaio 1994, con il famoso discorso in cui annunciava la sua “discesa in campo” contrassegnato dal famoso incipit del discorso – L’Italia è il Paese che amo – con cui il 26 gennaio del 1994 il fondatore di Forza Italia annuncia ufficialmente il suo ingresso nell’agone politico davanti a una telecamera. E davanti ad altre telecamere si è chiusa la sua epopea al San Raffaele, dove Silvio Berlusconi è morto. E con la scomparsa, inesorabilmente, si apre il post Silvio, strettamente connesso al futuro di Forza Italia. Cosa accadrà è difficile dirlo, di sicuro il partito è destinato ad infilarsi in una sorta di notte dei lunghi coltelli, dove i regolamenti di conti, le faide, le risse per le poltrone, rischiano di diventare la regola quotidiana.

Oggi Forza Italia è una comunità colpita, ferita, ma ha una missione totale: unirsi nel rilanciare il messaggio del nostro leader, continuare in maniera convinta sul percorso che Silvio Berlusconi ci ha indicato”, afferma da Washington il ministro degli Esteri e coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, assicurando che questa missione sarà perseguita “con forza, con convinzione”. “In questo giorno di profondo dolore, dico che lo faremo anche con l’energia e la gioia che il nostro leader mi ha trasmesso dal momento della nascita di Forza Italia, che mi ha dato l’onore di fondare insieme a lui. Il suo progetto politico e umano continuerà a ispirarci e guidarci, a indicare il percorso per realizzare gli obiettivi che Silvio Berlusconi ha sempre voluto per il bene dell’Italia”, afferma. Parole di rito, messaggi in codice di circostanza, mirate a svelenire il clima almeno in queste ore, rimandando ad altri momenti i duelli rusticani. I quali, una volta scatenati, non potranno non avere riflessi sulla tenuta della maggioranza e la stabilità del governo. Tanto la Meloni quanto Salvini sanno che dovranno gestire l’eredità di Forza Italia, non certo quella di Silvio, e sia Fdi che la Lega puntano ad accaparrarsi i voti azzurri, già in libera uscita da tempo. Non sarà un lavoro facile, men che meno semplice, ma le fibrillazioni delle prossime ore saranno incentrate proprio su questi temi. Su chi dovrà , è potrà, dare una cosa ai moderati del centrodestra, stabilizzando il quadro politico. Perché difficilmente ci troveremo a dover fare i conti con un’altra intuizione del “predellino”, l’estemporaneo annuncio fatto da Silvio Berlusconi in piazza San Babila a Milano, dal predellino dell’auto appunto, con il quale proclamò la confluenza di Forza Italia – il partito da lui fondato e di cui era leader – in un nuovo partito di centrodestra, poi battezzato Il Popolo della Libertà. Ad oggi Fdi e Lega non sono affatto destinate a confluire nello stesso fiume, e i due leder non hanno la capacità di mettersi su un predellino per gettare il cuore oltre l’ostacolo, come Berlusconi, pur avendo imparato tutto da lui. Ma l’arte di comunicare di Silvio resterà unica, e come tale ineguagliabile. Ragione per la quale l’ombra di Silvio accompagnerà sempre i due leader. Nell’epoca del leaderismo senza più i partiti …

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