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Le difficoltà dei genitori di ragazzi disabili

Il termine inglese “caregiver” indica “colui che si prende cura” e si riferisce a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile. È entrato ormai stabilmente nell’uso corrente. L’impegno di chi assiste un figlio con disabilità, non è tanto intenso per la sua gravità, quanto per la durata che è continua e senza tregua. I bambini con autismo, ad esempio, oltre ad essere molto impegnativi durante il giorno, lo sono anche di notte poiché, nella maggior parte dei casi, dormono poco. Assistere un familiare è qualcosa che accomuna sempre più persone. In Italia si contano oltre otto milioni di caregiver familiari; un vero e proprio esercito, costituito per lo più da donne (figlie o sorelle) che a titolo gratuito si prendono cura di un familiare non autonomo.

Nonostante questo, però, in Italia la figura del caregiver non è riconosciuta, anche se da alcuni anni si sta lavorando ad una legge nazionale che conceda dignità e diritti a chi svolge questa attività di cura. Avere in famiglia un bambino autistico (o con altra disabilità) condiziona l’intero nucleo familiare. I fratelli e le sorelle vengono posti inevitabilmente in secondo piano e diventano quasi “trasparenti”. Le attenzioni dei genitori vengono focalizzate sul bimbo disabile. Entrare in relazione con un bambino non verbale a volte è difficile anche per gli stessi genitori: è demoralizzante perché non riescono a capirne i bisogni. I comportamenti bizzarri dei nostri figli rappresentano un fattore di rischio sociale per la famiglia, che spesso non viene compresa e sostenuta dall’ambiente circostante. Noi genitori ci sentiamo osservati e giudicati dagli altri come se i nostri figli fossero “semplicemente” maleducati. Questo provoca sentimenti di imbarazzo e rabbia che portano spesso a un ritiro doloroso, frequentemente a rischio isolamento.

Al momento della diagnosi è indispensabile accompagnare e sostenere la famiglia a livello psicologico all’idea di avere un figlio disabile. In seguito, bisogna rendere la famiglia consapevole che prendersi cura di un bambino autistico richiede competenze indispensabili per comprendere la situazione, stabilire una relazione significativa con il bambino, oltre a contenere il senso di inadeguatezza. Indispensabile poi supportare i genitori ad affrontare le paure per il futuro (“quando non ci sarò ’ più io, chi si occuperà di lui?”) aiutandoli a pianificare precocemente i diversi interventi (Progetto di Vita) nel rispetto della particolarità dei propri figli.

È importante però che i caregiver abbiano delle regole di “sopravvivenza”, quali ad esempio, il ricordarsi che si sta svolgendo un compito molto impegnativo, sia a livello fisico che psicologico e si ha il diritto di trovare qualche spazio e momenti di svago, condividere i propri pensieri e l’esperienza con altri caregiver, per un aiuto reciproco, sia materiale che morale, accettare l’aiuto di altre persone, che possano svolgere almeno qualche compito al posto tuo, imparare il più possibile le caratteristiche della disabilità del proprio familiare: conoscere aiuta e difendere i propri diritti come persona e come cittadino.

Il genitore caregiver è legato indissolubilmente a suo figlio, e questo è un dato di fatto. Ci sono casi terribili, contro natura, in cui un genitore si augura che il figlio muoia prima di lui, perché altrimenti non saprebbe cavarsela. Quello che noi dobbiamo fare, come genitori di ragazzi disabili e come cittadini, è creare una rete di accoglienza/inclusione e delle strutture che possano dare una risposta concreta ai vari tipi di disabilità, da quelle più gravi a quelle più “leggere”, per far sì che un genitore possa vivere con serenità tutti i momenti belli e brutti che condivide con il suo congiunto affetto da una qualsivoglia problematica fisica, intellettiva, relazionale.

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