Un fenomeno contemporaneo, tipico del mondo occidentale, è quello della privatizzazione (e mercificazione) della sicurezza che vede impegnati diversi operatori per contrastare la criminalità. Si rischia, tuttavia, una nuova forma di discriminazione: chi può spendere, “compra” la propria sicurezza, i poveri no. Il “business della paura” è quello che, soffiando sul fuoco, alimenta la percezione di insicurezza degli individui (indipendentemente dai dati reali sulla criminalità). I più abbienti hanno la possibilità di difendere le proprie ville e i propri possedimenti ricorrendo alla polizia privata, gli altri si arrangiano.
L’“effetto paura” è legato agli allarmismi lanciati dai media, all’enfasi e allo spazio che viene dedicato a episodi di criminalità, che producono sfiducia nei confronti degli spettatori, la maggior parte dei quali consapevole di non poter ovviare con un surplus di difesa a pagamento. L’informazione sugli eventi è necessaria ma il clamore mediatico e l’ingigantimento della cronaca nera non sono ammissibili: creano ulteriore paura in una società già provata da pandemia, crisi economica e conflitti armati.
Il professor Stefano Padovano, criminologo, è l’autore del volume “La sicurezza urbana” (sottotitolo “Da concetto equivoco a inganno”), pubblicato da Meltemi nel novembre 2021. Nel libro, sulla scia dell’eloquente sottotitolo, si affrontano le criticità e la scarsa conoscenza della politica nei confronti della sicurezza, in particolare di quella a livello locale.
Il tema della sicurezza ritrova spazio, enfasi e promesse in ogni periodo pre-elettorale, costituendo uno dei “classici” per tutte le campagne politiche poiché è notorio come l’argomento sia sentito dalla cittadinanza. Le iniziative previste, gli aumenti di organico promessi, insieme agli adeguamenti dello stipendio del settore, si spengono pochi giorni dopo la conclusione della tornata elettorale. I tagli economici che sono intervenuti a danno delle forze dell’ordine, hanno inevitabilmente dato respiro e maggior ricorso alla vigilanza di tipo privata.
Il sito di statistica Truenumbers, al link https://www.truenumbers.it/quanta-polizia-italia/, specifica come l’Italia sia il terzo Paese più militarizzato al mondo “Il numero si riferisce a quanti poliziotti ci sono ogni 10 mila abitanti per ogni Stato preso in considerazione. In testa c’è la Russia, il Paese più militarizzato del mondo (nonostante gli stipendi che non si possano certo dire ricchi), con 564,6 poliziotti attivi ogni 10 mila abitanti. Poi viene la Turchia e poi l’Italia con 467,2. […] Nella classifica dei Paesi con il maggior numero di forze dell’ordine in relazione alla popolazione non ci sono solo specchiate democrazie occidentali, ma molti sono Stati autoritari, che hanno bisogno di un intenso uso della forza per mantenere l’ordine pubblico”.
I dati, rinvenibili anche da altre fonti, sono sulla stessa lunghezza d’onda e, dunque, smentiscono, le valutazioni e le polemiche sul deficit del personale, delle forze dell’ordine, a livello puramente numerico. La problematica riguarda, semmai, un’allocazione, non sempre adeguata, degli agenti stessi.
L’Istat, nel “Rapporto BES 2021: il Benessere Equo e Sostenibile in Italia”, pubblicato il 21 aprile scorso, alla voce “sicurezza”, visibile al link https://www.istat.it/it/files//2022/04/7.pdf, riporta diversi dati, fra questi “Gli indicatori oggettivi e soggettivi che misurano l’evoluzione della sicurezza nel nostro Paese mostrano una generale tendenza al miglioramento sia nel lungo periodo sia nei due anni di pandemia. Nonostante ciò, continuano a persistere profonde disuguaglianze territoriali: gli omicidi sono più diffusi nel Mezzogiorno, sebbene siano fortemente diminuiti nel tempo, mentre i furti in abitazione, i borseggi e le rapine prevalgono nel Centro-nord […] La quota di persone che si dichiarano molto o abbastanza sicure quando camminano al buio da sole nella zona in cui vivono si attesta al 62,2% (era il 57,7% nel 2019). Si tratta del valore più alto registrato dal 2010. […] Tra i segnali positivi c’è anche la diminuzione della percezione del degrado della zona in cui si vive: nel 2021 il 6,3% della popolazione dichiara di aver visto nella zona in cui abita persone che si drogano o spacciano droga, prostitute in cerca di clienti o atti di vandalismo contro il bene pubblico (era l’8,3% nel 2019) si tratta del valore più basso dal 2009. Continua a diminuire la quota di famiglie che affermano che la zona in cui vivono è molto o abbastanza a rischio di criminalità, attestandosi al 20,6% (era il 25,6% nel 2019). […] Nei Comuni tra 2 mila e 10 mila abitanti la quota di persone di 14 anni e più che si dichiarano molto o abbastanza sicure quando camminano al buio da sole nella zona in cui vivono è 19 punti percentuali più alta rispetto a quella riscontrata nei Comuni centro delle aree di grande urbanizzazione (71,3% contro 52,2%). […] Quasi tre quarti degli uomini si sentono sicuri ad uscire la sera da soli al buio nella zona in cui vivono contro poco più della metà delle donne (51,2%). La situazione è diversa anche in relazione alle differenti età: i meno sicuri sono gli anziani di 75 anni e più (41,6%) e in particolare le donne (33,8%), mentre i giovani e gli adulti percepiscono un maggiore livello di sicurezza. La percezione di sicurezza è più alta tra i laureati (67,3%), soprattutto se maschi (78,9% rispetto al 58,1% delle laureate) e più bassa tra le persone in possesso al massimo della licenza media (58%), in particolare tra le femmine (46,8%)”.
