La Giornata internazionale del rifugiato è un’opportunità di verifica per la coscienza individuale e collettiva dell’umanità. Da cristiani e da componenti della comunità globalizzata del terzo millennio siamo doppiamente sollecitati ad aprire le porte dei nostri cuori. L’accoglienza dei profughi è un barometro di civiltà per la società della continua evoluzione tecnologica e della connessione planetaria. E invece le merci possono spostarsi liberamente e senza barriere, gli esseri umani no.
La santa famiglia è modello di integrazione. Gesù, Maria e Giuseppe hanno sperimentato che cosa significhi lasciare la propria terra ed essere migranti. Furono minacciati dalla sete di potere di Erode, furono costretti a fuggire e a rifugiarsi in Egitto. “Non di rado l’arrivo di migranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità – sottolinea papa Francesco -. Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si alimenti la concorrenza sul mercato di lavoro o, addirittura, che si introducano nuovi fattori di criminalità. Occorre superare pregiudizi e precomprensioni”.
Il 20 giugno si commemora un evento storico: la convenzione di Ginevra firmata nel 1951. Sette decenni fa sanguinava ancora la ferita dei tragici esodi della seconda guerra mondiale. Oggi quelle memorie sembrano lontane e invece sono tornate ad essere cronaca quotidiana perché riviviamo drammi antichi sotto una nuova luce. L’emergenza-rifugiati, infatti, è più che mai attuale per effetto delle guerre in corso. Il pianeta registra un doloroso record: 100 milioni di persone in fuga dalla loro terra. Papa Francesco ha racchiuso in un’immagine evangelica il senso della ricorrenza odierna: “I rifugiati sono la carne di Cristo”.
Nel giorno in cui si rievoca lo statuto dei rifugiati, il primo Pontefice figlio di immigrati richiama l’impegno condiviso per costruire un futuro di accoglienza. Una condivisione globale in grado di rispondere al progetto di Dio senza escludere nessuno. Il Vangelo di Matteo lo sintetizza così: “Ero forestiero e mi avete ospitato”. Tutto il Magistero e la dottrina sociale della Chiesa testimoniano la sacralità dell’aiuto concesso ai bisognosi. Per un cristiano e per ogni uomo e donna di buona volontà l’accoglienza è la bussola di orientamento dell’agire tra le vicende burrascose della storia. Le migrazioni interpellano quotidianamente la disponibilità ad una testimonianza sincera dell’amore fraterno.
“Misericordiosi come il Padre” ci esorta ad essere papa Francesco per aprire il cuore alle periferie esistenziali, portando consolazione, solidarietà e attenzione a quanti vivono situazioni di precarietà e sofferenza nel mondo di oggi o sono private della dignità. Il loro grido può diventare il nostro se insieme spezziamo la barriera di indifferenza che ammanta di ipocrisia e egoismo la nostra condotta. Accogliere chi scappa da conflitti, persecuzioni, miseria estrema attualizza la missione del Vangelo portando consolazione ai poveri, annunciando la liberazione ai prigionieri delle moderne schiavitù, restituendo la vista a chi è curvo su sé stesso, ridando consapevolezza e serenità a chi ne è stato privato. I profughi, i rifugiati, gli afflitti, le vittime dell’ingiustizia sociale, gli scartati non sono soltanto i destinatari dell’annuncio, ma anche i veri soggetti della nuova evangelizzazione.
Oltre ad essere segno di credibilità per la missione apostolica del discepolo, l’accoglienza è insperabile dalla alla carità. Sperimentiamo purtroppo la dimenticanza del tema dell’accoglienza nella cultura dei nostri giorni. E cioè la mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio che abbraccia e accoglie i “lontani” e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa dell’integrazione. La parola e il concetto di accoglienza sembrano porre a disagio l’uomo, quasi imbarazzati dalla grandezza della carità cristiana, di cui “null’altro è più valido per estirpare i semi delle discordie, nulla più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti” (Gaudet Mater Ecclesia 7).
L’accoglienza nasce da quella misericordia che non è affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. E cioè: via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere accolti e amati per sempre. Legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona, architrave che sorregge la vita della Chiesa, ideale di vita e criterio di credibilità per la nostra fede. Perché, come insegnava il filosofo Socrate, “sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo”. E nessuno deve sentirsi straniero su questa terra.