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Malavenda: “Cause pretestuose e aggressioni fisiche, i rischi per i giornalisti”

L’intervista di Interris.it all’avvocato, giornalista ed esperta di diritto dell’informazione Caterina Malavenda in occasione della Giornata internazionale per porre fine all'impunità per i crimini contro i giornalisti

La Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti del 2 novembre si celebra a poca distanza temporale dall’anniversario della morte del giornalista siciliano Giovanni Spampinato, ucciso la notte del 27 ottobre di cinquant’anni fa a bordo della sua Fiat Cinquecento, quando aveva appena 25 anni – ne avrebbe compiuti 26 il 6 novembre. Il responsabile del delitto del cronista ragusano del quotidiano “l’Ora” di Palermo fu processato e condannato, senza però che emergesse mai la verità sull’autentico movente né su chi fossero i mandanti. Spampinato non è stato purtroppo l’unico giornalista ucciso nel nostro Paese e nel mondo: solo dal 1993 ad oggi, l’Osservatorio giornalisti uccisi dell’Unesco ha registrato a livello globale 1.564 vittime.

La situazione in Italia

Nel panorama italiano, i principali rischi che corrono i giornalisti e le giornaliste nel nostro Paese sono le minacce e le aggressioni, verbali e/o fisiche, gli avvertimenti, le intimidazioni e gli insulti sui social network, mentre un altro problema è rappresentato dalle cosiddette “querele temerarie”. Secondo il Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, presieduto dal ministro dell’Interno, nel primo semestre dell’anno in corso si è registrato un calo del 43% degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti, rispetto allo stesso periodo del 2021. Dei 64 episodi nei primi sei mesi del 2022, otto di questi, il 12% del totale, è riconducibile a contesti della criminalità organizzata, mentre il 28% dei casi “viaggia” nel web. L’ultimo rapporto sui giornalisti minacciati in Italia redatto dall’associazione di volontariato non governativa italiana “Ossigeno per l’informazione”, ha rilevato e segnalato 384 minacce e intimidazioni nei confronti di altrettanti giornalisti, blogger e altri operatori dei media, meno delle 495 del 2020. Il 27% dei casi, cioè 105, ha riguardato giornaliste, il numero più alto dal 2006.  Tutti i casi segnalati da Ossigeno sono stati verificati, spiega l’associazione, esaminando in maniera approfondita le intimidazioni a 136 dei 384 giornalisti e blogger minacciati, mentre gli altri 248 casi sono stati classificati come casi di “probabile violazione” perché si è potuto fare un esame meno approfondito. Metà circa delle intimidazioni (48%) sono state attuate attraverso “querele pretestuose”, con telefonate e lettere anonime, insulti sui social media, minacce di morte e altro ancora. Scende, rispetto ai precedenti monitoraggi, la percentuale delle aggressioni fisiche (17%), mentre “il restante 10% ha riguardato iniziative non perseguibili a livello giudiziario con le quali è stato ostacolato arbitrariamente e in modo discriminatorio l’accesso alle informazioni”, si legge nel rapporto, e infine l’1% è rappresentato da danneggiamenti. Per quanto riguarda il 2022, nell’intervallo temporale gennaio-aprile Ossigeno ha rilevato atti intimidatori contro 170 tra giornalisti, blogger, fotoreporter, videomaker e altri operatori dell’informazione, certificando in modo approfondito i fatti relativi a 118 soggetti minacciati. Tra le tipologie di minaccia, più diffusi sembrano essere gli avvertimenti, seguiti dalle azioni legali, “in massima parte querele pretestuose per diffamazione” afferma il report, e dalle aggressioni.

L’intervista

in occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, Interris.it ha intervistato l’avvocato, giornalista ed esperta di diritto dell’informazione Caterina Malavenda.

Chi “prende di mira” giornalisti e giornaliste?

“Per la mia esperienza, non c’è una categoria particolare che più di altre ricorre alla querela per diffamazione o alla causa civile per danni da diffamazione, essendo però ben rappresentati gli esponenti di categorie per così dire di rilievo, quali politici, imprenditori, esponenti dello spettacolo e, da ultimo, anche soggetti riconducibili a contesti mafiosi”.

Cosa sono le cosiddette querele temerarie?

“E’ temeraria l’iniziativa giudiziaria, in sede civile, non solo priva dei necessari presupposti, ma anche proposta con dolo o colpa grave o abusando dello strumento processuale. Ove venga accertata dal giudice, una simile condotta viene sanzionata con il riconoscimento di una somma di denaro a favore della parte, ingiustamente evocata in causa. Debbo, però, dire che purtroppo i giudici civili mostrano una certa remora a ricorrere alla norma processuale che ne prevede il riconoscimento, quasi non volessero fare un torto a chi ha agito, anche se la sua domanda è stata rigettata. Nel processo penale manca una norma analoga, salvo casi eccezionali che, in ogni caso, non comprendono mai il giornalista che, se ha esercitato il diritto di cronaca, viene assolto perché il fatto non costituisce reato, formula questa che non prevede la liquidazione di un danno da querela temeraria. Dunque, chi è chiamato davanti al giudice penale non rientra neppure delle spese che deve sostenere per difendersi e men che meno viene indennizzato per esser stato querelato ingiustamente”.

