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Ramonda: “La Festa del Riconoscimento, inizio di una nuova vita”

L'intervista a Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell'Apg23, in occasione della celebrazione della fine del cammino di recupero dalle dipendenze di 110 persone

Sono 110 le persone che vedranno riconosciuto il proprio cammino di superamento delle dipendenze, concluso durante la pandemia all’interno delle comunità terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII. Questo importante traguardo, che segna l’inizio di una vita nuova, sarà celebrato durante la Santa Messa nella Parrocchia della Resurrezione di Rimini. Quest’anno la celebrazione sarà presieduta da mons. Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. I ragazzi che concludono ufficialmente il cammino di recupero quest’anno provengnono dall’Italia e sono 68, mentre altri 42 saranno collegati in remoto dall’estero.

La Festa del Riconoscimento

Questa importante tappa, segno tangibile della fine di un percorso a volte difficile e complicato, si chiama Festa del Riconoscimento. Per la prima volta venne celebrata nel 1995 dal Servo di Dio don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Quest’anno, dopo lo stop imposto a causa dell’emergenza sanitaria, si torna a festeggiare in presenza, nel giorno in cui la Chiesa fa memoria del primo martire cristiano: Santo Stefano.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Giovanni Paolo Ramonda, presidente dell’Apg23 per capire il significato della festa del Riconoscimento, approfondire il tema delle dipendenze e capire cosa significa per questi ragazzi celebrare questo importante momento.

Oggi celebrate la festa del riconoscimento. Qual è la sua importanza? 

“E’ stata voluta dal nostro fondatore, il Servo di Dio don Oreste Benzi, per affermare che è possibile rinascere da una vita che sembrava persa, dove la droga, l’alcol, le dipendenze l’avevano fatta da padrone, con ricadute pesanti anche sulla famiglia di origine, la perdita del lavoro. Vedendo, ogni anno, centinaia di giovani, dopo aver intrapreso un percorso terapeutico, educativo, di accompagnamento, riscoprire l’importanza del donarsi agli altri, la responsabilità, don Oreste ha voluto dare vita a questa festa, proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di Santo Stefano. Come lui che ha vissuto il martirio, che etimologicamente significa testimonianza, ogni anno il 26 dicembre centinaia di giovani diventano testimoni di una vita nuova”.

Coloro che parteciperanno a questo evento hanno fatto portato a termine un percorso di recupero. Quale ruolo ha in tutto questo la comunità terapeutica dell’Apg23?

“Un ruolo di vicinanza, ascolto, cura le ferite e cerca di rimuovere quei blocchi che si trovano nell’anima e nel cuore di queste persone. Ci sono degli operatori che si mettono al loro fianco, percorrono insieme a loro la strada, senza mai sostituirsi, ma cercando di far riscoprire la scintilla di bene che il buon Dio ha messo dentro ognuno e che in questi casi era stata soffocata. Il nostro cammino terapeutico prevede anche la condivisione con i più fragili, per diventare occhi di chi non vede, gambe di chi non può camminare. Inoltre, i ragazzi vengono accompagnati verso l’inserimento nel mondo del lavoro. E’ un lavoro essenzialmente educativo, l’arte di tirar fuori il bene che era già dentro di loro ma era stato soffocato dalle dipendenze”.

In questo percorso quanto è importante riavvicinarsi o scoprire la fede?

“E’ fondamentale. Diceva sempre il Servo di Dio don Oreste: ‘Chi ci salva non è qualcosa, ma qualcuno’. Per noi è il Cristo, l’Emmanuele. Attraverso questo percorso Dio torna a farsi vicino a questi giovani. La ricerca di infinito e di senso è presente in ogni uomo, basta solo riattivarla. Il senso religioso e cristiano della vita è molto importante”.

Molto spesso, soprattutto in tempo di campagna elettorale, tornano in auge ‘cavalli di battaglia’ come la proposta di legalizzare le cosiddette droghe leggere. Cosa ne pensi?

“E’ gravissimo questo pensiero, basta guardare, proprio in questi mesi, quanti giovani sono morti perché erano sotto l’effetto di sostanze che danno dipendenza. Non parliamo solo di droghe, ma anche dell’alcol. Inoltre, bisognerebbe vedere cosa accade nelle famiglie dove c’è un giovane dipendente da sostanze stupefacenti. Per onestà intellettuale bisogna dirlo chiaramente: non esistono droghe leggere”.

Prima ricordavi che è stato proprio don Oreste a istituire la festa del riconoscimento. Secondo te, cosa direbbe oggi alle persone che si ritroveranno alla Grotta Rossa, Parrocchia della Resurrezione di Rimini, per questa occasione?

“Direbbe di avere tanta speranza, fiducia. Mi viene in mente il versetto del Salmo: ‘Servite il Signore nella gioia’. La vita è un dono meraviglioso che ci ha fatto Dio ed esige impegno, responsabilità e veramente vale la pena di gustare la vita. Don Oreste citerebbe il Vangelo: ‘Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’”.

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