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Manovra: il governo Meloni segue il solco tracciato da Mario Draghi

Dunque il Reddito di cittadinanza verrà riformato, così come avevano annunciato sia il governo sia la maggioranza che lo sostiene. Almeno su questo punto l’esecutivo di Palazzo Chigi, e con esso i partiti del centrodestra, ha mantenuto uno degli impegni presi con gli elettori. E non è un fatto da poco, essendo nota la classica distanza, nel post voto, fra promesse elettorali e impegni reali, mettendo mano ad uno dei provvedimenti più controversi di questi ultimi anni, asservito ai bisogni di alcuni partiti e non certo pensato per soddisfare chi ha realmente bisogno. Il lavoro, e il reddito, non si possono creare per decreto, ma solo con l’imprenditoria e gli investimenti mirati. Invertire la rotta era necessario. La decontribuzione fino ad un massimo di 6mila euro per le aziende che intendono assumere, a tempo indeterminato, giovani under 36 con già un contratto a tempo determinato va in questa direzione. Lo sgravio si applica anche per i percettori del reddito di cittadinanza. Il lavoro come mantra dunque, e non come problema da aggirare, o male da evitare, soprattutto attaccandosi al reddito.

E poi gli anziani. Le pensioni minime dovrebbe passare da 535 a 600 euro. Nella manovra licenziata dall’esecutivo, invece, esce l’azzeramento dell’Iva sui beni di prima necessità come pane e latte. E questo non è un bene. A parziale copertura dovrebbe arrivare una sorta di social card da mettere a disposizione dei soggetti più in difficoltà e delle famiglie meno abbienti. Perché, contrariamente alla narrazione disfattista del movimento 5 Stelle, ancora in campagna elettorale, il governo Meloni non starebbe affatto lavorando contro le fasce più deboli, ma contro gli sprechi. Sempre tanti, sempre troppi. Ma, soprattutto, estremamente fastidiosi, considerando la brevità della coperta, intesa come disponibilità economica.

Per essere ancor più netti, i soldi in cassa sono quelli che sono, e tutto non si può fare. Ragione per la quale il governo guidato da Giorgia Meloni, seguendo il solco tracciato dal suo predecessore, Mario Draghi, sta cercando di tenere la barra dritta, senza cedere alle prevaricazioni di qualche alleato un po’ riottoso, solo per meri calcoli elettorali, o alle intimidazioni di una parte delle opposizioni, pronte a usare la piazza come un manganello. La deriva populista, quasi a riecheggiare un certo peronismo, agitando lo spettro della povertà come punto di approdo per il Paese, e non come pericolo da scongiurare, rischia di portare il Paese nelle sabbie mobili di una stagione conflittuale fine a se stessa. Come hanno insegnato certi autunni caldi di cui l’Italia sembra aver perso la memoria. Le piazzate dei sindacati, le famigerate spallate al governo in carica, hanno lasciato ferite mai rimarginate, con cicatrici profonde. Ed è esattamente quello che il governo vuole evitare, nonostante una certa sinistra sia attizzando il fuoco sotto la cenere.

In questo senso l’estensione a chi ha un reddito inferiore a una soglia attorno ai 20 mila euro della Social card per i meno abbienti è un segnale forte, una delle novità contenute nella Manovra. Stesso ragionamento applicabile alla riduzione al 5% dell’Iva sui prodotti di prima necessità per l’infanzia (come pannolini, biberon, omogeneizzati, attualmente al 22%) e sugli assorbenti (attualmente al 10%). Segnali, messaggi politici chiari, al di là del valore economico. Perché una società che si considera evoluta deve saper dare un valore a certi meccanismi sociali, svincolandoli dalle logiche di partito e dalle ideologie di maniera. Farlo o no, determina tutto questo.

Non a caso l’insolito Consiglio dei ministri, iniziato poco dopo le 21, è stato preceduto da quasi due ore di vertice, alla Camera, fra le forze della maggioranza per fare il punto della situazione con gli alleati di governo sulla legge di bilancio da approvare a Palazzo Chigi. La premier, Giorgia Meloni, ha riunito nei suoi uffici di Montecitorio i vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, il sottosegretario, Alfredo Mantovano, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il suo vice, Maurizio Leo, per discutere gli ultimi nodi legati alla prima manovra del suo esecutivo. Alla fine dell’incontro il quadro generale: una finanziaria da oltre 30 miliardi – di cui 21 in deficit già blindati per il caro-energia – è “politicamente chiusa”. Chiusa, ma ottusa, essendo tarata sui bisogni sociali degli italiani, più che sugli interessi dei partiti, come solitamente avveniva in passato. Certo, la fase complessa resta, con le economie europee in frenata e gli indicatori internazionali in forte sofferenza. Ma il contesto economico non può, non deve, rappresentare un freno, un ostacolo, ma un incentivo a fare meglio. Laddove è possibile arrivare, con le risorse disponibili. Anche nel rapporto con l’Europa. E oggi tutti i particolari in cronaca…

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