“Non mi preparavo per una fine ma per un incontro”, diceva Benedetto XVI. Con la dipartita del Papa emerito non termina solo un anno ma un’era del mondo cattolico e una pagina di storia totalmente inedita. Viviamo un tempo di grandi e rapidi cambiamenti. Con la morte di Joseph Ratzinger si chiude una stagione senza precedenti in due millenni di storia cristiana: quella di un pontificato regnante e di un pontificato emerito. In una delle loro ultime conversazioni, Peter Seewald, il suo intervistatore e amico, bavarese come lui, chiese a Benedetto XVI: “Lei è la fine del vecchio o l’inizio del nuovo?”. La risposta fu illuminante: “L’una e l’altro”. Nel congedarsi, alla fine di febbraio del 2013, dal Soglio petrino, Joseph Ratzinger tenne a precisare che nella sua elezione a Papa c’era stato qualcosa che sarebbe rimasto “per sempre”.
Lo ricordo da giovane studente di filosofia e poi di teologia quando era ancora cardinale e si recava volentieri al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo dai padri benedettini. Avvicinarlo dava la sensazione di stare accanto ad un colosso della cultura, della teologia. Ma nello stesso tempo lui aveva la capacità di metterti a tuo agio accogliendoti con un sorriso e una dolcezza disarmante. Era di una gentilezza indescrivibile e si interessava alla persona ponendosi in ascolto, guardandola fissa negli occhi. Ebbi più occasioni di incontro con Joseph Ratzinger da cardinale e mi innamorai del suo famosissimo testo “Introduzione al cristianesimo”, imparandone anche a memoria alcuni passaggi che trovavo teologicamente magnifici. Leggere il teologo Ratzinger e poi incontrarlo prima da cardinale e poi da Papa l’ho sempre ritenuto un grande dono da custodire. Un sentimento profondo che oggi posso con semplicità esternare contribuendo con la mia goccia di memoria a dare testimonianza di quanto fosse spiritualmente e umanamente grande questo uomo di Dio.
Aldilà dei diversi incontri avuti con Papa Benedetto accompagnando don Oreste Benzi ho impresso nel cuore in modo indelebile il filo rosso delle conversazioni tra due santi come possono già essere considerati. Nell’ultimo dialogo con il Servo di Dio don Oreste che ebbi due ore prima della sua morte mi parlò proprio di Benedetto XVI. A seguire, come avviene sempre, si ricordano le ultime parole, gli ultimi discorsi della persona cara e così in quel 2 novembre 2007 nel ripensare l’ultimo colloquio con don Benzi non riuscivo a spiegarmi perché mi volle parlare proprio di Joseph Ratzinger dicendomi: “Questo Papa dovrà soffrire molto e gli accadrà qualcosa di incredibile”. Solo quel 11 febbraio del 2013 capii il senso di quelle parole profetiche che mi ritornarono alla mente con forza e stupore. Il giorno dopo la sua morte Papa Benedetto XVI dirà di don Oreste: “Appresa con tristezza notizia morte don Oreste Benzi umile e povero sacerdote di Cristo, benemerito fondatore e presidente comunità della Papa Giovanni XXIII Santo Padre desidera esprimere vive condoglianze a quanti piangono sua improvvisa scomparsa ricordandone intensa vita pastorale come parroco e in seguito come infaticabile apostolo della carità a favore degli ultimi e degli indifesi facendosi carico di tanti gravi problemi sociali che affliggono mondo contemporaneo. Sua Santità mentre eleva fervide preghiere di suffragio per riposo eterno compianto presbitero fedele a sua vocazione et sempre docile servitore della Chiesa invoca dalla bontà divina sostegno speranza cristiana”. Benedetto XVI aveva in poche parole concentrato la persona e il carisma di don Oreste.
Ai ricordi personali si aggiungono quelli collettivi. Dal suo fondamentale discorso sulla “dittatura del relativismo” che orientò l’intero pontificato di un papa che potrebbe essere definito un nuovo “Padre e dottore della Chiesa” dei nostri tempi e nello stesso tempo un autentico uomo di Dio, un pastore docile e mite. Anche nel suo Golgota il Papa emerito ha sconfitto come il Cristo le tenebre. I diabolici avvoltoi dalle sue dimissioni sono rimasti sconfitti. La croce abbracciata con serenità e grande dignità ha messo in luce il senso del servizio di un pontificato e non il potere temporale.
Proprio per questo intimo intreccio intellettuale e sentimentale tra i momenti più significativi e toccanti rimarrà per molti il ritorno di Joseph Ratzinger nelle temperie che marchiò di dolore e angoscia la sua giovinezza, è stata la sua visita nel 2006 ad Auschwitz.
Quel 28 maggio ha oltrepassato a piedi il cancello e ha attraversato il viale principale dell’ex campo di concentramento di Auschwitz, a poca distanza di quello di Birkenau, dove si è recato più tardi. Piovigginava e la sua espressione palesava una mente affollata di pensieri e di ricordi. Ha preceduto di qualche passo la delegazione e seguito tutto il percorso a mani giunte. Prima il cortile del Muro della Morte, dove si trovavano ad attenderlo alcuni ex prigionieri. Poi la cella di Massimiliano Kolbe, nel Blocco numero 11. “Sono qui come figlio del popolo tedesco, non potevo non venire qui”. Ha poi chiesto perdono e riconciliazione e implorando Dio di non permettere più una simile cosa. “Perché, Signore, hai taciuto?”. Eccolo il senso dell’intera sua missione di teologo e guida della Chiesa: “Portare la ragione a riconoscere il male e rifiutarlo” seguendo la via maestra di quella Verità che è Gesù e che il Papa ha saputo descrivere e testimoniare.