Dai tropici all’Artico, per 300mila chilometri quadrati sott’acqua fioriscono distese di praterie di piante fondamentali per la ricchezza della biodiversità marina, per la salvaguardia delle coste e per la mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Si tratte delle fanerogame, indicatrici dello stato di salute dell’ambiente marino che le ospita, “riparo” e fonte di cibo per pesci, tartarughe e altri animali ancora, efficienti “filtri” che puliscono l’acqua e catturano l’anidride carbonica, una delle cause del climate change, “stoccandone” nei fondali fino al 18% del carbonio oceanico mondiale. Evolutesi 70 milioni di anni fa, dal 1930 si assiste però a un declino globale di queste piante e si stima che ogni anno si perda il 7% di questo habitat e si ritiene che il 21% delle specie di queste piante siano “quasi minacciate, vulnerabili o in pericolo di estinzione” secondo la Lista rossa delle specie minacciate dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, a causa della costruzione sulle coste, del dragaggio, della pesca e in generale delle attività umane non regolamentate. Data la loro importanza per poter raggiungere diversi degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 per lo Sviluppo sostenibile, L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2021-2030 Decennio delle Nazioni Unite sul ripristino degli ecosistemi e lo scorso anno ha istituito la Giornata mondiale delle fanerogame, che si celebra oggi per la prima volta.
L’intervista
In occasione di questa data, Interris.it ha intervistato la professoressa associata confermata del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna e coordinatrice del gruppo di algologia della Società botanica italiana (Sbi) Rossella Pistocchi.
Ci spiega cosa sono le fanerogame marine e ci può fare qualche esempio?
“Si tratta di piante a fiore che hanno delle radici, un fusto e delle foglie lunghe e strette, con una struttura complessa, che crescono lentamente e fanno fiori e frutti non particolarmente appariscenti per evitare di attrarre animali che li possano mangiare. Ne esistono circa 20-25 specie, presenti in tutto il mondo, che formano delle vere e proprie praterie sui fondali marini sabbiosi. Queste piante sono tornate nell’ambiente marino dopo essersi evolute sulla terraferma. Da noi c’è per esempio la posidonia oceanica, sviluppatasi nel mar Tirreno alcuni secoli fa, mentre nell’Adriatico ne abbiamo alcune specie nella laguna di Venezia, ma più rade e meno vistose”.
Quanto sono importanti per la biodiversità?
“Queste intricate praterie ospitano specie animali diverse che si possono cibare delle foglie ma possono anche trovare lì riparo per deporre le loro uova. Inoltre, sulle stesse foglie della posidonia crescono ciuffi di macroalghe che sono tenere e di cui si nutrono molti microrganismi, aumentando così la biodiversità vegetale e animale. Risalendo poi lungo la catena alimentare, le fanerogame possono essere fonti di alimentazione anche per delfini, tartarughe, razze”.
Sappiamo che gli oceani sono nostri “alleati” nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Queste piante hanno anche loro un ruolo contro il climate change?
“In generale la loro presenza è indice di un ambiente pulito e di coste non particolarmente inquinate, da noi le praterie di posidonia testimoniano un buono stato di salute del mare. Riguardo gli effetti del cambiamento climatico, trattandosi di piante che fanno la fotosintesi, tramite questo processo contrastano l’acidificazione dell’acqua, inoltre migliorano l’ossigenazione dei fondali e incorporano l’anidride carbonica, portandola nelle aree sotterranee dove la CO2 rimane ‘stoccata’ a lungo. In aggiunta, stabilizzano l’ambiente costiero proteggendolo dall’erosione, dalle forti mareggiate e costituiscono una sorta di barriera nei confronti del moto ondoso. Dalle piante morte, gli scarti vegetali, si ottiene la biomassa per produrre bioetanolo”.
Cosa minaccia le fanerogame e come possiamo preservarle?
“Ancora si deve comprendere appieno come il cambiamento climatico metta a rischio queste piante, perché da un lato l’aumento dell’anidride carbonica non le danneggia mentre il riscaldamento degli oceani sì, dato che potrebbe alterare la loro temperatura ottimale. Inoltre, se si sciolgono i ghiacci e si alza il livello del mare, riceverebbero meno direttamente la luce del sole – mentre per loro è molto importante, dato che fioriscono a una certa profondità proprio per ricevere una certa quantità di luce solare. Rappresentano delle minacce per le fanerogame gli scarichi eccessivi di azoto e fosforo, che causano la crescita di alghe opportuniste che gli tolgono la luce, gli inquinanti, le operazioni di sondaggio dei fondali. Un altro problema possono essere le alte costruzioni edificate molto vicino alla riva, che si frappongono fra le piante e la fonte di luce. Tra le ‘buone azioni’ che invece possiamo fare c’è l’attività di restoration, come previsto anche dalle Nazioni unite, ovvero il ripristino delle praterie danneggiate. Non è affatto un’operazione facile, perché se sono state alterate le condizioni generali le piante non ricrescono, ma in alcuni casi si è visto che si può anche ripristinare il loro habitat. Tornando ai nostri fondali, il Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano dispone un finanziamento di 400 milioni di euro per il progetto Marine eco system restoration (Mer), il ripristino di 15 aree con la posidonia e altri piante marine per il periodo 2022-2026”.