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La lotta all’Hiv in Africa come dovere dell’umanità. Intervista a Carlo Cerini

Il paese africano da oltre 10 anni ha integrato l’erogazione della terapia antiretrovirale nella quasi totalità dei Centri di Salute della nazione. Raggiungendo un obiettivo “verticale” in linea con la forte spinta economica e politica dei grandi donatori internazionali

Dall’Africa parte la riscossa morale dell’umanità attraverso la lotta all’Hiv. Un impegno senza sosta del volontariato su scala internazionale. Un dovere etico per l’intero terzo settore. Il dottor Carlo Cerini ha coordinato in Mozambico il progetto di Medicus Mundi Italia. Il paese africano da oltre 10 anni ha integrato l’erogazione della terapia antiretrovirale nella quasi totalità dei Centri di Salute della nazione. Raggiungendo in Mozambico un obiettivo “verticale”. In linea con la forte spinta economica e politica dei grandi donatori internazionali. “Questo traguardo aveva fatto proclamare al ministero della Salute il trionfante slogan ‘infezioni zero‘- spiega a In Terris il dottor Cerini-. Dove zero era indicato ad un tasso di trasmissione verticale inferiore al 5% in soli tre anni, entro il 2015. La realtà, come spesso capita, l’affermazione è lontana dai proclami della politica. Ma attualmente il tasso si aggira intorno al 15%. Risultati drammaticamente favorevoli, se si considera che senza alcun intervento una mamma trasmette l’HIV al proprio figlio nel 20-25% dei casi. E’ stato fatto poco? Oppure i fattori che sostengono questa tremenda epidemia sono diversi?”.Hiv

Lotta all’Hiv

Il mondo sanitario in cui ci si muove Mozambico è fatto di personale poco qualificato e demotivato. Di libroni cartacei compilati con scarsa attendibilità. Di incostante disponibilità di farmaci e strumenti sanitari. Di mezzi di trasporto inesistenti, fatta eccezione per le proprie gambe. “L’accessibilità ai servizi sanitari rimane una delle barriere principali. Per le lunghe distanze. Per le piogge intense che in alcune stagioni rendono impraticabili e pericolose le strade. Per la difficoltà a lasciare la casa, il lavoro dei campi e i bimbi piccoli- sottolinea il dottor Cerini in riferimento alle mamme del Mozambico– .E per di più spesso senza poter rivelare al proprio marito il motivo per cui ci si deve recare all’ospedale. Cercare esami o cure, infatti, può diventare problematico e complicato. Poiché il partner o altri membri della famiglia mettono in dubbio o stigmatizzano lo scopo del viaggio“.Hiv

Questione familiare

“La gravidanza, in particolare, è vista come una questione familiare – racconta il medico missionario-. I processi di cura in tal senso devono essere intesi nel contesto della rappresentazione sociale della procreazione. Così, sono le tradizioni familiari e le ideologie di genere, la suocera o il marito. Che dettano con chi ed in quale momento la donna può andare al Centro di Salute. Oppure dal ‘curandeiro, l’esperto di medicina tradizionale che risiede nel villaggio. La forte disparità di genere in Mozambico comporta che le donne siano spesso accusate di essere esse stesse causa dell’infezione da HIV”.Ghana

Indebolimento sociale

La morale prevalente, infatti, “consente ai mariti di avere più amanti senza che questi comportamenti generino un indebolimento sociale, anzi”. Le donne, invece, “in caso di diagnosi di infezione da HIV vengono accusate di tradire i propri mariti. Di condurre una vita promiscua. E persino di prostituirsi. “Ciò consente al marito di liberarsi della propria moglie o di una delle proprie amanti. Abbandonando di fatto la donna che, nelle zone rurali, da un giorno all’altro si trova senza supporto sociale e finanziario– sottolinea il dottor Carlo Cerini Raramente infatti le donne mozambicane in area rurale hanno soldi propri”.Hiv

Valutazione

Puntualizza l’ex coordinatore in Mozambico del progetto di Medicus Mundi Italia: “C’è poi un altro aspetto. Considerato spesso inaccettabile. Per chi si rivolge ai servizi. Per le donne in particolare. E cioè il fatto che gli operatori sanitari facciano domande indiscrete ed accusatorie. Rivelando così incongrua capacità nel rapportarsi con gli utenti. La maggior parte dei quali poco o nulla istruiti“. Ci sono domande che devono porre. Per aiutare a valutare lo stato di salute del paziente. Ad esempio: “Quanti anni hai? Quanto lavori?” . Ma spesso fanno domande che non hanno nulla a che vedere con la necessità della paziente. Ossia“ non sei troppo giovane per rimanere incinta?”. Oppure “Perché non sei venuta prima?”.Covid

Servizi

“Di fronte a queste domande e agli abusi verbali, le potenziali beneficiarie scelgono di non rivolgersi più ai servizi. E sono portate a raccontare le loro esperienze ad altre donne della comunità. Nella stessa fascia di età – osserva il dottor Carlo Cerini-. Esse perdono, quindi, la loro volta la motivazione a recarsi ai Centri di Salute. Le persone a volte sono anche consapevoli che esistono risorse terapeutiche efficaci nell’ospedale rurale. Ma i criteri di accesso locale superano i benefici percepiti. La cui qualità è inferiore agli ostacoli percepiti dalla popolazione. Come i costi di trasporto.

 

 

 

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