Cosa sono le Strategic lawsuits against public participation (Slapp) e perché possono rappresentare un rischio per la libertà d’espressione?

“Se con la pratica Slapp si intende l’avvio di procedimenti giudiziari ingiusti o abusivi, quando essi abbiano come obiettivo un giornalista possono avere un effetto deterrente, inducendolo a non occuparsi di fatti scomodi, che possono coinvolgere persone potenti. Di solito costoro non amano vedere offuscata la loro reputazione ed agiscono di conseguenza. Questo può bloccare la libera circolazione di informazioni, penalizzando l’opinione pubblica, cui viene sottratta la possibilità di venirne a conoscenza a scapito, dunque, non solo della libertà di informare, ma anche di quella di essere informati”.

C’è per il giornalista possibilità di qualche tipo di protezione economica di fronte a questo tipo di cause?

“Quando viene coinvolto in una causa civile o penale, il giornalista deve rivolgersi ad un avvocato perché lo difenda e, a meno che non sia così indigente da poter contare sul gratuito patrocinio, deve pagare il suo onorario. Se vince la causa civile, il giudice condannerà chi ha perso a rimborsarlo delle spese legali e la somma liquidata potrà essere riscossa subito, purché chi deve pagare abbia il denaro necessario o, se si rifiuta, abbia dei beni o uno stipendio che possano essere pignorati in via esecutiva. Se vince la causa penale, invece, può solo ringraziare la buona sorte ma non recupera le somme che ha speso per la sua difesa”.

Secondo il Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti il primo semestre 2022 ha registrato un calo del 43% dei casi rispetto allo stesso periodo del 2021. Come si può leggere questa diminuzione?

“Se per atti intimidatori si intende qualcosa di diverso dalle cause pretestuose, i dati mi sembrano incoraggianti. Anche se una diminuzione delle intimidazioni è sempre una buona notizia, spero tuttavia che questo non voglia dire che l’informazione non fa più paura e che non vale, perciò, la pena di impegnare risorse per intimorire i giornalisti. Questo non sarebbe un bel segnale”.

Oggi intimidazioni e gli insulti corrono più sui social? Nel nostro Paese è alta la probabilità che dagli attacchi verbali si passi all’aggressione fisica, come è accaduto più volte nel corso di una alcune manifestazioni di protesta durante la pandemia?

“Come gli esperti hanno accertato, nell’uso dei social prevale una progressiva perdita dei freni inibitori, quasi che le parole postate siano meno gravi di quelle dette o scritte sui giornali. Le aggressioni verbali sono sempre più frequenti, al punto da aver trovato una loro definizione, il cosiddetto fenomeno ‘shit storm’, che si realizza quando un numero altissimo di utenti manifesta, in modo massiccio e sguaiato, il proprio dissenso nei confronti di una persona. Di solito l’aggressività si sfoga solo verbalmente, tuttavia nessuno può escludere che prima o poi sfoci in un’aggressione fisica”.

Quali sono oggi altri rischi ai giornalisti?

“Tolte le aggressioni fisiche e le cause pretestuose non ne vedo altri, se non il precariato che li priva non solo di uno stipendio regolare e di una vita dignitosa, ma anche di un editore che copra le spese come ancora accade nelle realtà più grandi. Senza questa garanzia, infatti, le cause possono diventare un vero e serio rischio che si può immaginare di azzerare lasciando la professione”.

C’è anche un problema di autocensura nella stampa italiana?

“Non ho dati diretti sul fenomeno, anche se sono incline a credere che anche la categoria dei giornalisti, accanto ai tanti dalla schiena dritta, possa annoverare qualcuno che corra in aiuto del vincitore, anche se nessun glielo ha chiesto, omettendo di diffondere informazioni che possano disturbare il conducente. Se, invece, autocensura vuol dire maggiore attenzione nell’utilizzo delle fonti e nelle verifiche preventive o l’adozione di un linguaggio più sobrio, senza il ricorso ad inutili epiteti offensivi, lasciando intatta la notizia, allora potrebbe non essere un fenomeno negativo”.

Quali i vuoti legislativi da colmare per consentire di svolgere al meglio, in autonomia e indipendenza, l’attività giornalistica?

“Sono anni che si discute di modifiche che possano ridurre i rischi per i giornalisti, ad esempio mediante l’estensione delle norme sulle cause civili temerarie a quelle penali di analogo segno o prevedendo un tetto massimo dei risarcimenti o ancora l’estinzione del reato di diffamazione se viene pubblicata una rettifica soddisfacente, ma sono rimaste solo parole”.

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