“Nessuno può permettersi di dubitare della sincerità e della volontà di Benedetto XVI di risolvere, nel segno della riconciliazione, alcuni dei problemi più spinosi che erano sorti nel post-Concilio”, afferma a In Terris, Gianfranco Svidercoschi. Ex vicedirettore dell’Osservatore Romano. Decano dei vaticanisti, inviato dell’Ansa al Vaticano II. “Di Joseph Ratzinger si sapeva come non fosse stato troppo soddisfatto delle conclusioni del Concilio. E lui non lo nascose mai. Da perito conciliare, da arcivescovo e anche da Papa – prosegue Svidercoschi-. Pochi giorni prima delle dimissioni, Joseph Ratzinger fece un discorso al clero romano. Rilevando le criticità dell’aggiornamento’ post-conciliare. E ritenendo, per convinzioni dottrinali, che la Chiesa non potesse uniformarsi al mondo”.
Generosità di Benedetto
Pertanto, prosegue Svidercoschi, “non fu responsabilità di papa Ratzinger, se questi tentativi di conciliazione non furono pienamente compresi”. Come il discorso alla Curia romana, sul dilemma riguardante l’interpretazione del Vaticano II. “C’era stata continuità o discontinuità con la Tradizione e il magistero precedente?- analizza l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano-. Una questione che invece di favorire un incontro positivo tra le diverse visioni, causò un certo depotenziamento della grande svolta conciliare. O come l’operazione compiuta per mettere fine allo scisma lefebvriano. Ripristinando la Messa in latino di san Pio V. Una decisione ardita, generosa.Ma che fu volutamente e colpevolmente strumentalizzata da alcuni settori tradizionalisti per indebolire la riforma liturgica“.
Incomprensioni
E non finì lì. “Ci fu anche un infoltimento delle schiere del movimento tradizionalista. appunto per la maggiore credibilità che aveva acquisito con la concessione pontificia– evidenzia Svidercoschi- E quindi per la maggiore attrazione che avrebbe potuto esercitare. Un fenomeno che, dalle roccaforti del conservatorismo europeo, si era via via allargato. Estendendosi come una macchia d’olio negli Stati Uniti. Jorge Bergoglio non aveva partecipato al Concilio. Ma lo aveva ‘imparato’ in quel grande laboratorio ecclesiale che è l’America Latina”. Da qui, perciò, “la predisposizione, una volta Papa, a privilegiare le riforme pastorali rispetto a quelle istituzionali. Così come, dall’essere un gesuita, portato al pragmatismo, alla semplificazione, discendeva la sua contrarietà nei riguardi degli ideologismi, dei bizantinismi teologici, delle discussioni dottrinali che sapevano tanto di accademismo“, aggiunge Svidercoschi.
Conversione pastorale
E allora, “tenendo conto di questo, si potrà facilmente capire perché Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’, abbia disegnato il profilo di una Chiesa caratterizzata da una ‘conversione pastorale e missionaria’. Capace di ‘trasformare ogni cosa‘. Una Chiesa che deve ‘annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura’. Una Chiesa dove tutti possano sentirsi ‘accolti, amati, perdonati’. Una Chiesa povera tra i poveri, povera con i poveri”, puntualizza Svidercoschi. Per capire “meglio le turbolenza post-Conciliari bisogna tornare indietro nel tempo. Bisogna ricordare come quello stato di pre-crisi andasse avanti da una ventina d’anni. Cioè, da quando si erano avvertiti i primi scricchiolii, i primi segnali di distacco dalla Chiesa istituzionale. E, questo, per il passaggio di alcuni settori del conservatorismo conciliare, da una posizione critica, al rifiuto non più solo dello ‘spirito’ ma anche della ‘lettera’ dei documenti del Vaticano II”, spiega il decano dei vaticanisti.
Progetto riformatore
“Il “sogno” bergogliano non faceva altro che riprendere il progetto riformatore del Vaticano II– precisa Svidercoschi-. Anche se ora formulato in termini nuovi per come il Papa pone l’urgenza di cambiare, di rinnovarsi, insomma, di essere cristiani in maniera autenticamente evangelica. Così come la lettura dei ‘segni dei tempi’ andava al di là dello stesso metodo induttivo impiegato dalla ‘Gaudium et spes‘. Non si partiva più dal ‘centro’ ma dalle ‘periferie’. Non più dall’Occidente ma dal Sud. Dalla tragica condizione dei poveri“.
Giorno dopo giorno
Afferma Svidercoschi: “Tutto questo ovviamente non poteva piacere a un certo mondo cristiano. Già sconvolto dallo scandalo abusi , e sempre più riottoso all’idea di dover avventurarsi nelle novità, nei cambiamenti. E così, il “sogno” di Francesco ha cominciato, giorno dopo giorno, a scontrarsi con la stessa realtà in cui avrebbe dovuto realizzarsi. Il Papa si sforzava di recuperare il Concilio, di farlo diventare esperienza quotidiana dei credenti. E invece, verso il Concilio, stava crescendo una insofferenza non più sotterranea ma alla luce del sole“.
Autorità papale
Dunque, “va detto, una situazione che Francesco ereditò dal passato. Ma che si acuì proprio in conseguenza della elezione del Papa argentino. Mostratosi subito poco propenso ad assecondare gli ideologismi dei nostalgici e le rivendicazioni dei tradizionalisti. E poi, tutto si aggravò pesantemente con l’esplodere della questione liturgica, o, come si è arrivati a chiamarla, della ‘guerra liturgica’. Prima combattuta ai piani alti della Santa Sede, e successivamente degenerata. Soprattutto negli Stati Uniti, in un quasi scisma. Ovvero in una messa in discussione dell’autorità del vescovo di Roma“, sottolinea Svidercoschi.
Da Benedetto a Francesco
Conclude Svidercoschi: “Appunto nostalgici di un mondo sacralizzato, del genere post-tridentino. Fautori convinti di una religione intesa come ideologia. Tutti rivendicando le proprie idee, conducendo le proprie battaglie. Ma, a far da collante a questo caleidoscopio di focolai, c’era sempre l’opposizione alla riforma liturgica conciliare e al Papa che la difendeva. Lo scontro fra gli uomini poteva anche continuare. Ma, a guardare con gli occhi della fede, stava accadendo qualcosa di sconcertante. Era uno scandalo che, quello che per il cristianesimo rappresenta il vincolo più profondo di unità, fosse diventato motivo di divisione nel popolo di Dio“. Una situazione a cui hanno cercato di porre rimedio sia Benedetto sia Francesco.