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Svezia e Finlandia nella Nato: perché la Turchia dice sì al negoziato

Uno degli elementi di maggiore novità, adesso che la guerra in Ucraina ha rimesso al centro della grande politica internazionale la vecchia Europa con le sue tragedie e i suoi conti antichi mai saldati, è quella ideale saldatura tra Mar Nero e Mar Baltico, Bosforo e Isola di Gotland che emerge, non senza fatica, dalle schermaglie tra le cancellerie. Ora che la Turchia pare (pare, si badi: gli equilibri sono precari e le parole date pure) aver tolto il veto ai negoziati per l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia si profila per la Russia lo scenario da incubo: la flotta nazionale che per arrivare al Mediterraneo deve avere il consenso di Ankara, che dell’Alleanza Atlantica è parte, e per navigare da Kronstadt a Oslo deve chiedere il permesso a cinque paesi Nato, sennò resta alla rada. Perché anche la Danimarca è atlantica, come anche la Germania e la Polonia. Ad averci pensato prima, Putin magari avrebbe rimandato l’invasione sine die; ma ora è tardi, è c’è da pensare a cosa sarà questo nuovo ordine europeo. Ad ogni modo, una cosa pare certa: il Cremlino ne è sempre meno parte. Non fa piacere, perché la Russia è anch’essa Europa, ma ci si può far poco.

Prima domanda: perché Erdogan ha accettato ciò che aveva escluso pochi mesi fa, indignato (non a torto) perché un estremista di destra svedese aveva bruciato pubblicamente il Corano? La risposta sta nel lavorio americano degli ultimi mesi, certo, ma anche – purtroppo – nel terremoto che ha messo la Turchia in condizione di dover chiedere aiuti per la ricostruzione. Erdogan, che vede le elezioni avvicinarsi, meno problemi ha meglio è. Anche con la Grecia, in passato, la conflittualità è stata spesso inversamente proporzionale all’intensità dei sismi che colpivano ora l’uno, ora l’altro.
Ulteriore elemento utile è l’andamento delle operazioni belliche: i russi sembrano non riuscire a sfondare nemmeno questa volta, e la cosa indebolisce il ruolo di possibile mediatore che Erdogan si era ritagliato soprattutto nella prima fase del conflitto. Gli ucraini stentano a loro volta, certo, ma passato il ghiaccio e poi il pantano entreranno in azione i Leopard tedeschi. Chissà cosa succederà. Farsi cogliere sospesi tra i vecchi alleati e i nemici di un tempo non sarebbe indicato, per un leader turco che ha già perso abbastanza smalto.

Ma attenzione, perché il sì al negoziato non è un sì all’ingresso, anche se più passa il tempo e più è difficile tirarsi indietro. Attenzione anche perché con la Nato allargata, molte cose cambieranno. Cambieranno perché, per l’appunto, aumenterà il peso del Nordeuropa in funzione di contenimento russo. Verrebbe da dire che noi, al sud, saremmo tagliati fuori dai giochi. Invece no. Invece no perché con il Baltico trasformato in un lago atlantico la Russia riprenderebbe a premere sul Mediterraneo: un solo paese a sbarrargli il passo, con una convenzione internazionale (quella di Montreal) a fornire quelle che sono pur sempre garanzie di attraversamento degli Stretti. Oltre la Svezia, poi, c’è solo la Norvegia; oltre la Turchia quel Medioriente dove Putin ha raccolto grandi successi, dalla Siria alla Libia (qui in condominio, guarda caso, con i turchi).
È qui che la Russia tornerebbe, per l’appunto, a farsi viva. Il che darebbe nuova centralità al fianco Sud della Alleanza come non accadeva dalla fine degli anni ’80 de secolo scorso.

E poi, c’è un’altra considerazione da fare: lo stolto estremista che ha bruciato il Corano in Svezia altro non ha fatto se non sottolineare che quello che accade da lui conta a molti chilometri di distanza. Stoccolma, entrando nella Nato, perderebbe molto di quella insularità mentale che ne ha contraddistinto l’approccio in politica estera. Lo stesso vale per la Finlandia. Di conseguenza si imporrà un modello di relazioni in cui i paesi nordici (anche dentro l’Unione Europea) dovranno in qualche modo assumersi più responsabilità per quello che accade sul lato opposto del Continente, dai Dardanelli a Gibilterra. In questo modo, dicendo sì obtorto collo al negoziato, Erdogan alla fine ha segnato un punto a suo favore. La guerra e la pace, spesso, sono piene di paradossi.

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