Un antico credente della Chiesa siriaca dei primi secoli, san Efrem, che era anche poeta, paragonava il Natale a Gesù e lo salutava come “amico degli uomini”. Sì, il Natale come un giorno “amico degli uomini”, una festa amica. Scriveva: «Il Natale ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il Bambino ch’è nato… Sa che la natura non potrebbe farne a meno; come te (Gesù), esso viene in aiuto degli uomini in pericolo.
Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita… Sia dunque anche quest’anno simile a te, porti la pace tra il cielo e la terra». Natale, dunque, “amico degli uomini”. Il motivo? La venuta del Figlio di Dio in mezzo a noi, nella storia umana. Ce lo annuncia l’evangelista Giovanni nel Prologo: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Nella liturgia della Chiesa le feste ricorrono ogni anno, le Sante Scritture vengono lette e rilette: non è un rito “stanco”, perché ogni volta le Scritture ci dicono qualcosa che dobbiamo legare alle situazioni che via via viviamo. Ecco perché quest’anno ci chiediamo cosa significa oggi il Natale 2022, dopo due anni di pandemia e nove mesi di guerra in Ucraina? Che senso ha celebrare la nascita di Gesù, il Principe della Pace, in un contesto come questo, mentre si militarizzano anche i pensieri? Cosa significa celebrare il Natale mentre sembra che le guerre si eternizzano?
La Chiesa ci ricorda che abbiamo ancor più bisogno del Natale: la nascita di Gesù si rinnova per ricordarci che riguarda tutti: il mondo intero, sia la terra che il cielo. È un annuncio, una profezia, che vuole irrorare la terra con la presenza del Figlio di Dio perché il mondo si incammini verso la pace piena. La nascita di Gesù è un appello ad avvicinarci a Lui, ad accoglierlo nel nostro cuore, per chinarci con Lui sulle persone escluse, per accogliere chiunque ha bisogno senza escludere nessuno, per liberare gli uomini dagli spiriti della guerra e dell’odio. Nove mesi di guerra hanno portato migliaia di vittime e distruzioni immense. Più ancora, il conflitto ha colpito le relazioni tra persone, tra Stati, all’intero dell’intera comunità umana. La Chiesa parla, non a caso, di “famiglia umana”, per ricordarci la finalità della Creazione come casa comune di tutti i popoli. Dio crea l’uomo e la donna a immagine Sua. Ci rende figli e figlie e dunque tutti fratelli e sorelle tra di noi. Un’unica famiglia umana che deve impegnarsi per contrastare la violenza e la divisione.
Attorno a Gesù si raccolgono i suoi genitori e subito dopo i pastori. Qualche giorno dopo arriveranno i Magi dall’Oriente. È il quadro narrativo della nascita di Gesù: intorno a lui si raduna una famiglia larga, composta dalle persone umili e dalle persone potenti e sapienti di quel tempo lontano. Un tempo che parla oggi ad ognuno di noi. È la forza del Natale che non esclude, che ci raduna attorno alla semplice e poderosa forza del richiamo divino. I pastori hanno seguito l’annuncio degli angeli. I Magi hanno seguito la stella. Il cielo e la terra si sono incontrati, attraverso il cielo gli umili ed i potenti si sono incontrati per rendere omaggio ad un bambino. Non sapevano chi fosse o quale sarebbe stato il suo destino, sono arrivati ugualmente.
È il richiamo del “cielo” che deve parlare agli uomini e alle donne di oggi. Il Dio cristiano appare come un Dio capovolto: Egli più che in cielo sta in terra, più che distante sta vicino, più che grande è un bambino, più che un ricco è un povero. Nei vangeli viene chiamato Emanuele, ossia “Dio con noi”. In effetti, la vicinanza del Signore agli uomini è uno dei cardini della fede cristiana. Sì, non siamo noi ad andare verso di Lui. È Lui che viene verso di noi. E non per dovere. Ma per amore. Possiamo allora concordare pienamente con questa bella osservazione di Italo Calvino che mi ha sempre colpito molto: «Nel mondo potranno esserci uomini che si dicono “senza Dio”, ma da Natale in poi non potrà mai più esserci un Dio senza gli uomini».
Le antiche parole di san Efrem spingono ad andare incontro al Natale, ad accoglierlo come un giorno amico, proprio perché Dio è amico degli uomini, come canta la Liturgia dell’Oriente cristiano. Come non rendersi conto di quanto ci sia bisogno di giorni amici per i più piccoli, per i poveri, per i deboli, per i malati, per coloro che emigrano dalle loro terre, per i tanti popoli ancora segnati dalla guerra e dai conflitti? Quanto c’è bisogno di giorni che siano amici, “amici degli uomini”, amici di un tempo nuovo per questo nostro mondo.
Questi ultimi dodici mesi non sempre sono stati amici e favorevoli agli uomini. Talora, anzi, sono stati bui, e sono ancora bui per tanti. E come saranno i giorni che verranno? Il Natale ci viene incontro perché con la sua amicizia vuole strappare gli uomini e le donne dai giorni tristi e tutti possano sentite la tenerezza che ispira quel Bambino. Non sa parlare, non sa camminare, non sa neppure rivendicare il diritto ad avere una casa per nascere. Forse, sa solo piangere, per chiedere attenzione, amore, accoglienza, tenerezza. Il Natale vuole commuovere il cuore – quello mio personale e quello di tutti – perché si apra a faccia spazio a chi piange.