Strano destino, quello di Mario Draghi: all’inizio, per strappargli non si dica una conferenza stampa ma anche solo una dichiarazione, bisognava sudare sette camicie. Ora, che è iniziato probabilmente il suo ultimo mese di permanenza a Palazzo Chigi, prende le prime pagine dei giornali con facilità e determinazione. Solitamente è il contrario: si inizia ciarlieri e si finisce taciturni.
Alle Nazioni unite il Presidente del Consiglio ha pronunciato addirittura un discorso programmatico. L’Italia, ha fatto capire, è e resta e dovrà restare ben ancorata alla rete di alleanze – non solo politiche e militari – tessuta nel corso dei decenni. Di più: partendo dalla crisi ucraina, Draghi ha tracciato per la Penisola un percorso sintetizzabile in una semplice espressione, vale a dire piena fedeltà. All’Europa, alla appartenenza euroatlantica. Se una volta ci si lamentava dell’Italia “Bulgaria della Nato” (essendo la Bulgaria l’alleata meno critica nei confronti di Mosca ai tempi del Patto di Varsavia), ecco che l’attualità ci spiega come la Storia pesi sulla cronaca, schiacciandola: ci sono meccanismi, situazioni, di fatto immutabili. Facciamocene una ragione. Del resto abbiamo la fortuna di stare da questa parte dello steccato: dall’altra si stava, e si sta, molto peggio.
Draghi, insomma, graziosamente prende congedo facendo intendere che il prossimo governo non sarà a sovranità limitata, ma nemmeno a sovranismo assoluto. Troppi sono non gli interessi, ma le necessità: sempre che esca dalle urne una maggioranza di centrodestra (molto probabile) in grado di governare senza difficoltà (molto meno probabile), esiste un corral oltre il quale non è consigliabile avventurarsi, pena affrontare sfide proibitive. Allora emergerebbero ineluttabilmente tutte le contraddizioni della che al momento sono appena affiorate in superficie.
Insomma, se l’Agenda di Draghi è qualcosa di evanescente, l’eredità di Draghi pare in qualche modo destinata a durare almeno nel medio periodo. Non in termini di gestione dei fondi pubblici (qui sarà tutto da vedere), quanto semmai di collocazione internazionale e, ormai, quest’ultimo elemento vale tanto quanto il primo. È uno degli effetti, previsti dai lungimiranti ma mai del tutto calcolati, del processo di integrazione europea.
Legittimo dirsi, a questo punto: ma allora l’Agenda Draghi esiste e resiste. No, non è l’Agenda draghi. Lo ripetiamo: è l’eredità di Draghi. Il quale, a sua volta, attende fiducioso che si diradino le nubi dal cielo dell’Ucraina e riprenda in qualche modo il business as usual per decidere cosa fare da grande, ché di certo non se ne resterà con le mani in mano. Si parla di Nato (potrebbe toccare all’Italia, questa volta, la segreteria generale), del Fondo Monetario Internazionale ma anche qualche cosa di molto prestigioso all’Onu, chi lo sa.
Notiamo che il diretto interessato, a domanda precisa in merito, risponde escludendo permanenze e ritorni a Palazzo Chigi. Ma anche Mattarella faceva lo stesso con il Quirinale: le circostanze talvolta sono più forti della volontà degli uomini. E allora, magari, potremmo anche toglierci la curiosità e sciogliere l’interrogativo che ci agita fin dall’inizio di questa campagna elettorale. Vale a dire: sapere finalmente in cosa consiste l’Agenda Draghi.