La via della privatizzazione e della polverizzazione della sicurezza è avviata. In questo trend, occorre valutare anche l’incidenza del singolo: 8 milioni e mezzo sono le armi distribuite tra i civili e poco meno di 1 milione e mezzo di porto d’armi (seppur in leggero calo, ogni anno) nel Belpaese. Quello della vigilanza privata è un settore in crescita che coinvolge molte aziende (oltre 2 mila) e tantissimi operatori (più di 80 mila). La paura e l’insicurezza spingono Enti, istituzioni, società, fabbriche, singoli proprietari immobiliari, a rivolgersi alla protezione, diurna e notturna, di questi “angeli”, anche da remoto, collegando i sistemi d’allarme, piazzati a difesa del sito, con le centrali operative.
I problemi, peraltro, per la stessa vigilanza privata, nel tutelarsi e difendere la propria categoria non sono pochi, purtroppo. Fra questi, la frammentazione del servizio, a causa delle numerose cessioni di appalti sottocosto, da alcune aziende ad altre, che espongono il lavoratore a situazioni penalizzanti. Altra criticità del settore è la sicurezza per gli operatori stessi. Il pericolo non riguarda solo coloro che trasportano valori ma anche quelli posti a presidio di un sito, spesso da soli e, quindi, più soggetti ad aggressioni. In questi ultimi anni si è parlato molto di “sicurezza partecipata” e di “polizia di prossimità”, in cui il principio fondamentale risiede proprio nella collaborazione, fra forze dell’ordine e la società civile (cittadini, scuole, associazioni, ecc.), pur di riuscire a individuare le misure funzionali a livello locale.
In maniera sinergica, sulla base delle rispettive competenze e dei propri ruoli, si cerca di attivare una serie di azioni di prevenzione, educazione e controllo, che possano limitare il degrado e l’illegalità. Fra queste novità, non sempre riuscite, in cui la collaborazione non si è realizzata pienamente, rientrava anche quella del cosiddetto “poliziotto di quartiere”, nata come sperimentazione il 18 dicembre 2002 ma lentamente arenatasi.
Le sigle sindacali della Polizia Locale hanno rimarcato e disapprovato la crescente esternalizzazione (e privatizzazione) dei servizi di vigilanza da parte dei Comuni, che ha spostato risorse e compiti dal pubblico al privato.
Alcune accuse sono state poste in essere proprio riguardo l’ammontare degli importi che, nelle casse già non ricche dei Comuni, andrebbero a garantire dei servizi, svolti da privati, a prezzi maggiori rispetto a quelli che si avrebbero grazie a una più accurata distribuzione della “forza pubblica”. Altro tema spesso sollevato: i dati sulla criminalità, pressoché stabili, smentirebbero il ruolo incisivo del privato.
Il rischio è che un diritto fondamentale, come quello del viver sicuri, liberi e in ambienti decorosi, diventi appannaggio di pochi, solo di chi può permetterselo, di chi può pagare. La discriminazione, nelle grandi città, si riscontra nel valutare le condizioni critiche delle periferie rispetto ai centri storici. La sicurezza è un diritto dell’individuo e un dovere dello Stato, non è una merce e quella primaria ed essenziale deve essere garantita a tutti. Operare con modalità e finalità diverse, in questo delicato settore, significa dividere fra cittadini di serie A e di serie B, andando a incrementare lo svantaggio di chi è relegato in quartieri disagiati.
San Giovanni Paolo II, nel 1985, ricordava “La paura nasce dovunque Dio muore nella coscienza degli essere umani”. La violenza e il degrado non sono affari sporchi da confinare in ghetti, dove lasciare che l’ultimo sia sempre più tale. Costruire quartieri di lusso, murati, blindati da aziende di vigilanza, allontana sempre più chi può da chi non può. La sicurezza non ha prezzo, non si compra né si vende, si costruisce, senza muri, senza egoismo e senza indifferenza. Barriere e muri sono elementi divisivi, per obiettivi diabolici.